ROMA
Giulia Siena – Primo Maggio, festa dei Lavoratori – secondo il calendario – momento di relax, incontro, svago, divertimento, viaggi, lavoro stesso o tutto quello che vi pare. A proposito di quest’ultimo punto, cosa ne pensate di un primo maggio alternativo, fatto di ozio, piccoli gesti e qualche buona lettura? Dove decidete voi, ecco i nostri suggerimenti, i 10 Libri per il Primo Maggio 2015.
Categoria: novità
“La scrittura del Dio”: Borges e l’eternità.
Giulio Gasperini
AOSTA – La scrittura del Dio. Discorso su Borges e sull’eternità, edito nel 2015 da Edizioni Spazio Interiore, è un saggio di Igor Sibaldi che affronta una questione importante della poetica di Borges: ovvero, la scrittura del Dio. Il testo di partenza è il racconto La escritura del dios, che lo scrittore argentino compose negli anni Quaranta: il tema è l’invenzione di un enigma, una frase (la sentencia mágica) che contiene quattordici misteri, come quattordici sono le parole apparentemente casuali che la compongono. Igor Sibaldi le passa in rassegna tutte, cercando di dare loro una spiegazione che permette al lettore di arrivare a disvelare, se non tutto, almeno parte del mistero che sta dietro questa visione.
Così che Sibaldi conduce il lettore, guidandolo tra i difficili meandri delle interpretazioni, attraverso le quattordici parole, dal personaggio di Alvarado all’Orbis Tertius, da El tercer tigre (ovvero il giaguaro nelle cui macchie è cifrata tutta la sentencia mágica) a il Dio della scrittura (“Un uomo a un certo punto lo narrò”), sostenendo che se un uomo (nello specifico Mosè) non avesse scritto su Dio, Dio non sarebbe mai esistito.
Questa antica sentencia mágica si ricollega anche al mito biblico della Torre di Babele, quando una comunità umana aveva a sua disposizione un’unica lingua che dava un “potere illimitato”; la stessa Babele che lo stesso Borges descrive in un altro suo racconto, La biblioteca de Babel, il luogo dove tutto è contenuto perché è contenuto tutto il linguaggio: “I suoi scaffali archiviano tutte le possibili combinazioni dei simboli ortografici, cioè tutto ciò che è dato di esprimere, in tutte le lingue”.
È un testo, questo di Sibaldi, che, se anche breve e con uno stile chiaro e accessibile, non è semplice né agevole, perché introduce il lettore a una serie di questione complesse e composite, non immediatamente penetrabili. E lui stesso ne è consapevole: “Io trovo soltanto pseudoproblemi, cioè questioni che non possono venire risolte”. Una sicurezza c’è, ovvero che l’approccio di Borges sia poetico e senza dubbio nell’atteggiamento di Borges stesso di non fornire risposte ai suoi quesiti profondi c’è anche una “inclinazione, propria a tutti gli scrittori onesti, ad assumersi solo il compito di descrivere uno stato di cose: cioè di ampliare il più possibile l’elaborazione delle domande”.
Dieci anni di Donne in opera
AOSTA – Decima edizione per il concorso letterario, fotografico e per illustrazioni Donne in opera, organizzato dall’Associazione culturale Solal in collaborazione con altre realtà del territorio valdostano, in particolare l’Associazione di promozione sociale Dora – donne in Valle, ma anche estere, visto anche il carattere plurilingue del concorso e la diffusione in ambiente francofono. Il tema di quest’anno è “Il futuro che è in me. Pensieri, testimonianze e narrazioni sulle speranze di cambiamento delle e per le donne”. L’intenzione è quella di far riflettere le partecipanti sulle difficoltà presenti in riferimento all’ambito del lavoro, alla maternità, alla cura, di raccontare come si può uscire da situazioni di violenza domestica, come si può essere libere da condizionamenti derivati dagli stereotipi di genere e inventarsi nuovi modelli estetici e di comportamento.
Il concorso, nato nel 2005 da una proposta dell’Associazione Solal prontamente accolta dall’allora Consulta regionale femminile della Valle d’Aosta e dall’Ufficio della Consigliera di Parità, ha ottenuto un continuo successo, fino ad arrivare a più di 300 opere presentate nel 2013. Il concorso, dalla prima edizione, ha inteso valorizzare lo sguardo femminile sul mondo e stimolare la riflessione in merito a temi e problematiche che riguardano da vicino la realtà e la cultura femminile.
All’edizione 2015, caratteristica peculiare di tutte le edizioni, possono partecipare donne di qualunque età e nazionalità. Il bando prevede l’invio di opere relative a cinque differenti tipologie artistiche: racconto breve, poesia, fotografia, illustrazione e mail art in tre sezioni: racconti e poesie, fotografie e illustrazioni, mail art. Per inviare gli elaborati bisogna utilizzare una speciale cartolina allegata al bando ; c’è tempo fino al 15 giugno 2015.
Per richiedere e consultare il bando completo si può scrivere a solal@corpo12.it o visitare il sito www.donneinopera.wordpress.com o il gruppo facebook Donne in opera.
Premio Strega 2015: ecco le 26 opere presentate
ROMA – Sono 26 le opere presentate per il Premio Strega 2015 dagli Amici della domenica, lo storico corpo votante che dal 1947 attribuisce il riconoscimento a un libro di narrativa italiana pubblicato tra il 1° aprile dell’anno precedente e il 31 marzo dell’anno in corso.
Qualche sorpresa e molte cose buone:
1. Stalin + Bianca (Tunué) di Iacopo Barison
Presentato da Fulvio Abbate e Roberto Ippolito
2. Non sono un assassino (Newton Compton) di Francesco Caringella
Presentato da Raffaele Nigro e Sergio Santoro
3. Il paese dei coppoloni (Feltrinelli) di Vinicio Capossela
Presentato da Eva Cantarella e Gad Lerner
4. Il dolore del mare (Nutrimenti) di Alberto Cavanna
Presentato da Giuliano Montaldo e Ferruccio Parazzoli
5. La sposa (Bompiani) di Mauro Covacich
Presentato da Dacia Maraini e Sandro Veronesi
6. I Nuovi Venuti (Clichy) di Giorgio Dell’Arti
Presentato da Corrado Augias e Giuseppe De Rita
7. Storia della bambina perduta (e/o) di Elena Ferrante
Presentato da Serena Dandini e Roberto Saviano
8. Final cut (Fandango) di Vins Gallico
Presentato da Renato Minore e Luca Ricci
9. Chi manda le onde (Mondadori) di Fabio Genovesi
Presentato da Silvia Ballestra e Diego De Silva
10. 24:00:00 (Il Foglio) di Federico Guerri
Presentato da Simonetta Bartolini e Wilson Saba
11. La ferocia (Einaudi) di Nicola Lagioia
Presentato da Alberto Asor Rosa e Concita De Gregorio
12. La meteora di luglio (Biblioteca dei Leoni) di Adriano Lo Monaco
Presentato da Maurizio Cucchi e Paolo Ruffilli
13. Monte Sardo (Rubbettino) di Dante Maffia
Presentato da Paolo Ferruzzi e Luciano Luisi
14. Il genio dell’abbandono (Neri Pozza) di Wanda Marasco
Presentato da Francesco Durante e Silvio Perrella
15. Don Riccardo (Mursia) di Loredana Micati
Presentato da Angela Padellaro e Roberto Zaccaria
16. Se mi cerchi non ci sono (Manni) di Marina Mizzau
Presentato da Umberto Eco e Angelo Guglielmi
17. Gli amici che non ho (Codice) di Sebastiano Mondadori
Presentato da Antonio Pascale e Lorenzo Pavolini
18. La Repubblica di Santa Sofia (Tullio Pironti) di Pietro Paolo Parrella
Presentato da Bruno Luiselli e Marcello Rotili
19. L’estate del cane bambino (66thand2nd) di Mario Pistacchio e Laura Toffanello
Presentato da Antonella Sabrina Florio e Luca Nicolini
20. Come donna innamorata (Guanda) di Marco Santagata
Presentato da Salvatore Silvano Nigro e Gabriele Pedullà
21. Sans blague (Nulla die) di Eugenio Sbardella
Presentato da Bruno Cagli e Vittorio Emiliani
22. Via Ripetta 155 (Giunti) di Clara Sereni
Presentato da Massimo Onofri e Domenico Starnone
23. I dirimpettai (Baldini&Castoldi) di Fabio Viola
Presentato da Piero Gelli e Filippo La Porta
24. Autunnale (Book Sprint) di Dario Voltolini
Presentato da Michele Mari e Paola Mastrocola
25. XXI Secolo (Neo) di Paolo Zardi
Presentato da Giancarlo De Cataldo e Valeria Parrella
26. Dimentica il mio nome (Bao Publishing) di Zerocalcare
Presentato da Daria Bignardi e Igiaba Scego
Il Comitato direttivo del Premio – presieduto da Tullio De Mauro e composto da Valeria Della Valle, Giuseppe D’Avino, Simonetta Fiori, Alberto Foschini, Paolo Giordano, Enzo Golino, Giuseppe Gori, Giovanna Marinelli, Melania G. Mazzucco, Edoardo Nesi, Luca Serianni, Maurizio Stirpe – si riunirà giovedì 16 aprile per selezionare tra le proposte degli Amici della domenica i dodici libri che si disputeranno la sessantanovesima edizione.
I libri selezionati dal Comitato direttivo concorreranno anche alla seconda edizione del Premio Strega Giovani, che coinvolgerà una giuria di circa quattrocento ragazze e ragazzi, di età compresa tra i 16 e i 18 anni, in rappresentanza di quaranta licei e istituti tecnici diffusi su tutto il territorio italiano e all’ester
Le “Bùlastrocche” che sconfiggono le paure dei bambini
Giulio Gasperini
AOSTA – Marco Zanchi è un avvocato con la passione della poesia e delle filastrocche. Dopo il riuscito esperimento delle Gufilastrocche (La Toletta edizioni), i suoi testi tornano in libreria nel volume Bùlastrocche, edito da CLEUP (Coop. Libraria Editrice Università di Padova), con i disegni di sei bravissimi illustratori: Alessandro Coppola, Luca Monfardino, Sergio Olivotti, Miriam Serafin, Mariacecilia Tiozzo e Tommaso Vidus Rosin, e la postfazione di Livio Sossi, docente di letteratura per l’infanzia all’Università degli Studi di Udine e all’Università del Litorale di Koper (Capodistria).
Le “Bùlastrocche” sono raccolte in sei sezioni, ognuna illustrata da un autore diverso. Si inizia coi “Rimostri”, illustrati da Tommaso Vidus Rosin, una carrellata di filastrocche sui mostri che più diffusamente popolano gli incubi dei bambini, dall’orco (“tutto nero e pure sporco”) alla strega (“d’evitarla dunque prega”) allo yeti (“non c’è molto da star quieti”). I disegni di Luca Monfardino accompagnano la seconda parte, quella dei Mischiamostri: lo Spaventatutti (“Spaventar la sua missione”), Mummiao (“Gatto nero imbalsamato”) e la Sirenera (“di carattere astiosa / Sirenetta tenebrosa”). Le Cadaverime, le cui immagini di Sergio Olivotti così tanto ricordano il Tim Burton de La sposa cadavere, sono la terza sezione, dove compaiono gli abitanti del mondo dei morti: gli zombi (“rigidini come piombi”), lo scheletro (“della linea ne va fiero”), Dracula (“brutto pure è il suo castello”). Gli animaloschi sono i protagonisti della quarta sezione, decorata da Mariacecilia Tiozzo: il T.Rex (“era ghiotto di budino”), il serpente (“vorrebbe a tutti dare un gran morso”), lo squalo (“da domani via in montagna / là lo squalo non ti magna”). La quinta sezione è dedicata invece alle paure più diffuse tra i bambini, con le illustrazioni molto oscure di Miriam Serafin: la siringa (“tutti temon la siringa”), l’interrogazione (“e poi svieni per tre ore”), gli occhi nel buio (“vedi solo pelouche sopra il tuo letto”). L’ultima sezione, con le illustrazioni di Alessandro Coppola e il suo personaggio dai capelli rossi, è dedicata a paura più sociali e collettive: la fame (“resta il morso della fame”), l’inquinamento (“acqua putrida e fetente”), i ladri (“scoprirli in casa vestiti di nero”).
Le “Bùlastrocche” affrontano le paure più frequenti dei bambini, ma che spesso anche molti adulti cullano nel proprio intimo, incastonate nell’essere più profondo (e che troppo sovente non hanno il coraggio di affrontare compiutamente). Per questo, le “Bùlastrocche” sono uno strumento, quasi un mantra o un salmo da ripetere, per chiunque abbia a che fare con un’angoscia, un trauma, un terrore. Le immagini splendide dei sei illustratori trasportano la parole su un piano diverso, visivo e decorativo, colorato e spesso crudelmente evocativo, e danno più valore e più potenza al potere curativo delle rime e dei suoni. Sono giocose, è vero, queste filastrocche, ma si sa che il gioco ha potenzialità enormi, e la parola ancora di più.
Il diario di un ragazzo alla guerra del ’15.
Giulio Gasperini
AOSTA – Ci sono dei libri oramai perduti che fa un gran piacere rileggere. Questo è il caso di Guerra del ‘15 di Giani Stuparich, uno degli ultimi intellettuali della cultura triestina, ristampato da Quodlibet nella collana “In ottavo grande”. La genesi di “Guerra del ‘15”, che in occasione del Centenario della Grande guerra diventa strumento notevole, è stata lunga e complessa: tanto ben descritta da Giuseppe Sandrini nel saggio a conclusione del volume: “Giani Stuparich: poesia e verità di un ‘semplice gregario’”. All’origine, “un taccuino tutto sporco di rosso terriccio del Carso”; di quel luogo dove Stuparich combatté come Sottotenente del 1° reggimento dei Granatieri di Sardegna, insieme al fratello Carlo.
“Guerra del ‘15” è un documento prezioso, per cercare di capire quella guerra che tanto ha significato per l’Italia e per intere generazioni di ragazzi entusiasti di un ideale. Dagli appunti di quel taccuino, Stuparich ha rielaborato le pagine di questo diario, pubblicato in una prima versione nel 1931. La guerra è fatta di appunti, di annotazioni, spesso in situazioni di emergenza (come le poesie di Ungaretti). È fatta di brevi e fulminanti considerazioni, spesso acquisite sotto il tiro delle granate o nei momenti di disfatta stanchezza. Quello che leggiamo, è un testo ovviamente riveduto e manipolato, ma ciò non lo priva della sua freschezza di testo diaristico, di narrazione intima e disperatamente autobiografica.
Sono frammenti di immagini, quelli che popolano “Guerra del ‘15”, schegge di ricordi che tessono una trama ancora più intensa e massiccia. La grande aggettivazione, l’accumulo sinonimico, il periodare breve brevissimo rendono un’immagine vivida, intensa, robusta del ricordo. È un diario che continuamente, ostinatamente (senza rassegnazione, però), ci parla di come la guerra cambia il mondo, peggiorandolo: “Le prime volte odoravano di pino tagliato di fresco, ora sanno, ogni volta di più, di marciume”). La natura viene descritta nel particolare, soffermandosi sulla sua bellezza, che spesso fa da contraltare alla furiosa devastazione prodotta dalla guerra o che viene distrutta e sterminata dalla barbara violenza della guerra stessa: un rapporto stretto e complesso, dunque, al quale il poeta-soldato non riesce ad abituarsi. La guerra è un meccanismo crudele, persino inspiegabile in certi elementi, è un abbrutimento umano dove ricompaiono i desideri dei bisogni più primari, a cominciare da quello del pulito. Tutto questo Stuparich ce lo racconta con uno stile perfetto, cesellato; l’italiano è elegante e ricercato (ma non artefatto né adulterato). Non c’è la fretta del diario, in questi appunti, ma c’è la naturalezza del racconto appassionato.
Quella della guerra del ’15 è stata senza dubbio una delle esperienze più impattanti della storia moderna dell’Italia, e dei ragazzi che si sono trovati a combattere tra trincee e montagne impervie per un’ideale che chissà quanto era stato compreso veramente. Giani Stuparich, con la sua testimonianza, ci prova che evidentemente l’ideale non sempre basta; e che, in definitiva, la guerra è soltanto un massacro.
I paradisi artificiali di Maria Callas
Luca Vaudagnotto
AOSTA – Sognando Maria Callas di Alessandro F. Ansuini è un libro anarchico e ardito. E beffardo. In una nota di lettura che apre il volume, edito da Meridiano Zero, il lettore viene avvisato che in realtà sta leggendo due libri, un romanzo e una raccolta di racconti: questi racconti, che riempiono la seconda parte, sono collegati alla vicenda principale da alcune parole o frasi che si trovano sottolineate nel testo e che ne diventano il titolo. Ci ritroviamo a leggere, insomma, la deriva di un’esistenza, quella del protagonista Enea, in quel popoloso deserto che appellano Bologna, a cui sono collegate, tramite questi link che ricordano un po’ i librogame degli anni ’90, altre esistenze e altre derive: coppie di scambisti, bellissime dj osservate da ragazze brutte e complessate, un gruppo di poliziotti in servizio. Ad accompagnare questo vagare di Enea, Maria Callas che canta nelle sue cuffie, come un rifugio, un paradiso artificiale dove tutto trova tregua.
Ma l’autore Ansuini è ardito, l’abbiamo detto, e si spinge ancora oltre: procedendo con la lettura ci rendiamo conto che il romanzo principale non è che un pre-testo, un contenitore che ingloba in sé un mare di coscienze collettive, o entità psichiche, che confluiscono in un gigantesco flusso di coscienza, fatto non solo di pensieri, ma ricordi, incontri, impressioni, esistenze vere o ipotetiche, o ancora immaginate, come nel caso dei copioni di film possibili, presenti nei racconti; e il lettore crede a tutto questo, perché a ben guardare ad ognuno di noi, quando cammina per strada, succede lo stesso. E pure i racconti non sono racconti: sono dialoghi, sono frasi, sono riflessioni, sono flashback.
Esplodono le forme letterarie, esplode il linguaggio: l’autore fa uso di un italiano contemporaneo, l’italiano del pensiero della gente, arricchendolo di immagini e figure ardite, appunto, e stuzzicanti (“il tuorlo di un giorno”, oppure “la calligrafia della rete elettrica di Bologna”), senza mai diventare lezioso o artificioso.
Infine l’inganno: sì, perché dopo averci fatto credere nell’effettiva esistenza di questo magma di coscienze, scopriamo che ci siamo sbagliati, che tutto ciò non esiste, che il romanzo andrebbe riletto. E comunque non troveremmo la risposta alla domanda cruciale: la vita pensata e la vita vissuta sono davvero entità separate?
Voci oltre e altre cose storte: suoni e parole
Giulio Gasperini
AOSTA – Immergersi nella poesia di Fernanda Ferraresso è un’occasione imperdibile. Per quella successione di suoni, richiami, echi che le parole scelte riescono a produrre, trasportandoti in un ambiente che si scontorna senza confini certi e sicuri. Voci oltre e altre cose storte, edito nel 2015 da Terra d’ulivi edizioni nella collana rime&rami, è una raccolta corposa e complessa di liriche, che accompagna il lettore in un viaggio multiforme e vario, dalle tante declinazioni e diramazioni.
Come il titolo stesso suggerisce, l’attenzione è subito catturata dal gioco di significati e significanti che si squaderna nelle liriche. Questo gioco ritmico e fonico dà forma a una sostanza molteplice, che comprende principalmente tematiche sociali (“e in molti posti / dove abbattono gli alberi per lasciarci più poveri”) varie. La parola viene presentata “senza una veste / ovvero / nudismo della parola”: “costruire parole senza accorgersi / che dentro e intorno esplodono / non sono muri o case le parole”. Parola che spesso è anche difficile, faticosa da ritrovare, disagevole nella ricerca e nella rappresentazione di una fisica tutta creata e teorizzata in poesia: “dentro i cinque sensi rivòltati / contro la mia testarda intolleranza di perderti / frantuma i miei cieli i miei gesti corruttibili / inventati un silenzio che mi accerchi e dilaghi / dentro e oltre di me cancella la gravità che ci costringe / disegna distanze che si nutrano d’infinito”.
La poesia è un dialogo, con un immaginario “tu” che in ogni occorrenza assume un valore diverso, profondo, una ricerca costante, un volto sempre nuovo e diverso: “lascia che prendano spazio / tutto quello che è in te così che poi / sulla linea principale della mano / quella che corre da nord a sud il nostro mistero comune / ci sia un luogo / uno dove vivere entrambi”. Il desiderio sottaciuto è quello di riuscire a costruire stimolanti altrove, luoghi lontani dall’attualità dove si riesca a far nascere e crescere qualche seme buono: “e una corrente ci porta lontano lontano lontano / dove abitiamo tutti e tutti ci riconosciamo solo toccandoci / solo dandoci una mano”. Ma il “tu”, spesso, diventa anche “altro-io” con cui relazionarsi e confrontarsi, colmando mancanze e ridonando significati profondi: “mi manco sempre un poco / mi manca sempre un poco di quell’altra me”.
C’è anche una continua ricerca nel sé stesso più intimo e profondo; una ricerca che alla poesia e alla sua parola deve molto perché arma indispensabile per tracciare una rotta sicura, anche nella condizione della più assoluta solitudine: “così a lungo un deserto che ho misurato in me / in cui sono andata sempre / sola e solo per andare avanti”.
La narrazione di questa lunga avventura poetica parte da un’origine, potente e feroce, che è quella geografica dell’Africa: “annuso ancora l’aria e / calda violenta / mi riporta l’africa / da cui nasco”. Da lì, un cammino, lungo e faticoso (“otto grani di miglio / otto grani per segnare migliaia di impronte / lasciate sulle strade che ho percorso e / s’intrecciano si biforcano si tagliano e / dentro ci sono / case animali ci sono persone suoni”), che fa rendere l’uomo cosciente di sé e delle sue potenzialità infinite, oltre che delle sue esperienze intense e imprescindibili: “quello che ognuno porta in sé raccolto da storie perdute / anche se non valuta la propria vita in semi da un altrove”.
“Cade la terra”: abbandono di luoghi e storie.
Giulio Gasperini
AOSTA – Esiste, da qualche parte, un paese sempre in bilico, costruito su una frana che di volta in volta sacrifica case, costringe all’evacuazione e all’abbandono, spopola e costringe a una precarietà esistenziale (oltre che abitativa). Poi, esiste una narratrice, Estella, che decide di rimanere, da viva, in quel paese che di vivi non ne conosce più; semplicemente per raccontare le storie che altrimenti andrebbero perse. Carmen Pellegrino ha una passione sconfinata per i luoghi abbandonati e in questo Cade la terra edito nel 2015 da Giunti Editore dà vita a una società persa, alle sue storie dimenticate, a dei destini che troppo tardi vorrebbero essere cambiati.
Alento è una città che non esiste, ma che potrebbe; di paesi abbandonati, infatti, ne esistono centinaia, anche in Italia: da Craco, in Basilicata, a Vagli, in provincia di Lucca. Tutti paesi dove la caduta può diventare metafora di una condizione umana perennemente precaria ma dove sono comunque accadute delle storie, dove hanno vissuto persone, dove si sono intrecciati destini. Ma nessuno li racconta. Diventano paesaggi da cartolina, da escursione nella più sicura avventura; nessuno, probabilmente, si ferma di fronte a una porta, a una finestra oramai cieca, chiedendosi chi abitasse, lì dentro. Un po’ come visitare il quartiere di Varosia, a Cipro, evacuato in tutta fretta e lasciato così, esattamente così, intatto anche nella disposizione delle stoviglie sui tavoli familiari.
Carmen Pellegrino è cultrice dell’abbandonologia, inesistente ma sempre più importante disciplina che ci mette in relazione con l’abbandono, nelle tante forme nel contemporaneo assume, spesso più ambigue perché meno evidenti. Nel suo “Cade la terra” riesce a costruire un mondo che tanto ricorda la Macondo di Gabriel García Márquez ma meno esotica, più poetica, e più affine alla nostra sensibilità. Estella è una tiranna, perché da viva costringe i morti a tornare a raccontare i loro destini furiosi, le loro storie crudeli, le loro esistenze infime. Niente di glorioso né di eroico, soltanto apparenti sconfitte. Come fosse l’ennesima violazione delle loro vite. Ma nell’atto di Estella è nascosto un gesto di pietà: non crudele voyeur, né sadica dittatura memoriale, ma un tentativo di riconsegnare loro un nuovo destino, un finale migliore, come se potesse mai esistere una degna ricompensa, o un onesto risarcimento.
I personaggi di Carmen Pellegrino sono curati in ogni loro sfumatura, sono tratteggiati con la magia di una favola, di una storia che scontorna tempi e luoghi e che fluisce con la delicatezza e la finezza di un antico racconto. Pellegrino tratteggia i contorni e dona sostanza e consistenza a un’umanità ricchissima di sfumature e declinazioni, di donne e uomini che “si abituarono all’instabilità del suolo sopra il quale si svolgeva la loro vita come a un’ineluttabilità contro cui non potevano far niente”.
Una cartolina dalla Torre Eiffel
Luca Vaudagnotto
AOSTA – È stata dipinta, fotografata, disegnata; è stata sfondo di racconti gialli, romanzi d’amore e ritratti; è stata ispiratrice di versi, dibattiti e accese polemiche. Ora è oggetto, o meglio soggetto, di un “pacchetto”: un libro-cartolina completamente dedicato a lei, la Torre Eiffel, del quale è appunto la protagonista indiscussa, viva e palpitante. Nel volumetto Torre Eiffel. Due o tre cose che so di lei, curato da Eusebio Trabucchi e pubblicato per i tipi di L’Orma Editore (nella collana I paccheti dei luoghi), troviamo una completissima raccolta di informazioni di ogni genere, dai dati tecnici agli orari di apertura fino a ogni sorta di aneddoto e pettegolezzo che la riguardi; una biografia, insomma, della sola e incontrastata première dame de France, checché ne dicano i suoi detrattori.
Dopo un primo capitolo dedicato ai numeri e alle date della Tour Eiffel, tra cui figura un’affascinante carrellata di immagini storiche che testimoniano le tappe costruttive a partire dall’agosto 1887 fino al marzo del 1889, si prosegue con l’alfabeto della Torre, in cui, lettera per lettera, il lettore viene catturato dalle piccole e grandi storie, vecchie e nuove, che hanno riguardato e tuttora riguardano la dame de fer: troviamo la creazione dei Calligrammes del poeta Apollinaire, uno dei quali ha la forma della Nostra, il resoconto del più grande raggiro della storia, in cui tale Victor Lustig tentò di vendere i pezzi della Torre ma anche la realizzazione di imitazioni sparse nel mondo e le panoramiche di Google. A seguire, un’interessante raccolta dei testi comparsi sulla stampa parigina all’epoca della costruzione che riporta la polemica che accese la realizzazione di un’inutile mostruosità nel VII arrondissement; a chiudere il volume, invece, proposto in questa accattivante veste grafica che trasforma il libro in una vera e propria cartolina da spedire, troviamo una collezione di poesie ispirate alla Tour, tra cui spiccano i versi di Majakovskij (Parigi – due chiacchiere con la Tour Eiffel) e Éluard (Sogno).
Abbiamo tutti visto un’infinità di volte la Tour Eiffel e tutti la conosciamo nei particolari: con questo omaggio, L’Orma Editore ci regala occhi nuovi per guardare come se fosse la prima volta l’unica vera regina di Francia dopo Maria Antonietta.