Daniela Distefano
CATANIA – “Il lettore Walter si tiene all’apposito sostegno dell’autobus numero trentadue ed è concentrato su una delle prime righe del libro che ha iniziato a leggere. Mezzo intontito dal caldo, dai movimenti ondulatori dell’Irisbus, che affronta tappeti di sampietrini, il lettore è rimasto incantato dalla frase “l’oleandro adombrava lo spicchio di marciapiede davanti casa sua”. E si è immaginato il perché del termine adombrare. Ombreggiare è un conto (così pensava mentre una curva quasi lo buttava per terra) adombrare è un altro. Ombreggia fa pensare a “fa ombra”. Adombra fa pensare ad altro, segnala qualcosa di nascosto. Walter pensa che lo scrittore del libro non vuole dire semplicemente che fa ombra, ma vuole dire che magari una determinata cosa sta per accadere o è accaduta a causa dell’oleandro che adombra”.
Questo brano fa parte del racconto La prospettiva dell’assassino, da cui prende il titolo una raccolta di nove brevi storie (edita da Il Seme Bianco) che sono “Il macinacaffè elettrico”; “Il catalogatore”; ”L’incantatrice di gabbiani”; “Si torna a casa”; “Il mondo è questo”; ”Scuola di periferia”; “Virginia”; “Troppa vita”; e per l’appunto:“La prospettiva dell’assassino”. L’autore, Fabio Marricchi, ci propone una polenta di sconcerti, di illusi personaggi che trovano sfogo solo nella meccanicità dell’essere. Protagonisti che compiono azioni automatiche, o si gingillano in contropiedi concettuali, pur di sviare il baratro della solitudine, dell’alienazione, della incomunicabilità umana. Se traballa la fiducia nella familiarità che ci circonda sin dal primo vagito, interviene la valvola di sicurezza delle persone perdute, si cataloga la vita, ci si permette una devianza, si macera un tributo alle passioni, ci si disperde nel mare di scabbia sentimentale. E poi si affonda, ma lentamente, avendo tutto il tempo per pensare a come trascorrere gli ultimi istanti di lucidità. Il loro è un rifiuto da vili, non si lotta per i propri ideali, non c’è alcun ideale. Nessun combattimento eroico, nessun vincitore, solo il ronzìo di un apparecchio elettrico che sottolinea il nostro punto d’approdo nel nulla, nella fragilità. In un stile ben prefigurato, in una lingua che sembra trasudare venature polpose, l’autore sguazza tra storie che inceneriscono le colonne del nostro Tempio interiore, dove un baluginìo è segno di un bellissimo, martoriato, tramonto di ogni sogno.
Fabio Marricchi è nato a Roma nel 1957. Giornalista, cronista per diverse testate e addetto stampa. È laureato in Lettere e in Scienze della Comunicazione. Due suoi racconti sono arrivati in finale nei concorsi letterari di Carta Carbone, a Treviso nel 2015 e Premio Zeno, a Salerno nel 2017. Nel 2018 ha pubblicato un micro racconto in un’antologia curata da una casa editrice romana.