"La morte al cancello", il raffinato noir di Gianni Simoni pubblicato da TEA

Alessia Sità

ROMA – Una donna uccisa crudelmente, due miseri barboni eliminati perché ritenuti pericolosi e una città enigmatica, che nasconde un lato oscuro, troppo inquietante. Sono questi gli ingredienti del nuovo romanzo di Gianni Simoni, “La morte al cancello” edito da TEA nella collana Narrativa Tea.
Per il commissario Miceli, ancora una volta affiancato dall’instancabile ex giudice Petri, e per la sua squadra investigativa c’è un nuovo intricato caso da risolvere.
In una fredda notte bresciana, si consuma il barbaro delitto della moglie di un noto luminare di cardiochirurgia. Pochi giorni dopo, in città si apprende la notizia del ritrovamento dei cadaveri di due senzatetto. In apparenza, gli omicidi sembrano non avere nessun legame, ma andando avanti le indagini si incrociano inevitabilmente.

Il lavoro della polizia si fa sempre più meticoloso, non bisogna tralasciare nessun particolare, perchè anche il più abile killer può commettere errori o leggerezze. La pista principale seguita sembra essere quella di un omicidio su commissione, ma qualcosa nel quadro complessivo della vicenda non torna. Ci sono troppe domande senza risposta. Perché la donna è stata uccisa? E chi poteva avercela con due barboni disgraziati? Le ipotesi e gli indizi aumentano sempre di più e la pazienza, talvolta, sembra venir meno. La coppia Miceli – Petri però non si arrende. Le indagini continuano senza sosta, fino a quando anche l’ultimo tassello del complicato puzzle non trova posto.
Ogni personaggio, ogni evento è descritto passo dopo passo con estrema accuratezza. Gradualmente la soluzione prende finalmente forma. Attraverso una scrittura diretta, talvolta ricorrendo anche all’uso della lingua dialettale, l’ex magistrato riesce a coinvolgere il lettore in una complessa vicenda che nasconde un retroscena di tradimenti e infinito degrado. Il raffinato giallo di Simoni tiene col fiato sospeso fino all’ultima pagina, finché la giustizia non avrà fatto il suo corso.

Presentata la X Edizione del "Festival delle Letterature"

Silvia Notarangelo

Roma – Ai 150 anni dell’Unità d’Italia dedica, quest’anno, una particolare attenzione il Festival Internazionale delle Letterature, in programma a Roma, presso la suggestiva Basilica di Massenzio, dal 19 maggio al 23 giugno.

Al centro di questa decima edizione, come annunciato da Maria Ida Gaeta, curatrice della rassegna, il rapporto tra letteratura e storia e le sue possibili sfaccettature.
Ad inaugurare il festival sarà un gradito ritorno, quello dell’americano Don De Lillo, autore di Underworld e de L´uomo che cade, accompagnato sul palco da Sandro Veronesi.
Ogni serata vedrà protagonista un’inedita coppia di scrittori, uno italiano e uno straniero, che, legati da sottili analogie, daranno vita ad un affascinante confronto in cui ognuno avrà modo di esprimere il proprio, personale, punto di vista.

 Tra i nomi in cartellone, Stefano Benni e David Sedaris, Margaret Mazzantini e David Benioff, Michela Murgia e Clara Sànchez.
Momento centrale di ogni appuntamento (sempre a ingresso gratuito) sarà, come da tradizione, la lettura, in lingua originale, di testi inediti, interpretati da noti attori. Il programma, ulteriormente arricchito da immagini di opere di artisti italiani, potrà contare, inoltre, sulle consuete performance musicali, che vedranno alternarsi musicisti di fama internazionale come Nicola Piovani.
La crescente partecipazione nel corso degli anni e il costante apprezzamento del pubblico rendono questo festival un appuntamento atteso che, anche in questa nuova edizione, promette di non deludere.

"Dentro la setta": un fumetto per raccontare la drammatica esperienza delle sette

Stefano Billi
ROMA Se è vero che i fumetti hanno tradizionalmente il ruolo di fornire svago e ristoro al lettore, lasciando dunque ai libri l’arduo compito dell’erudizione, talvolta essi riescono a trasmettere messaggi profondi ed assolutamente seri.

Prova di ciò è “Dentro la setta”, sconvolgente pubblicazione di Louis Alloing e Pierre Henri (edito Coniglio Editore) che racconta una vera esperienza legata alla partecipazione in una setta.
La trama dell’opera fa riferimento all’ingresso di Marion, giovane pubblicitaria protagonista della vicenda, in questa “comunità”; questo personaggio narra, tra le pagine, tutto il periodo trascorso come adepta di questo pseudo-movimento, orientato – a suo dire – allo sfruttamento di coloro che vi si affilano, piuttosto che alla progressione culturale ed individuale dei suoi membri.
In maniera scorrevole ed immediata le tavole raffigurano la drammaticità degli individui che fanno parte delle sette: sottoposti a lavori degradanti e a ritmi di vita disumani, essi sono costretti a subire vere e proprie angherie, che poi spesso sfociano in coercizioni psicologiche.
La tecnica grafica del fumetto è particolare: la scelta dei colori, dove la preminenza è affidata ad un blu quanto mai spento e affievolito, riecheggia l’inquietudine della condizione di Marion, che nel periodo in cui era un’adepta, lamentava una mancanza assoluta di libertà.
In considerazione di ciò vale la pena citare le parole della stessa Marion la quale afferma: “Il fatto che io fossi uscita dalla setta non significava che la setta fosse uscita da me“; così infatti la protagonista descrive le difficoltà provate non appena era riuscita a sottrarsi dalla “comunità”.
Lo stile linguistico è semplice e immediato, certamente proteso a veicolare un messaggio d’allarme e di cautela; per questo nel testo non si ravvisa l’utilizzo di espressioni di particolare complessità o di figure stilistiche elaborate.
Questo fumetto merita di essere letto per la funzione sociale che svolge, e per il valido tentativo di mettere in luce quella che per gli autori è la terribile realtà delle congregazioni para-religiose, che troppo spesso rischiano di tramutarsi, come desunto dall’opera di Louis Alloing e Pierre Henri, in campi di concentramento per lo spirito e l’animo di coloro che subiscono la iattura di farne parte.

"Come eliminare i giornalisti (senza finire in prima pagina)", provateci!

Giulia Siena
ROMA – “Questo è un manuale di autodifesa. E non sorprenda il fatto che a scriverlo sia un giornalista. In oltre trent’anni d’attività ho conosciuto molti colleghi e di ognuno ho cercato di mettere a fuoco pregi e difetti.” Per essere solo all’introduzione, il libro del giornalista salernitano Gabriele Bojano, “Come eliminare i giornalisti (senza finire in prima pagina)”, promette svariate sorprese. Pubblicato il mese scorso da Mursia, il dissacrante libro o il “divertente pamphlet”- come lo ha definito Maurizio Costanzo nella prefazione – racconta la figura del giornalista attraverso 50 prototipi ben definiti di professionisti del settore. Bojano suddivide il libro in nove parti e, in ognuna di esse, descrive giornalisti caratterizzati da pessimi comportamenti professionali, sociali e umani.
Così, il mestiere più difficile del mondo (difficile più degli altri poiché spesso se non sei raccomandato non lavori, invece quando il giornalista lavora non viene riconosciuto come tale, quindi, non viene retribuito o sottopagato) è in mano a gente strana che si comporta in modo strano e ha pretese strane. Dal “giornalista hulk”- facile agli isterismi – al “giornalista glocale” – totalmente dedito agli scoop casalinghi del suo piccolo paese da non accorgersi del resto del mondo – passando per il “giornalista dinasty” – designato dagli dei come continuatore della stirpe giornalistica – fino al “giornalista oh happy day”- per il quale c’è sempre un motivo per festeggiare. Ognuno di loro presenta diversi motivi per irritare conoscenti e colloghi che di solito incontra sulla sua strada, ma un modo per eliminarli c’è: Bojano ne suggerisce uno per ogni tipologia di giornalista. Provare per credere!

"Diario di un gatto con gli stivali", l’interessante libro di Roberto Vecchioni

Stefano Billi
Roma “Niente è come appare, ragazzo, soprattutto per l’uomo che è di per se già apparenza”.
Aveva ragione Palissandro di Trezene, nei suoi Ta Antikeimena, a sostenerlo, e ha quanto mai ragione Roberto Vecchioni a ribadirlo nel prologo del suo libro, “Diario di un gatto con gli stivali” (Einaudi, 2006).
Infatti sempre più spesso la realtà quotidiana ci si mostra sotto innumerevoli sfaccettature, e sempre più spesso siamo tentati di andare alla ricerca di una non-realtà, ovvero di crearci degli alibi oppure delle giustificazioni che di tale realtà vorrebbero farsi manifestazione.
Ed è per questo che nascono le favole: esse rappresentano le nostre psicologie, celano le nostre paure e mettono a nudo tutti i nostri desideri e le nostre passioni.
Nel suo libro, Vecchioni – da cantautore e cantastorie quale egli è – si diverte a reinterpretare le fiabe più tradizionali, mischiando le carte in tavola, nell’accattivante gioco di stravolgere i ruoli e le sorti dei buoni e dei cattivi: e così le principesse si annoiano, i principi azzurri divengono uomini e i gatti con gli stivali tengono diari come gli adolescenti.
Superficialmente, questo libro sembra adatto ad un pubblico di bambini, ma se lo si legge sotto la giusta luce rivela quel gusto del contrario e quell’incertezza che talvolta contraddistinguono la nostra vita.
L’unico difetto che si può riscontrare nel testo consiste nell’utilizzo di una terminologia un po’ troppo verace, immediata e grottesca, pur tuttavia mai esageratamente volgare ed irrispettosa nei confronti del lettore; con grande abilità, l’autore sa ben risollevarsi da questi momenti per riprendere le sorti del discorso in maniera assolutamente originale ed inaspettata.
Il “Diario di un gatto con gli stivali” è un libro davvero appetitoso, ideale per quei palati letterari alla ricerca di storie vivaci e divertenti.

"La rivoluzione delle api". Serge Quadruppani per VerdeNero


Silvia Notarangelo
Roma “La rivoluzione delle api” è il titolo del nuovo  libro di Serge Quadruppani, pubblicato nella collana  noir di ecomafia di VerdeNero (Edizioni Ambiente): un romanzo dalla prosa scorrevole, in cui il lettore viene catturato non solo dalle immancabili indagini investigative ma anche da interessanti spunti di riflessione sul progresso scientifico e sulle sue, talvolta inquietanti, conseguenze.

Nella tranquilla Val Pellice un ingegnere e un apicoltore sono uccisi. Dietro entrambi gli omicidi una stessa, misteriosa firma “la rivoluzione delle api”. Che cosa hanno in comune? E, soprattutto, c’è un legame con lo sconvolgente disgregamento delle colonie di api?

A fornire una risposta a questi interrogativi ci pensa il commissario capo Simona Tavianello, persuasa a trattenersi in Piemonte dalla convinzione che, tra quelle montagne, “sta succedendo qualcosa di importante”. Determinata e dotata di notevole intuito, è lei a dare ascolto ai vari personaggi che, in misura diversa, contribuiscono a ricostruire il movente e a dare un nome all’assassino.
Tra gli indiziati, l’attenzione si concentra su un comitato di apicoltori spaventati dagli effetti devastanti dei pesticidi, e su una multinazionale, la Sacropiano, la cui attività di ricerca sulle nanotecnologie non passa inosservata.
In un susseguirsi di informazioni e foto rubate, telefonate segrete, interessi politici smascherati, la verità riuscirà a venire alla luce.
Se la rivoluzione delle api è cominciata ed è quindi “arrivato il momento di dire basta con l’apologia della supertecnologia”, forse, non resta altro che sperare in “una nuova forma di alleanza fra gli esseri viventi in cui l’uomo non sarà più al centro di tutto, ma una componente in mezzo alle altre”.

"Che intellettuale sei?" La figura dell’intellettuale di ieri e di oggi

Alessia Sità
ROMA – “Gli intellettuali sono sempre stati in competizione con i preti. Mentre i preti ti vengono incontro con il sorriso paternalistico di chi ha Dio in tasca e te ne offre un po’ a condizione che tu gli offra obbedienza, così gli intellettuali laici moderni si presentano al mondo come coloro che dicono la verità e difendono la libertà.”
Questo è quanto scrive Alfonso Berardinelli nel suo nuovo libro “Che intellettuale sei?”edito nel 2011 da Nottetempo, nella collana Gransasso.
L’autore tiene subito a precisare che ‘gli intellettuali non sono un gruppo, né un partito della verità: sono qua e là, non hanno potere, e se lo cercano si mettono al servizio di chi lo ha”. Schierarsi da una parte piuttosto che dall’altra, però, sarebbe un controsenso, sarebbe come snaturarsi e perdere la misura di ciò che si è.
Berardinelli passa in rassegna ben tre tipi di intellettuali: il Metafisico, il Tecnico e il Critico. I primi ‘si credono e si vogliono Critici’; i secondi ‘a loro volta si sentono massimamente critici, realistici, concreti e privi e di pregiudizi (…)’ ; gli ultimi ‘nutrono infine la presunzione di essere criticamente i più coerenti, dato che non credono né di credere né di sapere (…)’.
L’analisi prosegue tenendo in considerazione anche i rapporti morali e letterari con la politica, ‘per il sociologo e il politico gli intellettuali sono una categoria, una serie di corporazioni e di gruppi di pressione’. Esiste, però, anche una sorta di contraddizione fra Cultura e Società, che già dall’Illuminismo ha contribuito ad alimentare l’immagine dell’intellettuale misantropo, ovvero ‘un individuo indocile alle buone regole della socievolezza’. Insomma, il dibattito affrontato dal critico letterario non sembra essere di facile soluzione, da una parte vi è l’idea di intellettuali intesi come ‘artisti del pensare e del sapere’ e dall’altra vi è l’immagine di misantropia che pare appartenere a questa pseudo ‘categoria di professionisti’.
Con una certa vena umoristica, dietro la quale sembra paventarsi anche una nota polemica, Bernardelli affronta un quesito culturale particolarmente interessante, descrivendo l’intellettuale di ieri e di oggi con tutti i suoi paradossi.

"Statale 18": una strada su cui oggi si gioca la partita finale tra conservazione e ricostruzione

Alessia Sità
ROMA‘In mezzo alla statale 18, insomma, corre un mondo e una vita che fermenta come il mosto di una cattiva vendemmia. Qui c’è tutto quello che sta a sud di Gomorra.’
Così scrive il professore di Antropologia Culturale ed Etnologia, Mauro Francesco Minervino, nel suo libro “Statale 18” pubblicato nel 2010 da Fandango Libri.
La Salerno – Reggio Calabria non è semplicemente una strada statale, ma è una chiara testimonianza di un degrado che ormai consuma, logora e affligge sempre di più l’Italia. Questa striscia di asfalto, lunga 600 chilometri, è la traccia di una ‘gestione scriteriata delle coste cementificate’, dell’abusivismo, delle contraddizioni di una terra che deturpa la bellezza mozzafiato dei suoi panorami senza alcuna pietà.

‘Una strada su cui oggi si gioca la partita finale tra conservazione e ricostruzione, paese legale e paese nascosto, cosche e istituzioni, nella continua dialettica di un sud che va ricapitolato con impegno civile e narrato con autentica passione’.
L’intento dell’autore non è tanto quello di fare un semplice elenco delle macerie e del degrado, piuttosto si intuisce il desiderio – molto forte per chi ha amato e continua ad amare i propri luoghi – di capire da dove è possibile partire per ricostruire e conservare una terra che ha ancora tanto da offrire, ma che con desolazione molti abbandonano per l’incapacità di combattere contro la ‘mostrificazione’. Solo la natura riesce a ribellarsi a questo orrore e solo ‘se si incazzano i santi’ qualcuno inizia a pensare che bisogna agire per fermare lo scempio, che ha quasi del tutto soffocato una terra dove ‘i desideri fanno in fretta a passare e diventano ricordi’.
Minervino riesce a raccontare, in modo poetico, e nostalgico al punto giusto, una profonda ferita del meridione, ma allo stesso tempo sembra voler dare una nuova speranza per chi sogna un futuro diverso per la Calabria.
“Statale 18” di Mauro Francesco Minervino, Roma, Fandango, 15 euro

Ammaniti ritorna a emozionare con il suo nuovo romanzo, "Io e te"

Stefano Billi
Roma – Diffidate, o lettori, da quei presunti esponenti di una non meglio definita “intellighenzia” che etichettano i libricini come meri prodotti commerciali, oppure come esemplari mal riusciti di storie che in realtà meritavano ampio spazio.
In realtà, dietro questi libelli molto spesso si celano storie commoventi e toccanti, come ad esempio quella narrata in “Io e te”, il nuovo romanzo di Niccolò Ammaniti edito da Einaudi.
La trama di quest’opera presenta caratteri davvero peculiari ed interessanti: Lorenzo, il protagonista della vicenda, si rifugia per una settimana intera all’interno di uno scantinato con l’intenzione di evadere dalla realtà di un carattere – rectius, di una caratterialità – che lo rende introverso e chiuso verso il mondo che lo circonda.

Ammaniti tratteggia in maniera originale, ma anche sincera e schietta, la problematicità di un adolescente che fatica ad avere relazioni con i suoi coetanei e che tuttavia dovrà poi cercare di aprire le porte del suo cuore ad un’inaspettata intrusa, la quale arrecherà forte scompiglio alla volontaria detenzione che Lorenzo si era procurato.
In questo libro scritto dall’Ammaniti, riecheggiano quei tratti interessanti che avevano caratterizzato l’opera prima dell’autore (intitolata “Branchie” ed edita anch’essa da Einaudi); c’è da sottolineare, però, che “Io e te” presenta inoltre molti spunti che fanno intuire come in tutti questi anni la penna dell’autore sia evoluta e maturata.
Infatti, in questo suo nuovo romanzo, Ammaniti abbandona quel modus scrivendi talvolta eccessivamente licenzioso che era presente in “Branchie” per dedicarsi invece alla creazione di una nuova storia che è capace di stringere il cuore.
Ci sono sentimenti particolari, nella vita, che riescono a creare legami con persone che abbiamo conosciuto per poco tempo, quasi di sfuggita; ma, talvolta, proprio queste occasioni strappate al destino riescono a incidere le pieghe della memoria e così quelle avventure che si presentano prima facie come situazioni indesirate e moleste, poi ci portano a scoprire la ricchezza presente nell’altro.
Verrebbe da ricordare quelle righe poetiche scritte da John Donne, dove si afferma che nessun uomo è un’isola oppure quegli ideali sani ed eterni sull’importanza del confronto come fonte di crescita interiore e spirituale.
Altro aspetto di assoluto rilievo di questo libro dell’Ammaniti, consiste nel richiamo fatto dallo scrittore alla drammaticità della tossicodipendenza, tematica ancora attuale e che troppo spesso viene analizzata come una piaga del passato, di una generazione alla deriva nel mare di un contesto culturale (come quello a partire dagli anni Sessanta) dove la droga era rifugio e scappatoia ai problemi della vita.
Un centinaio di pagine, quelle di “Io e te”, che condensano una vicenda tenera e originale, a cavallo tra una gioventù che deve ancora sbocciare e una maturità inesorabilmente smarrita.
Ammanititi conferma il suo originalissimo talento in un nuovo romanzo da leggere tutto d’un fiato, da assaporare sino all’epilogo, riflesso di una vicenda che sa intenerire davvero.

Poesia: "Tra melma e sangue" di Clemente Rebora

ROMA Il grande espressionismo linguistico di Clemente Rebora, uno dei più autentici poeti del Novecento, viene espresso con maestrìa nella raccolta di Lettere e poesie di  guerra curata da Valerio Rossi, “Tra melma e sangue” (Interlinea). Rebora testimonia la crisi drammatica della prima guerra mondiale, vissuta attraverso una vigilia tumultuosa e poi un’esperienza personale tragica «tra melma e sangue» che lascia una ferita indelebile. Nelle incandescenti lettere il poeta milanese parla di «esperienza non dicibile», di «mostruoso intontimento», di «Calvario d’Italia» e di «ammazzatoio di Barbableu» usando parole come «orrore», «tanfo», «imbestiamento». La guerra è abisso, è «inghiottitoio» e le poesie di Rebora (qui per la prima volta commentate) ne richiamano la natura vorace, la desolazione assoluta.
«Però se ritorni / Tu uomo, di guerra / A chi ignora non dire; / Non dire la cosa, ove l’uomo / e la vita si intendono ancora». “Tra melma e sangue” testimonia che la Grande poesia non smette mai di parlare.