"Maionese impazzita", la ricetta dell’amore nel XXI secolo

Giulia Siena
ROMA“Cara sorellina, l’amore è come la maionese – dichiara Federico mescolando svelto gli ingredienti – affinché funzioni davvero non bastano l’attrazione, il rispetto e la fiducia, ma il composto deve essere ben amalgamato in ogni momento. Altrimenti, come vedi, impazzisce.”
Tre storie, tre città diverse, una manciata di uomini e donne dei tempi moderni, una buona dose di sentimenti confusi, un po’ di peperoncino e una spolverata di ironia: questa la ricetta di “Maionese impazzita”. Il libro di Giorgia Colli pubblicato da Fermento nella collana Donne per le donne, unisce il quotidiano in tre diversi racconti. Federico non poteva scegliere lavoro migliore: nel XXI secolo lui è “Mr. Divorzio”, un avvocato divorzista che non guarda in faccia a nessuno, tanto meno all’amore. Questo “folle sentimento” lui non lo ha mai provato, ma le scommesse cambiano la vita e così, nei giorni del protagonista del primo racconto, la sperimentazione culinaria investe e cambia il suo modo di vivere. Oltre, Federico, due donne completano i protagonisti nati della penna di Giorgia Colli. Sono donne che sanno quello che vogliono, sono stanche delle decisioni prese per loro, contrarie al “maschio dominante” perché loro sanno e vogliono scegliere. L’amore, ora ha nuove regole. E Giorgia Colli lo sa perché sa osservare. Entra nella società di tutti i giorni con una lente d’ingrandimento particolare, una di quelle che segnala i cambiamenti storici e, quindi, sociali. 

"Cafone sarà lei"

Silvia Notarangelo
Roma L’estate è alle porte, le spiagge si affollano e il rischio di ritrovarsi immersi in un “universo parallelo” si fa incombente. Meglio allora correre ai ripari e dotarsi, sotto l’ombrellone, di “Cafone sarà lei” il divertente vademecum redatto, per Edizioni Cento Autori, dal giornalista Salvatore Manna. Protagonista assoluto, di questa guida dissacrante, il cosiddetto Pianeta Cafone, con tutte le sue fattispecie e un ampio repertorio di esemplari. La capitale può sfoggiare il suo coatto/coatta, il cui ruolo è stato recentemente ricoperto da Debora e Romina, due ragazze intercettate sul litorale, rese memorabili dal loro ‘na bira e un calippo. A Napoli imperversano i tamarri, categoria in continua evoluzione, piena di sfaccettature, che, complice l’innegabile creatività partenopea, si arricchisce ogni giorno di nuovi sinonimi.

Non è certo da meno il nord Italia, dove proprio la diffusione del vocabolo tamarro, in alternativa al piemontese truzzo, sembra confermare come il “genere” non conosca distinzioni di latitudine.

Attenzione, però, a non fare confusione: inutile additare come cafone chi parcheggia in doppia fila, chi svuota il portacenere dal finestrino o si esalta per sorpassi da immediato ritiro della patente. E’ vero, i confini possono essere molto labili, ma tra cafonaggine e semplice maleducazione persiste una sostanziale differenza.
Ogni settore, poi, come sottolinea Manna, può vantare una serie di illustri esemplari. Tra i vip il numero 1 è Flavio Briatore, seguito dai partecipanti, sempre più imbarazzanti, ai reality show. Nello sport primeggia, su tutti, il presidente del Napoli e produttore cinematografico, Aurelio De Laurentis, il cui repertorio linguistico sembra non poter fare a meno del termine “cafone”, adeguatamente corredato da gesti e atteggiamenti capaci di esplicitarne, in modo inequivocabile, il significato. Anche la classe politica non è certo priva di simili “modelli di comportamento”, tutti prontamente ripresi da Dagospia nelle sue apposite e seguitissime rubriche, “Cafonal” e “Cafonalino”.
Per fortuna, però, il cafone trascende i confini nazionali, ed ecco, allora, che Oltre Manica fa la sua apparizione l’anglo-cafone: per lui, partenza dalla periferia londinese, giri spericolati per le vie più chic e tappa nel solito pub. In questa speciale classifica, della serie “tutto il mondo è paese”, impossibile non annoverare i nuovi magnati russi, sogno di intere tifoserie calcistiche, il cui conto in banca sembra inversamente proporzionale ai discutibili, quanto ostentati, modi di fare.
L’ascesa del cafone o il simil-cafone appare, insomma, inarrestabile. Non a caso, per quanti desiderano approfondire ulteriormente l’argomento, si segnala il debutto televisivo di “Tamarreide”, una docu-soap che promette di far luce sul Pianeta Cafone, nella speranza di suggerire (anche) adeguate strategie di difesa.

"Il raggio verde", il vivido viaggio di Blaise Cendrars

Giulia Siena
ROMA – Blaise Cendrars: brace e cenere. Un uomo che ha vissuto con l’ardente curiosità di un viandante, uno scrittore che è rinato dalle proprie ceneri per portare avanti le sue storie. Blaise Cendrars (1887-1961), pseudonimo di Frédéric-Louis Sauser è l’autore de “Il raggio verde”, l’ultima pubblicazione di Via del Vento Edizioni nella collana Ocra gialla. Il volume, curato magistralmente da Antonio Castronovo, venne pubblicato per la prima volta nel giugno del 1938 sul settimanale francese “Candide” e, successivamente, inserito nella raccolta di racconti pubblicata in quello stesso periodo da Grasset, “La vita rischiosa”. Quest’ultimo titolo è emblematico per il vissuto dell’autore svizzero, la cui vita è stata segnata da una adolescenza vagabonda e dalla perdita, nel 1915 sul fronte franco-tedesco, della mano destra. Così, la quiete che aveva trovato nella scrittura durante la giovinezza ribelle ebbe una battuta d’arresto con il grave cambiamento che subì la sua esistenza. Ma, l’autore seppe gestire il proprio sconforto e rinacque dalle proprie ceneri, proprio come suggerisce il nome che si diede. Gli eventi tragici che segnarono le diverse tappe dell’esistenza di Cendrars, alimentarono e forgiarono una scrittura fatta “con gli occhi”, reale, luminosa, viva nella pagina; caratteristiche che fecero di Blaise Cendrars il “Matisse della scrittura”. 

Ne “Il raggio verde”(36 pagine) , l’autore riversa silenziosamente la sua esperienza di viaggiatore errante e di soldato sul fronte; “Il raggio verde” è la vivida cronaca di un viaggio attraverso l’Atlantico. Qui, due uomini si rincontreranno dopo aver combattuto la stessa battaglia e, nonostante le diffidenze iniziali, sapranno confrontarsi.
“Era la prima volta che lasciavo l’Europa dopo la guerra e se avevo scelto di salire su questo vecchio bastimento, la ragione era proprio di potermi fermare strada facendo, sperando addirittura di restare in panne a metà percorso, talmente la vita a bordo mi sembrava bella: trovavo davvero che fosse cosa buona riprendere contatto con l’universo, l’oceano, il cielo, il monsone, i pesci volanti, il calore dei tropici, l’acqua salata, le costellazione dell’altro emisfero, i pellicani e i gabbiani, la vera essenza delle cose, e i marinai, che sono gli uomini più comprensivi, ma anche i più misteriosi del mondo.”

"La versione di Barney", dove l’affermazione della propria verità diviene biografia

Stefano Billi

Roma E’ difficile trascorrere buona parte della vita sentendosi definire un omicida, o per lo meno, trascinandosi dietro il sospetto altrui circa un’ignobile azione che non si è mai commesso. Emerge così quel bisogno, del tutto naturale, di raccontare la propria versione dei fatti, di dimostrare che, in fin dei conti, quei pregiudizi accumulatisi negli anni altro non erano che meschine illazioni. Magari, un siffatto tentativo di discolparsi può condurre al racconto della propria vita, per far conoscere che si è profondamente brave persone, e che pur con tutti i difetti immaginabili, mai si arriverebbe a privare un altro uomo della vita, per di più se quest’ultimo è un amico. Questa prolusione è l’essenza del libro “La versione di Barney”, creato dallo scrittore Mordecai Richler e pubblicato in Italia dall’editore Adelphi.
La storia di questo testo è tutta imperniata sulla biografia di Barney Panofsky, produttore televisivo ebreo che vive in Canada, il quale sente il bisogno di narrare la verità sulle vicende che lo hanno portato ad essere incriminato per l’omicidio del suo amico Boogey (accusa che poi sarà ritenuta infondata) poiché pur nonostante l’esito giudiziale del caso, c’è ancora chi lo ritiene colpevole.
L’autore ha costruito il testo come un racconto in prima persona da parte di Barney Panofsky, dove appunto il protagonista, pur intento a discolparsi per ciò che non ha mai commesso, si ritrova poi a mettere per iscritto tutti gli episodi più importanti della propria vita.
Mordecai Richler, nell’elaborare questo libro, utilizza una tecnica assolutamente straordinaria: tutta la narrazione avviene attraverso la tecnica del flashback, che però non è adoperata in maniera continua, ma piuttosto si struttura come un continuo salto tra il passato e il presente.
Per di più, l’intero romanzo è diviso in base ad una categorizzazione a dir poco geniale, quella cioè di scandire i periodi dell’esistenza del Panofsky a seconda delle sue frequentazioni sentimentali.
E così l’elemento femminile diventa la lancetta cronologica della storia; sono le donne che plasmano la vita di Barney e che la rendono curiosa e inaspettata.
Il tono utilizzato per animare la storia si contraddistingue per la sua costante leggerezza, e ciò è testimoniato dal fatto che ogni episodio raccontato dal protagonista viene esposto in maniera divertente e spensierata, senza mai lasciare che la tristezza o l’angoscia prendano il sopravvento. Come un sopraffino droghiere, il Richler mescola abilmente romanticismo e ilarità, spesso accompagnando le pagine con espressioni colorite e veraci, le quali d’altronde, se in prima battuta potrebbero urtare le coscienze più raffinate, in realtà si rivelano, con il trascorrere della lettura, quali semplici cadenze verbali di un personaggio, il Panofsky, certamente “politically uncorrect”.
Ma è proprio questa schiettezza di Barney a renderlo immediatamente vicino al lettore: infatti non si può non sorridere sui bizzarri dialoghi tra il protagonista e Clara Chernofsky (la prima moglie del produttore televisivo), così come non si può non lasciarsi andare alla commozione quando si scopre, riga dopo riga, l’epilogo della vicenda e la drammaticità della fine di un uomo dalla vita realmente imprevedibile.
“La versione di Barney” è un libro da leggere tutto d’un fiato, calandosi senza riserve in una storia che saprà sconvolgere ed emozionare: pagine preziose, quelle di Mordecai Richler, che strappano risate e lacrime anche nei lettori dalla “corteccia” dura.

8 giugno di ricordi

ROMA – Sicuramente avrebbe sorriso nel vederci ogni giorno alle prese con le interviste e la programmazione degli articoli della settimana. Sicuramente sarebbe stato parte di noi, del gruppo che ogni giorno dà vita a ChronicaLibri. Lui era parte di quel gruppo; eravamo un manipolo di studenti con la smodata passione per i libri, il giornalismo e la “ricerca della verità” e, insieme, cominciammo a chiacchierare di editoria mentre impaginavamo Aiko, il nostro primo giornale e organizzavamo le letture di gruppo. Eravamo tutti là, ogni giorno e ogni giorno avevamo aspirazioni da coltivare. Oggi, nel giorno del suo ventisettesimo compleanno, qualcuno manca. Manca ormai da tre anni Carmine, ma ogni giorno noi leggiamo, osserviamo, discutiamo e scriviamo anche per lui. Incrociare la sua vita ci ha cambiato, per questo oggi ChronicaLibri lascia spazio ai suoi versi.

L’IMMORTALE
Vivere pensandoti morto,
ma qui non si vive si soffre…..
E allora soffrire
sapendoti morto.
ma qui non si muore
ci si libera.
E allora soffrire
vedendoti libero?
E’ già pronta la cena,
cedro per primo
per secondo ottone
e contorno di terra.
Carmine Speranza
Torre Orsaia(SA)
Pasqua 2006
  

Michele Monina parla ai lettori di ChronicaLibri

Stefano Billi

Roma – Michele Monina, autore di “Eros Ramazzotti”, la biografia pubblicata da Leggereditore e da noi recensita qualche settimana fa, svela ai lettori di ChronicaLibri alcune curiosità sulla sua opera.

Nelle prime pagine del libro afferma che ha nutrito un particolare interesse in Eros Ramazzotti – e asserisce che ciò, per certi versi, è la ragione per cui ha scritto questa biografia – vedendolo esibire in un concerto.
Dunque, facendo riferimento all’intero profilo artistico del Ramazzotti, Lei predilige il cantante romano più in versione “live”, oppure più in versione “studio”?
Come ho cercato di chiarire nel corso della mia biografia, in realtà non mi sarei mai avvicanato alla biografia di Ramazzotti se non mi fosse capitato di vederlo dal vivo. Non perché avessi preconcetti nei suoi confronti, ma solo perché, onestamente, non ho mai guardato alla sua musica con eccessivo interesse. Ho però sempre seguito il suo personaggio, trovandolo sicuramente uno dei più singolari nel nostro panorama pop. Quindi, dal mio personalissimo punto di vista, l’energia vista sul palco batte quella espressa su cd in maniera abbastanza netta.

Come biografo, quale ritiene essere l’ingrediente fondamentale del successo di Eros Ramazzotti?
Difficile trovare il segreto di un successo, perché altrimenti sarebbe possibile anche costruirli a tavolino, con buona pace di quanti arrivano in vetta solo grazie alla gavetta e al duro lavoro (come Eros, del resto). Io penso che il suo principale pregio sia quello di aver trovato una lingua, un modo di comunicare diretto, senza filtri. Un modo di comunicare, magari, non rivolto e me, ma che non per questo non riconosco. Il pop, in fondo, è questo. Un linguaggio trasversale che non ha bisogno di traduzioni o di spiegazioni.

Per Leggereditore, Lei si è occupato non soltanto di redigere una biografia su Eros Ramazzotti, ma anche di narrare le storie e le vite di altri artisti, quali Vasco Rossi e Laura Pausini.
Ha mai pensato di raccontare la carriera musicale di una band, anziché di un musicista singolo?
Io da anni sto lavorando alla mappatura di quella che è la cultura popolare italiana e non solo, in modo particolare musicale. Ho scritto di popstar come Vasco, la Pausini, Eros, ma anche di Valentino Rossi, Michael Stipe, Lady Gaga, Mondo Marcio, Malika Ayane, Caparezza, Milito, Ibrahimovic, e a breve usciranno lavori su Lucio Dalla, Elisa, Cristina Donà e Fabri Fibra. In questa mia mappatura, ovviamente, rientrano anche alcuni gruppi, di cui presto dovrei andarmi a occupare. Ma tra il mio analizzare il mondo culturale pop e la pubblicazione di un libro deve scattare anche la volontà dell’editore. Io vivo di scrittura, e i miei studi si concentrano su un personaggio in maniera più stringente solo quando il mio studio diventerà un libro, cioè quando l’editore si farà avanti in maniera decisa. Al momento, quindi, non è di imminente uscita nessuna biografia di una band, ma prima o poi succederà…

Dopo aver scritto una biografia su un artista, Lei rimane molto appassionato del musicista in questione, diventandone un fan accanito, oppure al termine della redazione della biografia riprende i suoi gusti musicali tradizionali, lasciati appositamente “incontaminati” dal suo lavoro?
Io non tendo a diventare mai un fan accanito degli artisti di cui scrivo. E qui magari rispondo anche alla domanda successiva. Sono uno scrittore e un critico musicale, scrivo per mestiere, oltre che per passione. I miei libri, credo, hanno trovato un certo successo nel mercato editoriale proprio perché non avevano il tipico taglio del libro scritto dal fan, una sorta di santino del personaggio trattato. Io scrivo ovviamente quello che è il mio punto di vista, ma cerco di rimanere sempre obiettivo, incensando quando c’è da incensare, ma anche criticando quando c’è da criticare. L’essere distaccato, e quindi non un fan, è fondamentale. Anche per questo, per scelta, non scrivo mai di quelli che sono i miei reali gusti musicali. O raramente, come nel caso di Cristina Donà.

Perché i nostri lettori dovrebbero leggere il suo libro?
Quando una decina di anni fa ho cominciato a scrivere biografie di cantanti, i grandi editori, come la Mondadori, la Rizzoli e altri, dicevano che in Italia le biografie non avrebbero mai funzionato, perché i lettori italiani volevano le autobiografie. Dieci anni dopo, e oltre seicentomila copie vendute dopo, credo che questa faccenda sia archiviata per sempre. L’imminente uscita di Semplicemente Elisa, proprio per Mondadori, lo dimostra. Credo che, non stando a me parlare dei miei libri, un buon argomento potrebbe essere il fatto che i lettori, comprandoli e parlandone, hanno reso possibile l’inizio, anche in Italia, di un nuovo genere, “le biografie pop”. Non fidatevi di me, ché sarei poco obiettivo, fidatevi dei lettori…

“Caro Michele”, un epistolario denso di emozioni e di ricordi

Alessia Sità
ROMA – Era il 1973 – esattamente dieci anni dopo aver scritto “Lessico famigliare”- quando Natalia Ginzburg si interrogava nuovamente sulla famiglia e sulla crisi di una generazione che, ancora una volta, era incapace di trovare un punto d’incontro per porre fine al divario sempre più evidente fra genitori e figli.
“Caro Michele” (Mondadori 1973) nasce da una profonda riflessione sulle ansie e sulla ribellione giovanile tipica di quei tempi. Il valore della memoria è il filo conduttore che lega tutti i protagonisti di questo romanzo, che inspiegabilmente, però, non sono più in grado di riconoscersi come parte fondamentale di un microcosmo.

La narrazione si apre nel dicembre del 1970 e si chiude nell’estate dell’anno successivo. La dispersione della famiglia è rappresentata simbolicamente dal giovane Michele, che dopo i disordini del ’68 decide di fuggire a Londra per motivi politici. Per colmare la distanza fisica che la separa dal figlio, Adriana intraprende con lui un lungo scambio epistolare, durante il quale emergono nuove figure centrali nella vita dell’esule: il padre Oreste, le sorelle gemelle Angelica e Viola, l’amico ‘particolare’ Osvaldo e, infine Mara, la ragazza madre. L’ossessione della ricerca della verità anima tutti i personaggi, ognuno dei quali, lentamente, si allontana dalle proprie certezze. Se in un primo momento si assiste ad un continuo intrecciarsi di vite, di ragioni, di anime, gradualmente il lettore diventa partecipe del tragico sfacelo di un’esistenza.
Con un linguaggio umile ed efficace, Natalia Ginzburg ci regala un epistolario denso di emozioni e di ricordi, ma che allo stesso tempo lasciano un senso di angoscia e di impotenza di fronte all’ineluttabilità del destino.
“Caro Michele” diventa la drammatica testimonianza di felicità ripudiate e di una memoria che rischia di svanire velocemente col passare del tempo.

Giuntina: "Le sante dello scandalo" di Erri De Luca

Giulia Siena

ROMA “Vanno contro le regole e sacrificano la loro eccezione. Il loro slancio è più solido di quello dei profeti, sono le sante dello scandalo. Non hanno nessun potere, né rango, eppure governano il tempo.” Oggi, nel giorno del compleanno di Erri De Luca, parliamo di un suo recentissimo libro. “Le sante dello scandalo”, pubblicato da qualche settimana dalla casa editrice  Giuntina, è la breve opera che sintetizza le figure di cinque donne alle quali si deve la “vita” del monoteismo. Di loro, donne coraggiose che hanno avuto la forza di abbandonare le proprie terre e credenze per seguire gli uomini, lo scrittore partenopeo descrive la tenacia, la bellezza e la modestia. Tamàr, Rahav, Rut, Betsabea e Maria rappresentano il punto di forza della storia del Cristianesimo poiché sono madri e “le madri sanno, poi subito dimenticano, ma in quel punto sanno dei figli il sanguigno destino”. Come conoscitore esperto dei testi biblici e della grammatica ebraica, Erri De Luca parte dalla spiegazione della profonda semplicità delle Scritture per sottolinare i ruoli ben distinti di donne e uomini e la diversa natura dei due generi.


“Mi basta sapere che non c’è volontà divina di punire quella prima donna, vertice di perfezione, con un maligno dolore. Mi basta sapere che il dito/grilletto puntato dai pulpiti, tu donna partorirai con dolore, è scarico, senza mandante.”

Michele Monina racconta "Eros Ramazzotti"

Stefano Billi

Roma – Da pochissime settimane è  in libreria “Eros Ramazzotti”, il nuovo libro di Michele Monina pubblicato da Leggereditore. Il libro che racconta la vita e la musica della celebre pop star italiana è un percorso nella carriera di Eros: dai suoi esordi sino alle sue ultime opere, passando per i momenti salienti del suo percorso artistico e per gli avvenimenti più importanti della sua vita privata. Le canzoni di Ramazzotti fanno da sottofondo all’intessere – da parte di Michele Monina – di pagine molto appassionanti, che sanno carpire l’attenzione del lettore attraverso l’utilizzo di uno stile narrativo assolutamente coinvolgente e sincero.
Il modus scrivendi utilizzato dall’autore è scorrevole e lineare: l’uso di un linguaggio semplice ed asciutto agevola la curiosità verso questo musicista romano, cosicché tanto i fans più sfegatati, quanto i neofiti potranno trovare uno spiccato interesse nella lettura di questo libro.
Numerosi aneddoti impreziosiscono poi il contenuto della biografia, che diviene così lo spunto divertente per saperne di più su un cantante che, a pieno titolo, risiede stabilmente nell’Olimpo del panorama musicale italiano, a fronte di una storia personale costellata di solidi successi professionali.
Inoltre, è particolarmente piacevole scoprire come il Monina metta a fuoco l’anima da rock star di Eros Ramazzotti in riferimento ai suoi concerti, dove viene sprigionata un’energia e un’adrenalina fortissima, che lascia sbigottiti coloro che assistono, soprattutto per la prima volta, a un suo show.
Uno strumento utile, infine, sono le note sulla discografia inserite in fondo al libro: esse divengono un’appendice indispensabile per tutti coloro che vogliano dirsi ferrati sulle attività discografiche del cantante e sulla sua produzione artistica, dagli esordi fino ad oggi.
“Eros Ramazzotti” è dunque la biografia ideale sia per gli appassionati di musica leggera, che potranno dunque approfondire la storia di questo “big” della canzone italiana, sia per i fans più accaniti del cantautore italiano, che potranno scoprire aspetti inediti attinenti il loro idolo, e sia per coloro che hanno ascoltato per anni la musica del cantautore romano, e che però hanno intenzione di conoscerne la vita artistica e privata.

“Brodo senza pollo”, da Giuntina un doloroso diario di vita

Alessia Sità
ROMA – Il dramma della Shoah, un rapporto madre-figlio tormentato e determinante, una continua ricerca di riscatto per un’esistenza ingiusta e dolorosa.
Partendo dalla propria esperienza personale, Frans Pointl in “Brodo senza pollo”, edito nel 2011 da Giuntina, nella collana Diaspora, ci offre una raccolta di racconti di vita sofferti, ma continuamente venati da una disperata ricerca di speranza e di riscatto. Fra ricordi, incontri, e fantasie necessarie per poter continuare a vivere, David Blumenthal ripercorre la propria esistenza, soffermandosi sulla tragedia dell’invasione tedesca dell’Olanda e le conseguenze che questa triste pagina di storia ebbe su ogni componente della propria famiglia.
Attraverso numerosi flashback, il protagonista ricostruisce la propria vita e la propria sofferenza, in cui resta centrale il dramma della madre, sopravvissuta ai campi di concentramento e mai più riavutasi da quella tragedia umana.
Un diario che viaggia nel tempo, in cui passato e presente si mescolano di continuo, delineando gradualmente un’amara vicenda individuale.
Lentamente, il lettore riesce ad inquadrare i singoli personaggi con tutti i loro trascorsi, le loro esasperazioni e i loro drastici cambiamenti.
Un senso di solitudine e di tristezza pervade ogni pagina. L’impossibilità di mettere la parola ‘fine’ ad un passato troppo doloroso è sempre presente.

Frans Pointl ci regala un racconto di vita sofferto, ma abbastanza lucido nel ricordo della ormai lontana tradizione ebraica e nella descrizione di una società indifferente ed egoista