“Ho parlato alle parole”, la poesia di Luca Buonaguidi prende forma

ho parlato alle parole_buonaguidiGiulia Siena
PARMALuca Buonaguidi ha poco meno di trentanni – o poco più di venticinque, fate voi – e ha alle spalle già un libro, I giorni del vino e delle rose (Fermenti, 2010). Da qualche mese è tornato in libreria con Ho parlato alle parole, una raccolta poetica pubblicata nella collana Intrecci della Casa Editrice Oèdipus. Buonaguidi è partito dal dubbio di Franco Loi, poeta del silenzio e della parola che, quando detta, crea attesa, stupore e sorpresa. “Se io parlo non so chi è il parlare” – afferma Loi – e il nostro poeta pistoiese sfrutta questa considerazione per avvicinarsi alla parola e intraprendere un dialogo poetico con se stesso e con il mondo attuale e circostante. La parola, così, si fa subito poesia: “Sono poeta / e sollevo in aria / un cuore che saluta”;il verso diventa veicolo e portavoce del sentire personale, “ma compito dei poeti / è anche esser sentinella / del niente che ci forgia”, e, allo stesso tempo, elemento di rottura e provocazione: “il mio verso è una scadente menzogna […] perché il poeta è fingitore”. La parola, poi, in questa raccolta è anche quello che suggerisce Loi, è scoperta e gioco (“Sai, non ho mai saputo. / Vedi, non ho mai veduto. / Ascolta, non ho mai udito), legame e rifugio (“Le parole sono la mia casa”), forza dirompente e sempre nuova (“E ti saluto / con tutta la poesia che ho dentro / e che ho avuto paura di darti prima di saperti abbracciare”).

 

La parola, così, è detta e ripetuta, pronunciata con timore e reverenza, sensibilità e passione. Qui la parola è parlata, smembrata nella sua complessità ed enunciata con naturalezza. In Ho parlato alle parole Luca Buonaguidi fa sfoggio di una raffinata intelligenza poetica che rende i componimenti schietti ma, allo stesso tempo, perfettamente limati.

 

La copertina del libro è del pittore belga Pol Bonduelle. Quello che manca è una prefazione ai componimenti poetici. Il resto è godibilissimo.

 

“La parola perfetta non esiste, / è l’etereo canto dentro / al silenzio notturno, / lo scoglio che contempla / l’assalto bianco della marea, / il Dio sorridente richiamato / dall’antica domanda: di tutto questo amore / qualcuno prende nota?”

“L’azzurro squarciato di Ester”: Nicola Vulcano e il suo racconto di violenza, rabbia e perdono

Natalevulcano PARMA“Come se fosse facile perdonare! Se si provasse a essere umiliati e a sentirsi schiantati dentro come un albero colpito da un fulmine, non si userebbe  facilmente la parola perdono. Contro la cattiveria serve la vendetta più atroce”. Ester vorrebbe vendetta per l’orrore subito, vorrebbe trascinarsi in un deserto e lì, finalmente, poter urlare tutto il suo dolore e il disgusto per quella sua vita rovinato. Ora “la sua vita è in bilico tra la dannazione di vivere e il desiderio di farla finita”. Comincia così L’azzurro squarciato di Ester, il libro di Natale Vulcano pubblicato da Falco Editore. Ester era un’adolescente come tante, di quelle che sognano l’amore e di diventare, un giorno, un buon medico. Ma qualcosa ha arrestato la sua corsa. In una notte di violenza tutto è cambiato. Ora con lei c’è Tamara, quasi una ulteriore condanna, ricordo  di quella notte.

Tamara che vorrebbe morire anche se non sa cosa è la morte, Tamara che batte le mani, dondola e urla. Tamara che cerca un legame con la madre che non la ama, anzi, a casa la picchia. Tamara, infatti, “è piccola, ma è il parafulmine su cui si scarica ciò che accade in casa”. Perché Tamara è figlia di quello stupro che Ester ha subito e ogni volta, nei suoi occhi in cui si specchiano gli occhi della figlia, torna il ricordo di quella violenza.

 

La violenza di Ester è la violenza che alcune donne subiscono, nel corpo e nell’anima, nel presente, nel quotidiano e nel futuro. E questa violenza viene narrata da Natale Vulcano con la semplicità e il trasporto in un romanzo di forte impatto emotivo.

“Lasciami contare le stelle”: il racconto di una vita reale, di Elvia Grazi

Lasciami contare le stelle Alessia Sità
ROMA – “… Ho imparato che qualche volta bisogna mollare il colpo, avere il coraggio di lasciarsi portare …”
I sentimenti possono scardinare le certezze mentali che ci si costruisce per tutta la vita? Si può far cambiare rotta ai viaggi della mente per un’intuizione del cuore? E’ proprio questo l’interrogativo che fa da filo conduttore in Lasciami contare le stelle, il toccante romanzo di Elvia Grazi edito da Tea. Bianca è un’affermata donna in carriera della Milano bene. La sua vita sembra essere perfetta, almeno fino a quando il marito non decide di lasciarla per un’altra. La fine del suo matrimonio però, nonostante la sofferenza, l’amarezza e la delusione, segna al contempo un inaspettato inizio. L’incontro con il ribelle Walter, insofferente ai legami sentimentali e fedele esclusivamente a Tabata, la barca su cui vive, cambierà per sempre l’esistenza della donna. Bianca si abbandona totalmente a una liaison fatta di weekend rubati alla monotonia di una vita solitaria, di attimi di fugace passione, di leggerezza e di libertà. Giorno dopo giorno, impara ad alzarsi in volo, a rischiare, forte della consapevolezza di aver già sperimentato sulla propria pelle le “promesse di chi ti dice «è per sempre» e poi ti volti e non c’è già più”. “Lasciami contare le stelle” non è solo un romanzo di formazione emotiva, ma è un viaggio introspettivo, che spinge a indagare nel profondo della propria coscienza. Fin da subito, Elvia Grazi informa il lettore che quella che sta per leggere è “il racconto di una vita reale”. Inevitabilmente, ci si sente trascinanti nel mare delle emozioni e dei ricordi dei due protagonisti. Ci si sente un po’ come Bianca: fragile, piccola, ma allo stesso tempo determinata a vivere una vita a colori, dove il nero non è assolutamente contemplato; ma ci si sente anche un po’ come Walter: ribelle, “elementare, basico, lineare”. Elvia Grazi ha dato voce e anima a un diario di bordo, custode di un amore sui generis, speciale e unico. “Ognuno di noi, ne sono sicura, ci può trovare qualcosa di personale. Sta in questo la grandezza delle storie d’amore. Ed è il motivo per cui non smettiamo di leggerle e di raccontarle”.

Silvia Pingitore, “Il disordine delle cose” per le generazioni senza santi in paradiso

il disordine delle cose_pingitore_chronicalibriGiulia Siena
PARMA
– Lucia non aveva mai pensato al suo futuro. Lucia si accontentava di vivere giorno per giorno senza domande e senza richieste tra l’ordine della sua scrivania e le quattro mura di un seminterrato nel centro di Roma con sua madre e suo padre. Lei, come molti, non aveva “santi in paradiso” ma, come pochi, non voleva diventare un’artista, una celebrità, un’attrice, nonostante il suo nome, Lucia Fellini, potesse suggerire – ai suoi coetanei – quel tipo di carriera. Lucia non aveva pretese ma, quando all’ultimo anno di liceo venne presentata l’Università La Speranza, capì che la sua strada era imparare a comunicare! Così, fuori dal tempo, dalle mode e dalla realtà Lucia scelse la sua strada. Lucia, nata dalla geniale penna di Silvia Pingitore, però, rimaneva ai margini di quella vita troppo diversa da lei, fatta di arrivisti, segreti e invidie. Dal suo mondo ordinato e quasi intatto, fermo a decenni che non le appartenevano, nel mondo di Lucia entrò il disordine, Il disordine delle cose.

Pubblicato da La Lepre Edizione, il romanzo di Silvia Pingitore dopo averci presentato la protagonista e il suo mondo ci porta in viaggio: dal crollo dell’Università La Speranza alla Finlandia. Sì, la Finlandia, perché Lucia aveva fatto entrare poche cose nuove nella sua solita vita, tra queste c’era il poema epico Kalavala, il libro “sacro” finlandese incentrato sull’amore per la natura. Come una sorta di ossessione questo libro era uscito dalle aule universitarie ed era entrato nella sua quotidianità, era simbolo, segno e sogno di una speranza che in Lucia si stava destando. Allora per gioco e all’improvviso Lucia partì verso questo nuovo mondo senza sapere per quanto tempo e per quale obiettivo sarebbe stata lontana dalla sua solita vita. Il viaggio alla ricerca di santi in paradiso ha inizio.

 

Silvia Pingitore con ironia e disillusione crea un particolarissimo ritratto di giovani dalle belle speranze. Quello che ne esce è una generazione tradita, insicura, talentuosa, rabbiosa e ormai quasi indifferente. Giovani donne e uomini che partono alla ricerca di qualcosa che nella loro terra gli viene negato. Ma cosa? La possibilità di sperare, ancora?

 

 

“E voi che la guerra l’avevate vista solo in televisione, voi ancora non lo sapevate che di guerra ce ne sarebbe stata un’altra, e che vi avrebbe tolto non il pane ma la dignità. 
Era la guerra fra poveri, era per voi tutti.
Tutti quelli senza i santi in paradiso. 
Proprio come Lucia, che aspettava quell’uomo seduta su una panchina”.

Tutto pronto per Umbrialibri 2014, a Terni dal 20 al 23 novembre

umbrialibri2014_terni_chronicalibriTERNITerni è pronta ad accogliere Umbrialibri 2014. Da giovedì 20 a domenica 23 novembre diverse zone della città (Bct, Pala Sì, Caos) faranno da palcoscenico ai tanti eventi in programma con un unico grande tema: Generazione Europa. L’edizione 2014 di Umbrialibri, infatti, torna a riflettere sul tema dell’Europa e della ‘generazione’ attraverso presentazioni, tavole rotonde e dibattiti. Si parte subito, però: mercoledì 19 novembre alle 21 al caffè letterario della Bct arriva ‘Aspettando Umbrialibri Terni’, con la presentazione di “Coordinate d’Oriente” (Ed. Piemme) di Alessandro Perissinotto.

 

Con Umbrialibri 2014 nasce un nuovo, bellissimo progetto: In Vitro. In Vitro è un progetto sperimentale di promozione della lettura ideato dal Centro per il libro e la lettura (CEPELL), Istituto autonomo del MIBACT, con lo scopo di accrescere il numero dei lettori in Italia e di rendere la “lettura” un’abitudine sociale diffusa. A tal fine, il CEPELL ha individuato cinque province: Biella, Ravenna, Nuoro, Lecce, Siracusa, ed una regione, l’Umbria nelle quali investire risorse per sperimentare nuovi modelli di promozione della lettura a partire dalla prima infanzia. Le “buone pratiche” del progetto si realizzeranno attraverso le reti locali per la promozione della lettura che coinvolgeranno attivamente politici, amministratori locali, bibliotecari, educatori, insegnanti, librai, editori, pediatri di famiglia e altre figure professionali dell’ambito sanitario e sociale, il mondo dell’associazionismo, del terzo settore e dell’imprenditoria locale.

 

Sempre per incrementare e stimolare alla lettura, giovedì 20 prendono vita gli incontri dedicati ai giovanissimi, tra letture e un laboratorio di Hacklab, in cui i bambini potranno interpretare e trasformare il testo narrato tramite l’utilizzo di uno strumento di elaborazione grafica. Sempre la Bct ospiterà l’incontro ‘Far crescere l’Italia che legge’: il patto umbro per la lettura, a cura della regione Umbria in collaborazione con ambasciata Usa in Italia.

 

Per l’intero periodo di Umbrialibri 2014 le piazze della città saranno invase da ‘Biciclette parlanti’ (a cura dell’associazione Letteratura rinnovabile) che permetteranno ai visitatori di muoversi nella città ascoltando storie e racconti tratti da una sezione di audiolibri.

Non ci resta che darvi appuntamento a Terni, dal 20 al 23 novembre 2014!

 

Leggi QUI il Programma completo della manifestazione

Un’avventura chiamata Calabuig, il nuovo marchio della narrativa di qualità

LOGO CALABUIGGiulia Siena
MILANO 
Calabuig è un nuovo marchio nato dall’esperienza e dalla passione di un gruppo di professionisti che non ha mai smesso di credere nella qualità e nella dignità del mestiere di editore. Calabuig è una scommessa, una nuova avventura che punta a portare in Italia libri che accendano nel lettore più attento l’attenzione e il gusto della lettura. Calabuig – così come il nome suggerisce – è un’isola felice, un altrove in cui i libri sono svago e piacere. Ma questa nuova realtà editoriale prima di tutto nasce con una missione precisa, che è insieme una promessa ai lettori: rilanciare la narrativa all’insegna di garanzia e indipendenza. Per scoprire questo nuovo mondo fatto di dedizione e qualità delle pubblicazioni e delle storie, abbiamo intervistato Mariarosa Bricchi (nella foto in basso), direttore editoriale della neonata casa editrice.

 

Come nasce Calabuig?
Calabuig nasce dall’esperienza di Jaca Book, la casa editrice che in quasi cinquant’anni di attività ha pubblicato oltre 4.000 titoli che vanno dalla saggistica alla filosofia, dalle scienza sociali alla storia delle religioni. In questa lunga esperienza, però, la narrativa ha sempre trovato troppo poco spazio: da qui la necessità di intraprendere una nuova avventura, Calabuig, un marchio editoriale nuovo che vuole rilanciare la narrativa all’insegna di garanzia e indipendenza fatta da persone che stanno provando a scegliere per il mondo delle storie belle e di qualità.

Perché il nome Calabuig?
Calabuig è stata una parola evocativa e bizzarra. Calabuig è anche il titolo di un film degli anni Cinquanta diretto da Luis Garcia Berlanga con la sceneggiatura di Ennio Flaiano; la storia si svolge a Calabuig, un paesino della costa Catalana vissuto dal protagonista come un altrove, un paradiso e un’evasione dai problemi quotidiani; un po’ come i libri.
“Il romanzo luminoso” di Mario Levrero e “La signora Melograno” di Goli Taraghi sono appena approdati in libreria e sono i primi due titoli di questo nuovo marchio editoriale. Che libri dobbiamo aspettarci di leggere?
Goli Taraghi, con la quale saremo in giro per l’Italia a presentare “La signora Melograno”, è la “grande signora” della letteratura persiana. Nata a Tehran e residente a Parigi dove ha ricevuto l’onorificenza di “Chevalier des Arts et des Lettres”, Taraghi raccoglie in questo libro storie che nascono dall’avventura della lontananza. Le storie, invece, che racconta l’uruguayano Mario Levrero nel suo “Il romanzo luminoso” sono storie belle e strane perché mescolano amarezza e ironia con uno stile tutto particolare. Quello di Levrero, autore di rilievo e punto di riferimento della letteratura sudamericana, è un grande libro – non solo per le 600 pagine che lo compongono – perché è un intreccio di vissuti, un racconto biografico in equilibrio perfetto tra realtà e assurdo.
mariarosa-bricchi_CALABUIGQuesti libri danno il via alla storia Calabuig e sottolineano una linea editoriale volta alla letteratura straniera di qualità. Cosa c’è all’estero che manca alla letteratura italiana attuale?
All’estero non hanno di più, hanno qualcosa di diverso e la nostra voleva essere un’avventura di ricerca, improntata alla scoperta di nuove storie e nuove rotte. Di cose, andando in giro e cercando, se ne scoprono molte perché il mondo è una miniera, tutto sta, poi, nel coinvolgere il lettore e fargli scoprire questi nuovi mondi.

La scoperta, per il lettore, passa dalla traduzione. Una casa editrice che vuole portare in Italia una narrativa straniera all’insegna della qualità, pone sicuramente la traduzione al centro del lavoro editoriale. Che rapporto c’è tra Calabuig e la traduzione?
La traduzione per noi, infatti, è un momento delicatissimo e fondamentale: trovare professionisti, lettori e traduttori (il nome di questi ultimi compare in copertina) di cui mi fido, discutere con loro, confrontarmi durante il lavoro di editing e trovare il giusto compromesso a favore dell’attinenza con il testo originario è un lavoro di primaria importanza.
Qualche anticipazione sui prossimi libri targati Calabuig?
I prossimi libri saranno un vero e proprio giro per il mondo: pubblicheremo libri e scrittori che arrivano da molti paesi diversi e scrivono in lingue diverse. Dopo le prime due pubblicazioni già in libreria, sarà la volta di un autore francese mai tradotto in Italia; sono in programma, poi, due romanzi di uno scrittore turco, il libro di un’autrice argentina di grande spessore, un romanzo egiziano, un piccolo classico della letteratura ungherese, un romanzo di uno scrittore giapponese di ultima generazione e un romanzo australiano. C’è proprio tutto, ora attendiamo il responso dei lettori!

“I pompieri non escono per le donne in lacrime”, nove racconti di Lisa Biggi

i pompieri non escono per le donne in lacrimeGiulia Siena
PARMA
– Il titolo incuriosisce; la copertina anche. Quando apri I pompieri non escono per le donne in lacrime, poi, ti chiedi perché non dovrebbero farlo: perché i pompieri non possono soccorrere le donne in lacrime? E’ comunque un’emergenza. Poi risolvi il dilemma affermando che per le donne in lacrime ci sono le amiche, gli uomini non capirebbero l’importanza del pianto; chiuderebbero la faccenda dicendo che si tratta delle solite paranoie, qualunque sia l’argomento o la causa di tali lacrime. Così, vai avanti e cominci la lettura di questo libro che, lo scorso giugno, ha inaugurato Gli illustrati, la collana di narrativa della Bébert Edizioni. Infatti, il libro di Lisa Biggi è corredato da cinque tavole di Letizia Innacone che suggellano l’ottimo legame instaurato in questi racconti tra parola e immagini.

I pompieri non escono per le donne in lacrime sono nove racconti, ambientati tra la scuola e l’ufficio, la palestra, il divano e un condominio, che parlano di vita quotidiana, felicità, amore, sesso, errori, fughe, chiacchiere, difficoltà, silenzi e caffè. Si parte dalle lettere anonime che Sara decide di inviare, per “creare un ponte” con un misterioso ragazzo conosciuto a una festa tre giorni prima. Tra equivoci, insicurezze e romanticismo si passa, così, a una riunione condominiale, a una confessione che potrebbe cambiare il corso degli eventi; si arriva in classe, alle lotte educative,alle assemblee degli alunni e ai discorsi in sala docenti; si viene trascinati nell’acqua della piscina comunale per poi correre a casa, dove ci si rintana, tra quelle mura che hanno udito le urla dei vicini e visto tutti i tuoi uomini sbagliati. I racconti della Biggi proseguono così, tra i sorrisi e i dilemmi del presente, in un tempo che è sempre sospeso, in bilico tra la paura di crescere e il malinconico rimpianto delle occasioni perse. Questa alternanza, quasi incoerenza, tra quello che si desidera e quello che si ha si ripercuote nella scrittura: vengono usati diversi registri narrativi – diversissimi tra loro – che accentuano e quasi esasperano i sentimenti e gli umori dei racconti (la delicatezza de I tre segreti e la leggerezza di Papete).

 

“Da troppo tempo Luca era in balia di quell’inquietudine malsana, che prende chi non ha capito cosa ancora manca per essere felici. Una volta compreso si può lottare tutta la vita per questo qualcosa, averlo in dono o non vederlo mai neanche passare, ma l’obiettivo da coraggio”.

“Nati sotto il segno del cavolo”, tutto quello che le mamme perfette non ti dicono

natisottoilsegnodelcavolo_anteprima_chronicalibriGiulia Siena
PARMA 
– Con gli anni sono diventata scettica. Cominciai a scrivere di libri perché volevo rimanesse qualcosa di quello che leggevo; volevo che lo spiccato spirito di osservazione che mi tiene in ostaggio servisse agli altri nel districarsi nella contorta logica delle librerie generaliste. Così, cominciai a parlare di libri e a diventare, con il tempo, sempre più scettica. Ora, appena prendo un libro in mano, sono scettica… in senso buono! Lo scetticismo mi ha portato ad un’analisi ancora più profonda (si cade quasi nella paranoia da lettore consapevole) su ciò che vado a leggere. Voglio che quel libro mi tolga ogni titubanza: mi coinvolga, sia attinente con ciò che promette, si faccia ricordare! Per farlo, ogni volta, mi chiedo dove si voglia arrivare e poi, alla fine del libro, tirare le somme: era quello che volevano (editore-editor-autore)?

 

Vi ho detto, lo faccio con ogni libro, ogni giorno. L’ho fatto anche con Nati sotto il segno del cavolo e, nonostante Irene Vella sia una garanzia di scrittura spassosa e coinvolgente, questa nuova, nuovissima esperienza letteraria – infatti sarà in libreria da martedì 14 ottobre – poteva essere rischiosa. Il libro, scritto a quattro mani con Roberta Giovinazzo (insieme nella foto a lato) – sorprendente per freschezza narrativa e ironia – e IReneVella RobertaGiovinazzopubblicato da Novecento Editore, correva il rischio di lasciarsi fraintendere. La storia è scritta da due differenti punti di vista, quello di Irene e di Roberta, che poi sarebbero quattro, ci sono anche loro, i piccoli protagonisti, Gnomo (figlio di Irene) e Biscotto (figlio di Roberta). Queste due mamme, per loro definizione, sono “mamme che si sentono sbagliate”. Sì, proprio così, perché mentre le mamme perfette sono sempre puntuali, ben pettinate con tailleur o le ballerine o il cardigan di cachemire, le nostre due mamme sono “normali”, ovvero in perenne ritardo, stanche, giramondo e un po’ spettinate. Con loro, in questa avventura, i loro figli, piccoli ometti cinici e diretti. Nati sotto il segno del cavolo, infatti, vuole sfatare quel mito che vuole tutti i bambini buoni, educati e gentili, ci sono infatti veri e propri “bimbi-merda”, quelli che non si vergognano di dire la loro, quelli che, nonostante figli di “mamme-merda”, riescono a mettere quest’ultime in grande imbarazzo. Da zero a dieci anni (più o meno) la vita di Gnomo e Biscotto viene raccontata dalle loro madri attraverso episodi quotidiani di divertimento, gioia, difficoltà e amore. La penna ironica, narrativa, descrittiva e generosa di Irene Vella – quella della Giovinazzo non è da meno! – è un vero e proprio regalo per il lettore che varca la porta di casa ed entra in questo caotico e bellissimo mondo.

 

La mission, per le due autrici, era difficile: giocare poteva portare a calcare un po’ la mano e risultare l’opposto di perfettine, risultare stronze senza amore. Ma il risultato è stato amore puro, amore senza regole, amore smisurato nonostante le difficoltà della vita, la diversità di approccio, di età, di bisogni, di famiglia. E, per tornare all’inizio, hanno fatto dileguare ogni mia titubanza.

 

Il libro, con le prefazioni di Cristina Parodi e Rita dalla Chiesa, si chiude con i racconti di cinque genitori alle prese con figlio più o meno “bimbi-merda”.

“Poesie d’amore per un anno”, Daniele Gennaro e la poesia che non si vergogna

POESIEDamoreperunanno_daniele gennaroGiulia Siena
PARMA – La poesia d’amore vive da sempre una certa inflazione. Poeti, drammaturghi e scrittori, nei secoli, hanno dedicato a questa tematica ogni parola, facendo risultare, con i tempi e i periodi,  questa poesia un po’ troppo smielata, pedante e ripetitiva. C’era poi la Poesia d’amore, quella forte, vigorosa e invincibile – uno degli ultimi esempi è quella di Giovanni Raboni – che come altre manifestazioni di classicità, vivrà nei secoli. Oggi, la poesia d’amore – spogliandola di rime e parole già sentite – forse è morta. Forse. Lo penso quando scettica apro Poesie d’amore per un anno, il libro di Daniele Gennaro pubblicato nella collana Quercus Suber delle Edizioni del Foglio Clandestino. Ma così non è. La poesia contenuta in questo libro non è semplicemente poesia d’amore. Sarebbe riduttivo, infatti, catalogare la poesia di Daniele Gennaro come poesia d’amore. Gennaro parte da una poesia carnale fatta di sensazioni tattili ed emotività coinvolgente (“Semplicemente per dire che resti / in me tutto il giorno / anche quando non sei dentro / allora c’è sempre un oltre che ricalca / il contorno del tuo viso […] oppure “Vorrei abitare le tue mani, i tuoi angolo, / come se fosse sempre possibile entrare / nell’alveo spinoso della tua bellezza. […]) per approdare a una lirica quotidiana che nella sua quotidianità non dimentica il pathos e una forte componente emozionale-descrittiva (“Nel risveglio, corti segmenti del giorno, / nel mattino la nobile fragranza del pane, / il profumo della lana, lo specchio, / la riflessione muta della neve”). Si approda, così, a una poesia nuova, diversa: la poesia qui non ha remore, non si vergogna dei dubbi, del rossore, della mancanza, dell’appartenenza. Qui la poesia è verità, forza e vita, speranza, sogno e realtà (“Tornare a casa è l’estensione d’ali che / ogni libertà trattiene“).
La poesia qui, in Poesia d’amore per un anno vive la sua naturale essenza. Si incontra, poi, con i magnifici volti ritratti da Andrea Stra per completare un viaggio poetico che con sei scritti interpreta sei immagini.

 

La poesia di Daniele Gennaro non è solo poesia d’amore. E noi aspettiamo, curiosi, anche la poesia che verrà; Poesie d’amore per un anno non può già finire qui.

Edizioni e/o: Patrizia Rinaldi torna con “Rosso caldo”, tutte le sfumature del giallo

rosso-caldoGiorgia Sbuelz
ROMARosso caldo non è solo un colore, ma un indizio da seguire nel nuovo romanzo di Patrizia Rinaldi (pubblicato dalle Edizioni e/o), in cui tutta la squadra del commissariato di Pozzuoli è chiamata in causa a risolvere un duplice omicidio che farà riemergere antichi fantasmi e nuovi rompicapi. Nell’indagine è coinvolta anche la sovrintendente Blanca Occhiuzzi, già protagonista dei due precedenti lavori dell’autrice, Blanca e Tre, numero imperfetto. Ipovedente dall’età di tredici anni, Blanca ha sviluppato un intuito eccezionale che la fa destreggiare abilmente anche nei casi più intricati, riuscendo ad identificare quel dettaglio sfuggente o quell’odore particolare, in grado di guidarla sicura verso il bandolo della matassa.

 

Lo scenario dei crimini è una Napoli grigia bagnata dalla pioggia primaverile. Dagli scantinati di Palazzo de Pignatta, l’anziana Alina ode da anni rumori di spiriti che agitano ferraglie e si lamentano, spiriti femmina, dice lei, che emettono mugolii come se una mano coprisse loro la bocca. Nemmeno la sua convivente, Mariarca, vuole darle credito, finché proprio nei sotterranei del Palazzo viene rinvenuto il corpo di Geronimo Sellitto, un impiegato delle poste con un’ossessione morbosa per l’arte. La scia che segue Blanca è fatta di odore di essenza di mandorlo di cui il cadavere è impregnato, scia che ricollega l’episodio ad un altro ritrovamento effettuato dall’ispettore Liguori alle Terme di Baia: un sacco ricavato da un velo da sposa contenete ossa umane e trattenuto da un fiocco rosso, rosso come il sangue. Il macabro cadeau emana un profumo cattivo di orzata e scarti di macelleria. Quando un secondo impiegato dello stesso ufficio postale, Oreste Bonomo, viene ucciso con tre colpi di pistola, appare chiaro che il caso nasconde molto più di quanto si possa ipotizzare.
Le indagini s’intrecciano alle vicende personali dei protagonisti; la relazione fra Blanca e Liguori entra in crisi mentre la vita di Ninì, figlia adottiva di Blanca, viene messa a repentaglio. Il padre della ragazzina infatti, un pregiudicato, vuole mettersi in contatto con lei per usarla e portare a termine un infido proposito.
Il commissario Martusciello comincia ad accusare vuoti di memoria, mentre la noia lo assale nei momenti meno opportuni; l’agente scelto Carità è trincerato come non mai dietro la barriera del suo mutismo. I personaggi sono così intrappolati nella rete delle proprie inquietudini, rompendone le maglie solo al raggiungimento del parossismo creato dal ferimento di Martusciello. Nello squarcio sul fianco del commissario, Liguori rivede “un geyser di rosso e di caldo”. Ancora rosso, un rosso che risveglia le menti dei protagonisti, restituendo loro la forza e lo scatto per risolvere un’inchiesta che ribalterà lo status della Napoli dei signorotti, dei segreti di famiglia, dei voyeurs e dei fanatici dell’Azionismo Viennese, col sangue che diventa pittura e traccia da inseguire per far emergere scomode verità.

 

Rosso caldo è un giallo dalle venature noir, la cui solidità fa perno su un’attenta costruzione dei protagonisti che, colti in quella nella fase in cui ogni dubbio interviene a dissestare l’ordine pregresso delle cose, riconquistano se stessi tuffandosi in un’indagine atta a far saltare ogni coperchio, presente e passato, proprio e altrui. Le distanze fra lettore e personaggio vengono accorciate dalla scelta di intervallare la narrazione con passaggi in prima persona: Blanca e gli altri sono personaggi veri a cui potersi affezionare e su cui fare affidamento per calarsi nella profondità di una Napoli tanto misteriosa quanto pericolosa, dove ogni pista ne apre un’altra.