"Alias MM" Cent’anni d’Italia

Marianna Abbate
ROMA In questo periodo di festeggiamenti per l’Anniversario italiano è un piacere trovare tra le novità editoriali piccoli gioielli di letteratura sul nostro Paese. Il libro di Pino Sassano “Alias MM” edito da L’infinito è sicuramente tra questi. Racconta le complesse vicende generazionali di una famiglia del Sud tra il 1860 e il 1966, mostrando con maestria i cambiamenti sociali e politici di un paese in fieri. 
Se Gabriel Garcia Marquez ci ha presentato “Cent’anni di solitudine”, quelli di Sassano sono cent’anni in compagnia, dove anche le peggiori difficoltà vengono affrontate con spirito e desiderio di rivincita.
Il capostipite della famiglia si trova alle prese con gli intrighi politici di uno stato ancora da formare, con tutte le sue lacune di potere e una malavita da sempre organizzata. Suo figlio Giovanni si vedrà affrontare una realtà diversa ma altrettanto complessa: cercherà di cavalcare l’onda dello sviluppo industriale in un’inedita Bell’Epoque napoletana. La nipote Milly, a sua volta, calcherà i palcoscenici del varietà, fino a che, travolta da inaspettati rivolgimenti politici del Ventennio, non sarà costretta ad emigrare in America.
Fino ad arrivare ad Alias MM il nipote omonimo del capostipite, Mario Mignone, al quale il nonno stesso, in punto di morte, racconterà la sua storia.
Un libro piacevole, appassionante. Per ricordarci chi siamo e da dove veniamo- senza dimenticare dove stiamo andando.

"Il prato in fondo al mare": il ‘cold case’ della morte di Ippolito Nievo

Giulio Gasperini
ROMA – Giorni famosi, eran quelli. Giorni di febbricitante esaltazione, di tremori, di rischi corsi ma affrontati col coraggio di chi sa che, per suo merito, i suoi figli avranno qualcosa di cui esser grati. Un giovane, dal destino furioso, dal carattere ombroso e schivo, scelse la letteratura come arma di riscatto e di educazione, di coinvolgimento e di speranza: si chiamava Ippolito Nievo. Scrisse molto, nella sua vita: poesie, drammi, novelle. Ma il suo nome splenderà solo con la pubblicazione, postuma ben s’intende, delle Confessioni di un italiano, colossale romanzo scritto in breve tempo, quasi di getto, e così sfacciatamente patriottico fin già dal titolo.
Il pronipote Stanislao, in “Un prato in fondo al mare” (Mondadori, 1974), dopo più di un secolo, provocatoriamente, torna a discutere e a parlare della fine, misteriosa quanto crudele, del suo antenato. La morte d’Ippolito sarebbe, nella nostra epoca di serial televisivi, un cold case, un caso mai chiuso perché mai affrontato concretamente. Quanto mistero, quale potente ombra d’omertà si allunga sulla morte di quest’uomo – giovane uomo – che si era unito alle truppe garibaldine: perché, come tutti i grandi uomini, capì che la letteratura non poteva essere disgiunta dall’azione, dalla responsabilità del fare attivo, del fare pratico.

Il 5 maggio 1860 salpò da Quarto, a bordo del Lombardo, e addirittura Garibaldi, tempo dopo, gli affidò la viceintendenza generale della spedizione.
Difese a tal punto l’amministrazione garibaldina che si recò a Palermo, nel 1861, per raccogliere la documentazione necessaria per smentire una campagna diffamatoria. Il 4 marzo si imbarcò a Palermo, lui che non amava il mare, a bordo del vapore Ercole. Ed è da qui che comincia il mistero: un mistero su cui Stanislao cercò di portare un po’ di luce, un minimo di chiarezza. Cosa accadde alla nave? Perché non venne soccorsa durante un’improvvisa tempesta? Cosa videro effettivamente due navi che si trovavano a navigare sulle stesse rotte dell’Ercole? Chi fu la misteriosa figura del marinaio sopravvissuto a un naufragio, trovato su una spiaggia, ricoverato in un ospedale di Napoli e poi misteriosamente scomparso? Fu una bomba a distruggere la nave (gli attentati “statalmente” e “istituzionalmente” riconosciuti e approvati esistevan già a quel tempo) o fu solo colpa d’un caso avverso? C’era chi non desiderava che Ippolito arrivasse coi suoi documenti e con la sua verità o fu effettivamente solo una triste coincidenza di fattori naturali?
Era partito da Palermo, Ippolito, con destinazione Napoli; del mare aveva paura, ma era pieno d’ardore giovanile, di ideali e di utopie: di tutti quei particolari di cui si nutron i giovani. A Napoli, però, non arrivò mai. Né il relitto fu mai trovato, sepolto per sempre sotto metri di mare e presunti silenzi di omertà.

150 anni di Libri d’Italia: Chi non ha amato "Cuore"?

Marianna Abbate
ROMALa recensione di oggi di “Cuore”, un classico della letteratura, non rientra solamente nella rubrica Vintage delle nostre letture, ma apre la sezione dei Libri per i 150 anni dell’Unità d’Italia. Infatti, ogni settimana, ChronicaLibri vi parlerà di testi e personaggi che attraverso la letteratura hanno “costruito” il Risorgimento italiano. 

Chi non è stato in classe con un Nobis figlio di papà arrogante, un Derossi bello, bravo e studioso, un Garrone tanto grande quanto buono e generoso? Chi, infine, non si è sentito un po’ come Enrico Bottini – la voce narrante di “Cuore. Libro per ragazzi” (Treves 1886 – Mondadori 2001) – preso dai mille dilemmi quotidiani che ogni bambino deve affrontare, sconfiggendo le proprie debolezze? 

Ho letto questo libro da bambina e l’ho amato. Ho amato la Maestrina dalla Penna Rossa e quella Piccola Vedetta Lombarda che ha dato la vita per la Patria. Li ho ammirati, nella mia ingenuità, per la loro purezza e per il loro coraggio. Ho sognato di diventare come loro. Di lasciare una traccia nel cuore di chi resta. 
Recentemente ho scoperto, invece che Edmundo de Amicis, autore nel 1886 del libro “Cuore”, era un manipolatore. Che il suo romanzo doveva educare i nuovi bambini italiani, inculcando loro subdolamente le virtù civili. Ho letto commenti severi, come le parole di Benedetto Croce, che bollavano l’autore Non artista puro, ma scrittore moralista.
E poi ho riletto il libro.
Ho pianto di nuovo per il Nelli e per il Crossi, per il tamburino sardo e durante tutto l’interminabile viaggio dagli Appennini alle Ande. E ho pensato che le intenzioni dell’autore potevano pur essere sbagliate, ma non per questo il suo è un brutto libro. Che, in fin dei conti, non c’è nulla di male nelle virtù civili: l’amore per la patria, il rispetto per le autorità e per i genitori, lo spirito di sacrificio, l’eroismo, la carità, la pietà, l’obbedienza e la sopportazione delle difficoltà che si presentano nella vita di ogni giorno. Valori fin troppo attuali, che ormai sono sconosciuti a bambini e adulti, che andrebbero riesumati per riuscire a ricordare cosa significa la parola “Italia”.
E quindi armatevi di fazzoletti e andate a cercare nella Vostra biblioteca: c’è un libro che Vi aspetta con il Cuore.