ChronicaLibri intervista Emanuele Ponturo, autore de “L’odio. Una storia d’amore”

Giulia Siena
ROMA
– Sguardo deciso e risposta diretta. Questo è Emanuele Ponturo, avvocato penalista di professione e scrittore per diletto, necessità e analisi. L’autore di “L’odio. Una storia d’amore” (Fermento) è il protagonista odierno della nostra intervista.

 

Come e quando è nata l’idea de “L’odio. Una storia d’amore”?
Una notte d’inverno,  in montagna, davanti al camino, bevendo vino rosso per scaldarmi mentre fuori  era tutto neve e freddo. Mi aveva colpito un fatto di cronaca: una violenza subita da una ragazza in un bosco. Avevo finito di leggere in quei giorni “La fine di Alice” di A.M. Homes.

Dopo i racconti Emanuele Ponturo passa al romanzo, una nuova sfida e un esercizio di scrittura diverso. Come ti sei approcciato a questa avventura?

In realtà è avvenuto tutto in modo naturale. Avevo in mente una storia ricca di sfaccettature in cui il punto di vista mutava, una storia che si snodava tra passato e presente. La forma del racconto non sarebbe stata idonea a questa narrazione; mi occorreva un passo più lungo, un respiro più ampio per contenere tutto l’intreccio e ricamarlo. Mentre scrivevo, i personaggi mi conducevano ogni volta sempre un po’ più in là… In questo modo è stato possibile mettere in rilievo i loro stati d’animo. La sfida è stata non priva di fatica e di imprevisti, ma ne è valsa la pena.
intervista emanuele ponturo ChronicaLibriScontata e un po’ provocatoria la domanda sul rapporto tra la tua professione e la tematica del romanzo: un avvocato penalista alle prese con un romanzo dalle tinte fosche. Moda o bisogno?
Entro in contatto con le realtà più dure e disperate, per esigenze legate alla mia professione: violentatori e donne vittime di stupro; sfruttatori e prostitute; spacciatori, rapinatori e vittime di soprusi. Di certo questo “mondo” di storie nere mi ha condizionato nella scrittura. Me ne sono servito sia per indagare il mistero del  male che si agita dentro l’uomo, sia per esorcizzarlo, questo male. Nel mio lavoro di scrittura, inoltre, mi hanno guidato scrittori come Patrick McGrath e Joyce C. Oates con le loro tematiche legate alla psiche, al torbido, all’oscuro, a qualcosa che corteggia anche il perverso, elementi tutti così vicini alle mie corde.
Il protagonista, per vendicare il suo amore, diventa il “lupo” di questa favola moderna. E’ così labile – quasi irriconoscibile – il confine tra amore, disperazione e vendetta?
Infatti il titolo stesso, “L’odio – una storia d’amore”, contiene questa ambivalenza. Il confine è labile perché i sentimenti spesso hanno sfumature non distinte. Amore, disperazione, vendetta,  questi i sentimenti che volevo affrontare: l’amore di  Monica vissuto in attesa di Stefano;  l’amore di Stefano nutrito inizialmente con gli occhi lirici dell’adolescenza, e la disperazione per un altro amore mai corrisposto; la vendetta che si trasformerà in gesto definitivo, ecco, tutti questi elementi, cioè i sogni e le conseguenze che derivano dall’impossibilità di realizzarli, muovono i personaggi ed è difficile stabilire confini tra i loro sentimenti spesso in contrasto.
Odio e Amore sono valori assoluti e distinti o due modi diversi di esercitare la propria volontà sull’altro?
Per me, Odio e Amore possono diventare due modi diversi di esercitare la volontà sull’altro. Avviene quando il sentimento, che continua ad essere ancora molto forte, diventa ostile; spesso accade che un grande amore, quando finisce, si trasforma in odio.
“L’odio. Una storia d’amore” è un romanzo fatto di sentimenti contrastanti: violenza e amore, sofferenza e sogni; una sorta di noir romantico. Quali sono gli ingredienti per un romanzo di questo tipo?
Giocare con le luci e le ombre.

Nella revisione di questo libro ti sei avvalso della collaborazione di Daniela D’Angelo. Quali sono stati i cambiamenti che ha apportato il lavoro di editing alla tua scrittura?
Daniela D’ Angelo è l’editor che ho fortemente voluto per il mio romanzo; le ho  fatto leggere alcuni miei racconti e li ha  apprezzati, allora mi ha chiesto “L’odio” che in quel momento era alla sua seconda stesura. E’ riuscita ad entrare dentro la storia e a renderla incandescente; attraverso un lavoro di maieutica, la trama si è definita e arricchita. Insieme siamo andati nei luoghi in cui si svolge la storia (la Magliana, la scuola di Stefano e di Barbara, l’albergo, il bosco); ma il mio editor è anche una bravissima poetessa; nel libro, le lettere di Stefano, evocative, liriche, perverse, hanno richiesto un lavoro separato dal testo.

Le tre parole che preferisci?
Isola, corpo, notte.

 

foto di Mario D’Angelo

Un’intervista sostenibile con Caravan Edizioni

caravan edizioni intervista chronicalibriMarianna Abbate
ROMA– Tra i libri che ho recensito ho avuto la fortuna di leggere Opendoor. Un libro innovativo e coinvolgente edito da una casa editrice giovane e attenta sia alla letteratura che alla natura. Sto parlando della Caravan edizioni che qui su Chronicalibri, risponde alle nostre domande su quali siano le difficoltà e le felicità che procura il lavoro di un editore.

1.  Perché la scelta di far nascere una casa editrice come cooperativa?
Il progetto della nostra realtà editoriale è nato a giugno 2009, dalle ceneri di una precedente casa editrice cooperativa in cui, alcune di noi socie, avevano avuto modo di fare un’esperienza lavorativa. Il primo passo dunque è stato quello di rinnovare completamente la nostra identità, la linea editoriale e il nostro assetto societario, ma ci è sembrato utile e interessante mantenere la formula della società cooperativa. Ci siamo sempre identificate nei principi che regolano le società cooperativa; la condivisione, la solidarietà e la democrazia sono le nostre regole di base.

2. Ho visto sul vostro sito che date molta importanza alla sostenibilità ambientale. Da cosa è nata e come vivete questa scelta?
Ci teniamo molto a raccontare storie che rispecchino realtà in cui riusciamo a immedesimarci, scegliamo i libri che nella loro forma e nella loro sostanza rappresentano la letteratura che vogliamo vivere. Da ciò la scelta del formato e della carta, è importantissimo per noi il rispetto per l’ambiente. Le nostre storie non devono danneggiare il mondo in cui vivono e che ci circonda. Lo sforzo è leggermente superiore, dati i costi elevati di questo tipo di carta, ma sin dall’inizio è stata una delle nostre priorità.

3. Qual è la proposta editoriale di Caravan?
Siamo molto attente alla qualità e all’intensità delle storie, dunque queste sono caratteristiche che teniamo in considerazione nella scelta dei nostri libri. I nostri testi comunque rispondono tutti all’esigenza e alla volontà di raccontare storie di viaggi e di migrazioni, di movimento e di confini, intesi come luoghi geografici e letterari d’incontro e confronto, di percorsi interiori, che come fanno i viaggi, portano ad un cambiamento e ad una nuova definizione di se stessi.

4. Come mai la scelta di investire sugli autori emergenti?
Ci piace dar voce a chi ha maggiori difficoltà ad imporsi e a farsi ascoltare, viviamo anche noi una situazione analoga nella realtà editoriale odierna, e dunque anche per questo prediligiamo giovani autori che riescano a conciliare la nostra voglia di qualità e di libertà di espressione. Inoltre bisogna dire che ci siamo sempre innamorate dei testi e dei racconti di queste giovani voci che forse meglio di altri hanno la nostra stessa visione della realtà e della letteratura. In ogni caso non ci precludiamo mai altri percorsi e se ne abbiamo la possibilità pubblichiamo con gioia autori più adulti e più noti, come è successo per Aamer Hussein ed Helia Correia.

5. Quali sono gli elementi che contribuiscono alla scelta di un libro di un autore straniero?

Come già detto deve innanzitutto colpirci il testo e deve rispondere in qualche modo alla nostra linea editoriale. Inoltre preferiamo dare spazio ad autori e paesi meno conosciuti nel nostro panorama editoriale. Poi valutiamo come e se sia possibile entrare in contatto con l’autore/editore per trattare i diritti.

6. Per Caravan come avviene la selezione del materiale presentato dagli scrittori?  A quali tematiche si dà precedenza?
Per quanto riguarda autori italiani che ci inviano il loro materiale, è molto difficile riuscire a leggere e valutare tutto (dato che le proposte sono molte), per questo prendiamo in considerazione solamente i manoscritti che ci vengono inviati in formato cartaceo. Il passaggio successivo sta poi nel valutare la qualità della scrittura e la pertinenza della storia con quelli che sono i nostri punti di riferimento: il viaggio, le migrazioni, i percorsi e i cambiamenti interiori, relazioni intense e spesso complicate che però conducano ad un’evoluzione…

7. Qualora ci fossero, quali sono i problemi di una piccola casa editrice (distribuzione, individuazione del target, contributi economici statali)?
In effetti ce ne sono e sono molti. In particolare la difficoltà ad affermarsi, ad essere ascoltati dai grandi media, quelli che contano e che potrebbero darci maggiore visibilità. Altro grande problema è la distribuzione: è molto difficile da soli riuscire a entrare  nei grandi circuiti (Feltrinelli, Mondadori, Melbook…) e contemporaneamente nelle piccole librerie delle più importanti città. Pertanto l’ideale è ricorrere ad un distributore ma in effetti i ritmi e i costi delle distribuzioni sono molto alti e difficilmente sostenibili.
E poi ovviamente la sproporzione tra entrate e uscite, per cui c’è bisogno di ricorrere a ulteriori e differenti lavori per guadagnare qualcosa e coprire le spese (nettamente superiori ai guadagni). Inoltre non siamo minimamente aiutati da contributi e sovvenzioni statali che incentivino le piccole e giovani imprese. Speriamo che in futuro qualcosa cambi…

8. Sempre meno libri venduti, sempre più case editrici: come vive …. questa continua “lotta”?
Solo grazie a tanta passione, un po’ di speranza e una buona dose di follia.

 

Michele Monina parla ai lettori di ChronicaLibri

Stefano Billi

Roma – Michele Monina, autore di “Eros Ramazzotti”, la biografia pubblicata da Leggereditore e da noi recensita qualche settimana fa, svela ai lettori di ChronicaLibri alcune curiosità sulla sua opera.

Nelle prime pagine del libro afferma che ha nutrito un particolare interesse in Eros Ramazzotti – e asserisce che ciò, per certi versi, è la ragione per cui ha scritto questa biografia – vedendolo esibire in un concerto.
Dunque, facendo riferimento all’intero profilo artistico del Ramazzotti, Lei predilige il cantante romano più in versione “live”, oppure più in versione “studio”?
Come ho cercato di chiarire nel corso della mia biografia, in realtà non mi sarei mai avvicanato alla biografia di Ramazzotti se non mi fosse capitato di vederlo dal vivo. Non perché avessi preconcetti nei suoi confronti, ma solo perché, onestamente, non ho mai guardato alla sua musica con eccessivo interesse. Ho però sempre seguito il suo personaggio, trovandolo sicuramente uno dei più singolari nel nostro panorama pop. Quindi, dal mio personalissimo punto di vista, l’energia vista sul palco batte quella espressa su cd in maniera abbastanza netta.

Come biografo, quale ritiene essere l’ingrediente fondamentale del successo di Eros Ramazzotti?
Difficile trovare il segreto di un successo, perché altrimenti sarebbe possibile anche costruirli a tavolino, con buona pace di quanti arrivano in vetta solo grazie alla gavetta e al duro lavoro (come Eros, del resto). Io penso che il suo principale pregio sia quello di aver trovato una lingua, un modo di comunicare diretto, senza filtri. Un modo di comunicare, magari, non rivolto e me, ma che non per questo non riconosco. Il pop, in fondo, è questo. Un linguaggio trasversale che non ha bisogno di traduzioni o di spiegazioni.

Per Leggereditore, Lei si è occupato non soltanto di redigere una biografia su Eros Ramazzotti, ma anche di narrare le storie e le vite di altri artisti, quali Vasco Rossi e Laura Pausini.
Ha mai pensato di raccontare la carriera musicale di una band, anziché di un musicista singolo?
Io da anni sto lavorando alla mappatura di quella che è la cultura popolare italiana e non solo, in modo particolare musicale. Ho scritto di popstar come Vasco, la Pausini, Eros, ma anche di Valentino Rossi, Michael Stipe, Lady Gaga, Mondo Marcio, Malika Ayane, Caparezza, Milito, Ibrahimovic, e a breve usciranno lavori su Lucio Dalla, Elisa, Cristina Donà e Fabri Fibra. In questa mia mappatura, ovviamente, rientrano anche alcuni gruppi, di cui presto dovrei andarmi a occupare. Ma tra il mio analizzare il mondo culturale pop e la pubblicazione di un libro deve scattare anche la volontà dell’editore. Io vivo di scrittura, e i miei studi si concentrano su un personaggio in maniera più stringente solo quando il mio studio diventerà un libro, cioè quando l’editore si farà avanti in maniera decisa. Al momento, quindi, non è di imminente uscita nessuna biografia di una band, ma prima o poi succederà…

Dopo aver scritto una biografia su un artista, Lei rimane molto appassionato del musicista in questione, diventandone un fan accanito, oppure al termine della redazione della biografia riprende i suoi gusti musicali tradizionali, lasciati appositamente “incontaminati” dal suo lavoro?
Io non tendo a diventare mai un fan accanito degli artisti di cui scrivo. E qui magari rispondo anche alla domanda successiva. Sono uno scrittore e un critico musicale, scrivo per mestiere, oltre che per passione. I miei libri, credo, hanno trovato un certo successo nel mercato editoriale proprio perché non avevano il tipico taglio del libro scritto dal fan, una sorta di santino del personaggio trattato. Io scrivo ovviamente quello che è il mio punto di vista, ma cerco di rimanere sempre obiettivo, incensando quando c’è da incensare, ma anche criticando quando c’è da criticare. L’essere distaccato, e quindi non un fan, è fondamentale. Anche per questo, per scelta, non scrivo mai di quelli che sono i miei reali gusti musicali. O raramente, come nel caso di Cristina Donà.

Perché i nostri lettori dovrebbero leggere il suo libro?
Quando una decina di anni fa ho cominciato a scrivere biografie di cantanti, i grandi editori, come la Mondadori, la Rizzoli e altri, dicevano che in Italia le biografie non avrebbero mai funzionato, perché i lettori italiani volevano le autobiografie. Dieci anni dopo, e oltre seicentomila copie vendute dopo, credo che questa faccenda sia archiviata per sempre. L’imminente uscita di Semplicemente Elisa, proprio per Mondadori, lo dimostra. Credo che, non stando a me parlare dei miei libri, un buon argomento potrebbe essere il fatto che i lettori, comprandoli e parlandone, hanno reso possibile l’inizio, anche in Italia, di un nuovo genere, “le biografie pop”. Non fidatevi di me, ché sarei poco obiettivo, fidatevi dei lettori…