Stefano Sgambati ci racconta "Il Paese Bello" e la necessità di una letteratura senza marche

Giulia Siena 26/08/2010 – ore 11.00
ROMA –  Intervista all’autore de “Il Paese Bello” (Intermezzi), Stefano Sgambati:

Sette racconti dai temi “difficili” per la narrativa italiana. Come nasce “Il Paese Bello”?  
“Il Paese bello” nasce più o meno per caso. Sono sette racconti che mi sono divertito a scrivere, per varie ragioni (pubblicazioni su riviste letterarie e antologie, amena perdita di tempo, sanissimo cazzeggio, alternativa alla criminalità), negli ultimi due anni o giù di lì. Alla fine, quando ce li ho avuti tutti sotto gli occhi, tali racconti, m’è sembrato che ciascuno recasse in sé una piccola goccia di Italia e ho provato a infilarli insieme e a proporli a questa straordinaria casa editrice – Intermezzi – di cui avevo sentito parlare molto bene al tempo.
La “confezione” è venuta da sé, il titolo, invece, prende spunto dall’ultimo racconto omonimo che è un “what if” abbastanza astruso del tipo: cosa sarebbe successo all’Italia se Eluana Englaro invece di morire fosse sopravvissuta, si fosse svegliata nel proprio letto d’ospedale e avesse domandato una coscia di pollo? Il risultato è, per l’appunto, l’ultimo assurdo (ma non troppo, mi dicono…) racconto, che oltre che una precisa accusa alla ridicola classe politica che ci siamo ritrovati in quei tristi giorni e ci ritroviamo tuttora, è anche un omaggio ad alcuni miei “padri” letterari: dagli anticlimax di Woody Allen, a Stefano Benni, finendo, naturalmente, con José Saramago, il quale – poverino – ha avuto l’ardire di morire solo pochi giorni prima di Pietro Taricone, che in un Paese come il nostro equivale a non morire proprio, paradossalmente.
Secondo te qual è il prototipo di lettore de “Il Paese Bello”?
Il prototipo di lettore de “Il Paese bello” è un lettore intelligente, critico, consapevole, attivo, non suddito e curioso: più o meno lo 0.001% della popolazione italiana. Come si può ben intuire, non ho alcuna possibilità di arricchirmi grazie alla scrittura (che è poi la cosa che più divertirebbe fare).
Nel tuo libro parli in modo claustrofobico del matrimonio e della famiglia come il luogo in cui non vengono riconosciuti i bisogni dell’individuo. Sono legami-trappola?
I legami sono una trappola di per sé stessi. L’amore, come il sesso, i soldi, il potere e la felicità, è una schiavitù. In linea teorica e provocatoria, sarebbe molto meglio non amare mai, ma purtroppo questa è una lezione che non si riesce ad imparare. Io stesso fallisco e almeno una volta ogni due o tre anni mi capita tragicamente di innamorarmi, con conseguenze devastanti quali solipsismo, ansia diffusa, sensazione di pre-morte, abuso di droghe, insicurezza atavica, varie tipologie di asme. Nel libro ci sono almeno tre racconti che parlano di amore: in uno un tizio aiuta una tizia a cercare un orecchino di perla caduto in terra durante una festa alla fine degli anni Sessanta e alla fine si accorge che di sposare la donna che deve sposare non gliene importa nulla (ciononostante, io credo, lo farà lo stesso); in un altro due tizi sposati da anni vanno a un pranzo di Pasqua in un clima a dir poco tragicomico. Lei soffre orribilmente il fatto di essere una sfacciata grassona e lui ne beve uno di troppo. Alla fine non si salverà nessuno; il terzo racconto che, più o meno, parla d’amore è il monologo di un tizio violento che non si rende conto di essere violento. Ce ne accorgiamo noi lettori (o almeno spero…) leggendo, ma lui proprio non ne vuole sapere di ammetterlo, anche se in effetti è proprio per questo che non ha più la donna che amava. Quindi direi che l’amore raccontato nel mio libro soffre di questa visione solo leggermente pessimistica e fatalista che io ho dei legami in quanto tali. Come diceva Seneca: “L’amore è un’amicizia impazzita”. Ecco, nulla contro la pazzia, davvero, ma è già talmente difficile trovare parcheggio il venerdì sera…
 Amore e omosessualità, donne e maschilismo, religione e politica: il 2010 non è così moderno come sembra. Vero?
Il 2010 è talmente poco moderno che se io adesso svelo che in un racconto contenuto nella mia antologia c’è una ragazza che fa un pompino a Dio al fine di corromperlo ed essere rimandata sulla terra, probabilmente tu mi dirai che non potete pubblicare l’intervista. Il problema, comunque, è l’Italia e gli italiani, non il 2010: il 2010 va benissimo così, a patto di essere un cittadino del North Dakota e di non possedere la televisione.
Indiscrezioni sul tuo prossimo libro?
Il mio prossimo libro uscirà più o meno ad ottobre per i “tipi” della Castelvecchi Editore. Sarà un lungo viaggio antropologico e letterario attraverso la mia città, che è Roma. La cosa (spero) curiosa e (spero) originale è che ho deciso di raccontare la Capitale d’Italia attraverso un elemento (spero) nuovo: i bar. Di zona in zona, di via in via, di quartiere in quartiere, tra personaggi mitologici e molto letterari, curiosità, aneddoti, racconti, favole, degustazioni e quant’altro: Roma narrata dal fondo di un bicchiere. Con buona pace del mio fegato. Per il resto io non mi rendo mai conto che sto scrivendo un libro. Non è che mi metta lì a dire: ok, ora scriverò un libro. Ho delle cose in mente e le sviscero, anche perché non è che abbia molta altra scelta. Scrivere mi è inevitabile e questo è quanto: se poi continuerò a trovare qualcuno così illuminato dal pagarmi per farlo, tanto meglio. Altrimenti mi aprirò una bella copisteria e buonanotte ai suonatori. Il sogno è il romanzo: mi ci sto divertendo, ho una storia che mi sta appassionando scrivere ma, al momento, molto francamente, non mi reputo così bravo. Se proprio dovete spendere 15 euro per un romanzo, compratevi qualcosa che non abbia scritto io (ma, possibilmente, neanche Fabio Volo).
Puoi aggiungere ciò che vuoi per chiudere l’intervista!
Una cosa, in effetti, vorrei aggiungerla ed è questa: comprate, ogni tanto, se vi capita, se avete voglia, coraggio e disponibilità economica, comprate libri di case editrici non “main stream”. Ci sono autori strabilianti, novità succose e idee geniali sommerse nelle librerie-vetrina che propongono solo e sempre letteratura di massa, quella dei soliti noti, delle solite “marche”, dei soliti giri. Interessatevi, ecco, usate Facebook non soltanto per condividere la vostra preoccupazione a proposito dei cani abbandonati: cercate i gruppi delle case editrici medie e piccole, informatevi degli autori che propongono, su cui investono soldi LORO e risorse e tempo e se anche solo uno di questi libri dovesse piacervi, diffondetelo, parlatene, regalatelo. Internet, in tal senso, è la nuova Bibbia di Gutenberg (non a caso ce lo vogliono limitare…). Sputate sui libri pubblicati a pagamento, ignorate i volumi-spazzatura di autori-monnezza, retaggio di trasmissioni televisive fallite o di reality show impossibili. Abbiate il coraggio di credere che non tutto quello che è “griffato” è buono, soprattutto in letteratura. Le idee non hanno marca. La diffusione della parola letteraria, come dice Roberto Saviano, è anche responsabilità nostra, dei lettori. Uno spirito critico più raffinato può salvare questo paese di merda. Possiamo ancora fare qualcosa.

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Recensione “Il Paese Bello”

Angela Di Pietro ci racconta "La rivincita delle zitelle"

Giulia Siena 02/08/2010 ore 11.00
ROMA – Intervista ad Angela Di Pietro, autrice de “La rivincita delle zitelle” (Sperling&Kupfer)
Come mai a 46 anni si decide di raccontare episodi e aneddoti di una vita “da zitella”?
Quando sfuma la possibilità di vestirsi da sposa-meringa (con abito tutto pizzi, frizzi e lazzi)  è meglio riderci su, senza drammatizzare. Oddio, io penso che l’uomo giusto possa arrivare anche ad 80 anni. Ma l’abito-meringa è solo per le giovanissime.

Dapprima la disperazione per essere l’unica single in famiglia e in ufficio, poi, quando si comincia a gustare la rivincita delle zitelle?
La disperazione è  un termine che non associerei allo status di zitella. Mi sono disperata di più davanti ai minestroni che cercavano di farmi mangiare quando ero piccola. La mia rivincita? Quando l’uomo che mi ha spezzato il cuore ha letto il libro.
Una donna che scrive “La rivincita delle zitelle” è una donna troppo intelligente ed esigente?
Intelligente? Io sono tonta esigente che finge di credersi intelligente.  
Quando si passa da single a zitella?
Quando non si indossa una borsa da 700 euro.
Ora una domanda prettamente da uomo: c’è una comune fisionomia della “zitella”?
Nel senso che le zitelle sono tutte brutte? Tutt’altro. Io sono racchia, ma conosco zitelle stupefacentemente belle.
Lo “status” di zitella in quale misura è causato dai soggetti maschi che ci sono in giro?
Lo status di zitella è indipendentente da come si viene definite dagli uomini.   
Una giornalista qualche tempo fa ha scritto che “gli uomini preferiscono le isteriche”, quindi le zitelle sono accomodanti e comprensive?  
Una fesseria. ma chi lo ha scritto? Gli uomini fuggono dalle isteriche (ndr, io sono una isterica, se fosse vero ciò che ha detto quella giornalista, dovrei avere un harem).

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Recensione di “La rivincita delle zitelle”

Intervista a Roberto Da Re Giustiniani, direttore editoriale Kellermann

Gli gnomi mangioni, KellermannGiulia Siena 13/07/2010 ore 11.00
ROMA – Intervista a Roberto Da Re Giustiniani, l’editore che ha pubblicato “Gli gnomi mangioni”. Kellermann significa “uomo della cantina”, colui che conserva le cose buone. A quasi venti anni dalla nascita della vostra casa editrice di quali “cose buone” andate fieri?

Siamo contenti soprattutto di essere riusciti a creare un’identità editoriale.
 I lettori riconoscono una linea costante di ricerca, di sperimentazione.
Ci divertiamo ancora a metterci alla prova nella scelta di autori che sono in ricerca di linguaggi nuovi. Con loro proviamo, sperimentiamo, ci scambiamo pareri. Un grande passo avanti è anche quello di aver creato all’interno della casa editrice una piccola squadra affiatata. Lavorare bene insieme è ancora più importante di azzeccare il titolo giusto.
Kellermann come sceglie i libri da pubblicare?
Abbiamo scelto la strada più difficile di non pubblicare a pagamento. Gli autori non sono costretti ad acquistare copie o a pagare fior di quattrini solo per rispondere al bisogno di vedere i propri pensieri su carta. Non abbiamo nessuno sponsor a coprirci. Questo implica dover mettere più attenzione quando si tratta di accogliere un progetto, e alla fine riusciamo a dar corso a non più di sette, dieci titoli all’anno, nelle varie collane. Se possibile, ristampiamo. Nella scelta, oltre al contenuto contingente del manoscritto, conta molto anche il rapporto personale che si instaura con l’autore. Con alcuni si crea un sodalizio, un rapporto amichevole, di collaborazione.
Perché proporre una intera collana di libri essenziali per la vita quotidiana domestica dalla veste grafica semplice e allo stesso tempo ricercata?
La Collana “Quaderni” è nata nel 1995. Siamo partiti dalla raccolta di usi e tradizioni in cucina e nella vita quotidiana delle nostre comunità. Qualcosa su cui ritrovarci anche nella forma grafica. Il quaderno è un supporto semplice, ma non per questo meno raffinato di un libro. IL fatto di essere tutti scritti a mano, illustrati con immagini sempre originali, “vestiti” con gli angoli arrotondati, l’etichetta applicata, i bordi colorati li rendono dei veri e propri pezzi unici, degli oggetti di artigianato nei quali i lettori si riconoscono. Tanto è vero che qualche pseudo-editore senza scrupoli non ha mancato di imitarci. Ma oltre alla forma e al contenuto ci deve essere la passione e l’amore per il proprio lavoro: e questo non si può scopiazzare.
Cosa trovano i lettori in questa collana così particolare?
In un periodo come questo, di grande incertezza per il futuro, di valori poco chiari, di mancanza di modelli, le persone trovano nei quaderni quei riferimenti legati ad un sentimento di nostalgia e di semplicità che aiuta a sentirsi parte di una comunità, a ricordare stili di vita più essenziali. Quegli stili che oggiAggiungi un appuntamento per oggi possiamo mantenere vivi solo scegliendo di andare controcorrente, non adattandoci al consumismo sfrenato e ad una inutile e controproducente dissipazione di energia.
“Gli Gnomi mangioni. A tavola con i bambini” parla dell’alimentazione ai bambini e per i bambini, cosa vi ha spinto a pubblicare questo libro?
Non potevamo disperdere l’esperienza di tanti anni di lavoro con i bambini fatto dall’autrice come cuoca nelle scuole materne. Questo le ha permesso di imparare a capire i gusti, le difficoltà, talvolta anche i capricci dei bambini, e con grande sensibilità ha tradotto le ricette in piccole storie ambientate in un bosco incantato, abitato da tanti piccoli gnomi golosi e mangioni. E’ un modo semplice per cercare di trasformare in un gioco anche l’esperienza del mangiare, che a volte con i bimbi più piccoli diventa una vera impresa…E’ bello per i bambini, ma è molto più utile per i genitori, che riescono a rilassarsi un po’.

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Recensione “Gli gnomi mangioni”