Il fiuto infallibile di Hercule Poirot


Silvia Notarangelo

ROMA – La risoluzione di un caso apparentemente impossibile, la ricerca di un colpevole, il Bene che alla fine prevale sul Male. Sono questi alcuni degli ingredienti che hanno determinato, nel tempo, il successo del genere giallo. Un successo di cui parte del merito va attribuito anche alla penna della scrittrice inglese Agatha Christie. Osservatrice attenta e scrupolosa, curò sempre i suoi lavori con grande abilità, creando atmosfere suggestive, momenti di suspense, personaggi brillanti, dotati di ingegno straordinario, eppure capaci di far sorridere per le loro tante, piccole, debolezze.
Assassinio sull’Orient Express”, scritto nel 1934, è uno dei suoi romanzi più famosi. Protagonista l’inimitabile detective belga Hercule Poirot, un uomo piccolo di statura, con i baffi, maniaco dell’ordine e dell’igiene ma anche incredibilmente acuto.
È il caso a farlo trovare proprio su quel treno diretto a Calais che, durante la notte, si trasforma nella scena di un delitto efferato. La vittima è Samuel Edward Ratchett, un ricco americano selvaggiamente ucciso da molteplici coltellate. Nonostante, nel silenzio notturno, rumori inconsueti avessero colpito l’attenzione dell’investigatore, nulla lasciava immaginare una simile tragedia. L’inaspettato ritrovamento del cadavere, mette in moto il formidabile intuito di Poirot. Le indagini sono rapide e si concentrano sui passeggeri del treno. Chi può avercela con Ratchett al punto da ucciderlo così ferocemente?
La prima, interessante scoperta riguarda la vittima, non un americano qualunque ma un omicida di professione che risponde al nome di Cassetti. Gli indizi raccolti dal detective, uniti alle testimonianze dei passeggeri, sembrano convergere in un’unica direzione. Dietro all’assassinio si nasconde la vendetta di chi, proprio per mano di Cassetti, aveva perduto, anni prima, qualcosa di molto caro. Un piano crudele e ben architettato, capace di riservare colpi di scena e abili depistaggi, ma che alla fine sarà brillantemente scoperto dall’infallibile Poirot.

“Cedimenti”…realtà o fantascienza?

Silvia Notarangelo
ROMA – Quando la ventisettenne Martina eredita un po’ a sorpresa la villa in Sicilia di quel nonno appena conosciuto, non può certo immaginare a cosa andrà incontro. Ha pochi ricordi di quella grande casa affacciata sul mare e, tra quei pochi, non è compreso lo scheletro di un enorme edificio che va innalzandosi proprio di fronte la casa, un’autentica “porcata edilizia”. Inizia con questa amara scoperta “Cedimenti”, il suggestivo romanzo pubblicato da Edizioni Ambiente e scritto a quattro mani da due autrici che si firmano con lo pseudonimo Francesca Vesco.

Una scoperta inaspettata per Martina quanto tristemente nota alla comunità di Valduci, che convive con la piaga dell’abusivismo e la prepotenza di certi uomini, poco raccomandabili, con i quali “non è prudente mettersi contro”. Il costruttore in questione, responsabile dell’ennesimo ecomostro, ha un nome, Giacomo Iraci, e una reputazione non proprio cristallina. La frase con la quale si congeda da Martina, al termine di un incontro velatamente intimidatorio, sembra una vera e propria minaccia: “Accetti il mio consiglio, lasci questo posto”. Le parole, dure come pietre, scuotono la ragazza. All’improvviso, tutto le appare incredibilmente chiaro: e se il nonno non fosse morto in seguito ad un incidente ma ci fosse dietro la mano di qualcuno? Si spiegherebbe, così, la presenza nella villa di una pistola: forse l’anziano temeva per la sua incolumità. Ma come dimostrarlo? In assenza di prove, nessuno le avrebbe dato retta. Meglio, allora, agire da sola. Ma visto che nulla capita per caso, ecco che Martina si imbatte prima in Paolo, un giovane e affascinante ingegnere, poi in un attivista ambientalista, Giuliano Chimenti. Saranno loro a lasciarsi trascinare dal suo desiderio di giustizia in un gioco pericoloso, la cui posta in palio si farà sempre più alta. Una battaglia di cui diventeranno protagonisti alcuni insospettabili batteri di laboratorio, capaci di corrodere il cemento provocando inspiegabili quanto inarrestabili cedimenti.

Novità TEA: “Pesca con la mosca”

Silvia Notarangelo
ROMA – L’ex magistrato, Gianni Simoni, non tradisce le aspettative nel suo nuovo giallo dal titolo “Pesca con la mosca”, pubblicato da TEA. Una storia appassionante, una vicenda intricata in cui le indagini, proprio quando sembrano vicine ad una svolta, sono invece prontamente smentite da repentini colpi di scena.

Protagonista, ancora una volta, la squadra mobile di Brescia con il commissario Miceli, “la discrezione fatta persona”, e i suoi fedelissimi collaboratori. All’appello non può, ovviamente, mancare il giudice Carlo Petri che, nonostante una pensione anticipata, continua a restare un insostituibile punto di riferimento.
Ed è proprio lui, un pomeriggio d’estate, l’artefice di una “pesca” che, certo, non può dirsi miracolosa. Il cadavere di una bellissima ragazza riaffiora dalle acque tranquille di un ruscello dove Petri si è recato con la speranza di portare a casa qualche trota di montagna. Inevitabile l’intervento del giudice che, dopo aver condotto a riva il corpo, si precipita a chiedere aiuto.
È la punta di un iceberg, la miccia che innesca una serie di omicidi in cui sono misteriosamente coinvolti tre sacerdoti ed un medico. Ma se per Don Carrino, la prima vittima, si giunge abbastanza rapidamente ad un’ipotesi che sembra plausibile, non altrettanto può dirsi per le altre tre.
Le indagini brancolano a lungo nel buio, le ricerche e i primi riscontri non danno i risultati sperati, la reticenza o la paura prevalgono. L’interrogativo su cui si concentra il lavoro della squadra è essenzialmente uno, scoprire che cosa lega le quattro vittime ed individuare chi può avercela con loro, al punto da trasformarsi in uno spietato assassino. Per la morte di Don Carrino i sospetti ricadono subito sul fidanzato della ragazza, Enrico Beni, un giovane bravo e onesto che il dolore e la rabbia potrebbero aver reso un terribile omicida. La pista, però, viene in parte abbandonata, complice il fatto che il Beni si trova già in carcere quando vengono compiuti gli altri delitti. A questo punto non resta che ripartire da zero, indagare sul passato delle vittime, capire chi può aver acquistato quella 6,35 dalla quale sono partiti i quattro proiettili letali. La verità è più vicina e, forse, anche più scontata di quanto si creda. E saranno nuovamente le intuizioni di due donne, l’ispettrice Grazia Bruni e Anna, la moglie di Petri, a dare un contributo decisivo per la soluzione del caso.

"Il clandestino", nel labirinto dei sospetti

Marianna Abbate
ROMA – Mi piacciono i gialli. Le idee originali, le storie che mi stupiscono. Ecco, “Il Clandestino” di Ferdinando Albertazzi mi è piaciuto. Edito da Sonda nella collana Giallo Noir, è un libro per ragazzi fatto molto bene. Non per niente l’autore insegna in corsi di scrittura creativa. La trama segue con attenzione tutte le regole della struttura perfetta di un giallo- ma è l’argomento e il modus operandi dei protagonisti ad essere diverso, innovativo.
La storia si dipana in una scuola, dove viene trovata strangolata una studentessa. Tragico incidente, suicidio, oppure omicidio?
Sono le tre ipotesi su cui indirizza le indagini il commissario Marchetti, il poliziotto incaricato delle indagini. I sospetti ricadono subito sui suoi compagni, con i quali aveva instaurato un rapporto inquietante e morboso legato ad un gioco di ruolo.
Ma come ogni giallo che si rispetti, la soluzione non è mai semplice come potrebbe sembrare. Un finale a sorpresa, completa la soddisfazione della lettura, sempre avvincente.
Un testo piacevole e divertente, che consiglio anche agli insegnanti come esercizio dell’analisi strutturale di un romanzo.

La madre dei colletti sporchi si chiama "Mater Munnezza"

Agnese Cerroni
Roma Irrompe nelle librerie con un vigoroso je accuse Massimo Siviero, giornalista e sociologo, firma d’eccellenza de Il Mattino di Napoli e de Il Messaggero. Tuona attraverso le pagine dell’ultimo libro e le sue parole pesano come macigni. “Mater Munnezza” (edizione CentoAutori) è giallo in superficie e storia in nuce, romanzo che ha in sè le prerogative di un’inchiesta e scava puntigliosamente nelle torbide acque della cronaca nazionale. Attraverso l’incedere accattivante del thriller, forma narrativa che con freschezza maschera e trascende la realtà nella finzione, l’autore mette in scena le crude degenerazioni – assolutamente autentiche – della storia dei nostri giorni, con particolare riferimento, come il titolo stesso suggerisce, alla questione dello smaltimento dei rifiuti. Partendo dall’assunto che la munnezza non è che la punta dell’iceberg, il sintomo della malattia.

Il protagonista Gabriele Abruzzese (abruzzese di nome e di fatto) la definisce “borghesia camorrara“. E’ la classe napoletana dei “colletti sporchi, anzi sporchissimi”, che sguazza nella sottocultura del malaffare e che è responsabile del disinteresse della cosiddetta società civile per la storica emergenza (accoppiata ossimorica) rifiuti in Campania, che da vent’anni, con alterne vicende, attanaglia la metropoli e la sua periferia. Sono loro l’autentico cancro da asportare. Loro che hanno spesso voltato la faccia altrove quando si trattava di denunciare. Loro che talvolta hanno preso parte al business.

Sullo sfondo c’è il ritorno di Abruzzese, già conosciuto dai lettori di Siviero: un non napoletano tra i napoletani affinchè il reale venga ben delineato, la critica resa oggettiva e i problemi affrontati con distacco e senso di pietà. Il commissario dovrà riavvolgere il bandolo della matassa, in una complessa storia che coinvolge un delitto atipico contraddistinto da inquietanti ritualità, ostacoli istituzionali e crimini internazionali. Sullo sfondo la città di Napoli, cupa, pericolosa, bellissima.

"Gli angeli di Lucifero", la storia intensa di una Milano nel mistero


Silvia Notarangelo
Roma – Per il suo romanzo d’esordio, il giornalista Fabrizio Carcano ha scelto di recuperare la leggenda del Diavolo di Porta Romana per dar vita a una storia intensa e ricca di colpi di scena, in cui la vita della Milano del 2009 si intreccia con quella, intrigante e misteriosa, della Milano esoterica del Seicento.
“Gli Angeli di Lucifero”, pubblicato da Mursia, si apre con la notizia della profanazione della tomba di Ludovico Acerbi, eccentrico nobile milanese, capace di guadagnarsi la fama di Diavolo, proprio in virtù dei suoi modi stravaganti. Apparentemente nulla di così eccezionale, forse un semplice atto vandalico.
E questa è anche la prima ipotesi formulata dal commissario Bruno Ardigò, propenso a chiudere rapidamente la questione.
Tutto, però, si complica quando, a distanza di pochi giorni, la città viene sconvolta da tre efferati omicidi. Un titolare di un’agenzia pubblicitaria, un immobiliarista e un medico perdono la vita sotto i terribili colpi inferti da una stessa mano. La scena del delitto è identica: i corpi massacrati con la lama di una spada e accanto a loro una versione, appositamente modificata, della celebre opera di Marco d’Oggiono, la Pala dei tre Arcangeli.
Le indagini, che inizialmente non avevano escluso alcuna pista, non possono che concentrarsi, ora, verso un’unica direzione. Gli omicidi hanno un movente comune. E anche gli ultimi, flebili dubbi vengono fugati quando, grazie al contributo di Federico Malerba, amico del commissario nonché brillante cronista, emerge, dal passato, un inquietante particolare. Le tre vittime sono discendenti di antiche famiglie milanesi che, in modi diversi, si erano inimicate niente di meno che il noto Marchese Acerbi. Il Diavolo stava forse sfogando, ora, la sua ira mai sopita? L’interrogativo sembra trovare incredibili conferme non solo dai filmati acquisiti da alcune telecamere, ma anche dalle parole dell’unico testimone. L’assassino ha un mantello nero, un cappuccio, indossa guanti e stivali ma, soprattutto, non ha un volto: “era bianco, era la morte, era terribile”.
Lucifero sembra, così, aver compiuto la sua vendetta, i tre “angeli” sono stati sconfitti. Ma il procedere delle indagini porterà alla luce una verità molto diversa da quella ipotizzata, i cui risvolti, davvero imprevedibili, non saranno, però, mai suffragati da prove certe.

“Rinascere per caso”: dalla tecnologia al riciclo dei rifiuti elettronici

Alessia Sità
ROMA – Vi siete mai soffermati a pensare che fine fanno i rifiuti tecnologici? Se non avete la minima idea di cosa succeda dopo aver dato via il vostro vecchio computer, il vostro cellulare o la vostra stampante, leggete “Rinascere per caso” di Marco Santochi, pubblicato da Felici Editore nel 2010. La storia ruota essenzialmente intorno a un normalissimo telefono cellulare, che sancirà un legame indelebile e inatteso fra due donne. Questo comunissimo strumento di comunicazione sarà la chiave che porterà Sara ad intraprendere un viaggio alla scoperta del misterioso autore di strani sms, inviati dal telefono del povero marito, scomparso tre mesi prima.

Durante questa estenuante ricerca, la donna si scontrerà con una realtà sconosciuta e molto spesso sottovalutata. A venti anni di distanza, la giovane ricercatrice Lina si ritrova a presentare il prodotto dei suoi lunghissimi studi nel campo dell’elettronica, frutto di un’esperienza che ha totalmente cambiato la sua vita.

Due destini che inaspettatamente si incontrano, due esistenze che si legano indissolubilmente grazie ad uno strano caso della vita.
La vicenda si dipana in un continuo viaggio nel tempo, fra presente e passato; abilmente, il lettore viene condotto alla scoperta della realtà del riciclaggio, legale e illegale, dei rifiuti elettronici.
In “Rinascere per caso” il leit motiv ecologico si lega perfettamente ad alcuni aspetti sociali e industriali molto spesso trascurati dall’informazione.
Marco Santochi dà vita ad un giallo che, all’elemento classico, unisce la tematica tecnologica e la possibilità di rendere finalmente realizzabile lo smaltimento di sostanze altamente pericolose per l’essere umano e per il pianeta.

“L’ultima passeggiata”: l’intrigante giallo di Gabriella Guidi Gambino

Alessia Sità
ROMA “ È l’una di notte. Una ragazza passa veloce sul lungotevere Marzio. È vestita di scuro, con abiti dimessi. La vede un giovane impiegato di commercio, di ritorno a casa. Ode un colpo d’arma da fuoco. Si volta: la ragazza è scomparsa.” Nel suo ultimo intrigante romanzo, “L’ultima passeggiata”, recentemente edito da Mursia, Gabriella Guidi Gambino ricostruisce un oscuro caso di cronaca nera. Un giallo che scosse la città di Roma il 4 gennaio 1918 e archiviato troppo facilmente a causa della scarsa disponibilità di indizi. A distanza di molti anni, però, Lisa Gritti e il burbero penalista Giacomo Sanfelici decidono di riaprire il fascicolo, per far luce sul misterioso omicidio di quella che fu definita ‘una profuga di guerra’.

Ripercorrendo le carte processuali, la giovane donna e l’anziano criminologo scopriranno un retroscena fatto di turbamenti, amori traditi e sotterfugi.
Lentamente i personaggi prendono sempre più forma e spessore: il dongiovanni dalla vita dissoluta che seduce una giovane nobildonna, troppo ingenua per rendersi conto del doppiogioco cruedele di cui sarà vittima; e infine la bellissima e diabolica seduttrice senza scrupoli.
Attraverso una descrizione accurata in ogni piccolo dettaglio e con uno stile semplice e diretto, Gabriella Guidi Gambino offre al lettore un intrigante e misteriosa panoramica della ‘città eterna’ degli anni Venti.
L’elegante giallo si insinua nell’animo umano, svelandone ogni minima sfumatura.
Fra bene e male, la torbida vicenda viene ricostruita con estrema accuratezza e lentamente ogni tassello della storia trova alla fine la giusta collocazione.

Le storie del bibliobus di Tundrum in “Galeotto fu il libro”

Silvia Notarangelo
RomaTundrum, una cittadina dell’Irlanda del nord, un bibliobus scarsamente considerato, un giovane di nome Israel Armstrong. Sono questi i tre ingredienti che Ian Sansom continua, sapientemente, a mescolare in una nuova avventura dal titolo “Galeotto fu il libro”, recentemente pubblicata da Tea.
Israel ha quasi trent’anni, vive in un pollaio trasformato in appartamento, di professione fa il bibliotecario e la sua vita non è, esattamente, come la avrebbe immaginata. Sono tante le cose che non vanno, a cominciare da quella strana sensazione di essere diventato l’ombra di se stesso senza sapere che direzione prendere né che cosa aspettarsi dal futuro.
Lavora su un bibliobus percorrendo le strade di Tundrum, un’insolita località irlandese, isolata dal resto del mondo, dove tutto sembra scorrere all’insegna di un’estenuante monotonia. C’è un unico bar, quotidianamente preso d’assalto, c’è la serata fish & chips seguita da un attesissimo quiz biblico, ci sono le lezioni di lettura organizzate per i bambini della scuola. Niente di strano, dunque. L’unica anomalia, se così si può chiamare, è sotto il bancone del bibliobus: lì, infatti, lontani da occhi indiscreti, sono conservati i libri fuori catalogo, libri volutamente non esposti per evitare di impressionare i lettori più giovani. Ed è proprio da questi che, una mattina, Israel attinge per accontentare la richiesta di una misteriosa e taciturna ragazzina. Il testo in questione si intitola “Pastorale americana”. Sembra un normale prestito bibliotecario ma, all’improvviso, le cose cambiano.
La ragazzina, Lindsay, figlia di uno dei candidati alle prossime elezioni, scompare. Nell’occhio del ciclone finisce il giovane protagonista, la sua condotta lavorativa viene messa in discussione, forse è lui la causa della sparizione, forse, all’origine del gesto, c’è quel libro “sconsigliato”, concesso, impunemente, in prestito.

Intenzionato a dimostrare la propria estraneità ai fatti, Israel si mette subito alla ricerca di Lindsay. Non sarà facile sciogliere i nodi della vicenda, scoprire ciò che davvero si nasconde dietro questa fuga apparentemente inspiegabile. Il giovane bibliotecario seguirà una serie di piste fino a quando non riuscirà a risolvere il caso. La sorpresa, però, sarà tale da suggerire un’amara considerazione: le apparenze ingannano, gli indizi possono rivelarsi fuorvianti e la verità, spesso così terribilmente banale, può risultare ancora più difficile da accettarsi.

"La morte al cancello", il raffinato noir di Gianni Simoni pubblicato da TEA

Alessia Sità

ROMA – Una donna uccisa crudelmente, due miseri barboni eliminati perché ritenuti pericolosi e una città enigmatica, che nasconde un lato oscuro, troppo inquietante. Sono questi gli ingredienti del nuovo romanzo di Gianni Simoni, “La morte al cancello” edito da TEA nella collana Narrativa Tea.
Per il commissario Miceli, ancora una volta affiancato dall’instancabile ex giudice Petri, e per la sua squadra investigativa c’è un nuovo intricato caso da risolvere.
In una fredda notte bresciana, si consuma il barbaro delitto della moglie di un noto luminare di cardiochirurgia. Pochi giorni dopo, in città si apprende la notizia del ritrovamento dei cadaveri di due senzatetto. In apparenza, gli omicidi sembrano non avere nessun legame, ma andando avanti le indagini si incrociano inevitabilmente.

Il lavoro della polizia si fa sempre più meticoloso, non bisogna tralasciare nessun particolare, perchè anche il più abile killer può commettere errori o leggerezze. La pista principale seguita sembra essere quella di un omicidio su commissione, ma qualcosa nel quadro complessivo della vicenda non torna. Ci sono troppe domande senza risposta. Perché la donna è stata uccisa? E chi poteva avercela con due barboni disgraziati? Le ipotesi e gli indizi aumentano sempre di più e la pazienza, talvolta, sembra venir meno. La coppia Miceli – Petri però non si arrende. Le indagini continuano senza sosta, fino a quando anche l’ultimo tassello del complicato puzzle non trova posto.
Ogni personaggio, ogni evento è descritto passo dopo passo con estrema accuratezza. Gradualmente la soluzione prende finalmente forma. Attraverso una scrittura diretta, talvolta ricorrendo anche all’uso della lingua dialettale, l’ex magistrato riesce a coinvolgere il lettore in una complessa vicenda che nasconde un retroscena di tradimenti e infinito degrado. Il raffinato giallo di Simoni tiene col fiato sospeso fino all’ultima pagina, finché la giustizia non avrà fatto il suo corso.