Veruska Armonioso
TORINO – In questi giorni appena passati avevo una missione. Dovevo raggiungere il Salone Internazionale del libro di Torino. Dovevo portare a casa un editoriale sul Salone e su tutto quello che di curioso e culturale ci fosse.
Sulla carta era un viaggio facile: destinazione Torino. Piccola deviazione per Milano, partenza da Roma. Sulla carta, come dicevo, era un viaggio facile.
Non è che la prudenza fosse il mio obbiettivo, era nata come una contingenza.
Partendo da Roma stavo lasciando tre settimane di cambiamenti radicali. Di quelli che fai ogni sei mesi, tipo cambio di stagione. I cambiamenti di quando scopri che quello che credevi bianco in realtà era nero, oppure di quando ti accorgi che quella che credevi verità era una menzogna. Quando pensi di essere sazio e invece lo stomaco sbraita, quando sei certo di aver capito e invece sei più confuso di prima. Insomma, quella roba là era quanto successo nelle tre settimane precedenti. Certo, erano successe anche altre cose. Tipo nuovi arrivi, nuove notti, nuove scarpe, nuove cose. Solo che le cose vecchie, quelle dei cambiamenti radicali, bruciavano ancora parecchio. Allora avevo cercato rifugio in un libro sullo scaffale accanto alla porta del mobile Ikea. Avevo capito che per superare quelle tre settimane precedenti avrei dovuto sviluppare una dote che non mi apparteneva e che, per riuscirci, era necessario attingere a strumenti precisi: la letteratura. Ciò che dovevo ottenere si chiamava pazienza. Come quella di aspettare prima di uccidere, di lasciare che gli eventi accadano da soli, di far maturare i tempi senza precorrerli. A me piace precorrere. A me piace correre, vado in palestra apposta… un tempo non era mica così, io a correre mi annoiavo. Lo trovavo faticoso e inutile. Fisicamente, perché mentalmente ed emotivamente correvo da sempre. Da trent’anni almeno. Così negli ultimi due anni, finalmente, avevo trovato una certa coerenza tra il corpo e la mente, ora tutta me correva. Solo che gli accadimenti delle tre settimane precedenti mi avevano fatto rallentare. Quando sei abituato a correre e rallenti, scalpiti. Allora serve praticare la pazienza. Ecco, direi che è nato tutto da lì, dalla necessità di gestire il rallentamento, perché la corsa mi avrebbe portata dritta verso l’omicidio di cui parlavo prima ed era un gesto da evitare se volevo rimanere libera. Sorvolerò su nomi e cause e andrò dritta al giorno della mia partenza per Milano e al momento che da qui in avanti definirò momento dell’illuminazione.
Erano le 7.30. Con me avevo un trolley arancio, una borsa con il notebook e Temperamento di Stuart Isacoff. Ero assonnata, ma decisi di leggere. Avevo questo libro da qualche tempo, lo avevo trovato in una piccola libreria durante un soggiorno ad Arezzo. Quando lo vidi fui subito affascinata dal tema: l’avvento del temperamento equabile nell’accordatura degli strumenti a corda per far sì che ogni grado della scala sia esattamente equidistante da quelli che lo precedono o lo seguono. Questo permette di ripetere la stessa figura musicale a partire da qualsiasi nota creando relazioni tra loro precise e coerenti. Da ex pianista ero affascinata dallo strumento, non solo sotto il punto di vista estetico musicale, ma anche letterario. Lo avevo sempre considerato un essere umano. Un pianoforte è una vita. Viene messo al mondo attraverso attente manovre, con caratteristiche “genetiche” particolari. Ogni strumento respira, perché fatto di legno, è soggetto al freddo, al caldo, all’umidità, all’aridità. Se cade si rompe, se subisce scosse gravi va riaccordato, se non lo si suona per tanto tempo si atrofizza, se lo si dimentica, muore. Per farlo parlare basta premere dei tasti, ma per sentirlo dire frasi di senso compiuto bisogna conoscere il suo codice e suonare i tasti giusti, che corrispondono alle corde giuste. Quasi tutto quello che sono l’ho imparato suonando o leggendo. Quello che stavo cercando arrivò presto, a pagina quattro:
“Di pari passo con l’evoluzione dell’arte musicale si andò formando un paradosso allarmante, che minacciava di insidiare e indebolire l’intero ordinamento. […] Nessuno strumento a note fisse, come ad esempio il pianoforte, è in grado di comprenderle tutte. E dunque, certe combinazioni di suoni che avrebbero dovuto suonare dolci e consonanti risultavano spesso, sugli antichi strumenti a tastiera, stridenti e dissonanti. Nella loro ricerca di una soluzione, i musicisti cominciarono a temperare, cioè ad alterare lievemente l’accordatura dei loro strumenti, allontanandosi dagli antichi ideali”. Era chiaro che fosse un messaggio per me: temperare. E poi continuava con un monito:
“Non fu un passo facile. I critici lamentavano la dolorosa perdita della bellezza e dell’impatto emotivo della musica; i fautori del cambiamento, al contrario, sostenevano che, poiché tutto è soggettivo, l’orecchio e la mente dell’uomo si sarebbero presto abituati alla novità”.
Tutto era improvvisamente limpido: avrei dovuto abbandonare le proporzioni fissate in passato a favore di un temperamento equabile. Dovevo iniziare subito a mettere tempo tra me e gli altri, a inserire spazi bianchi tra me e i pensieri. Partendo da quel momento stesso, il mio arrivo in Stazione Centrale, che era, sì, sempre lo stesso, eccitazione e voglia di fagocitare tutto quello che mi si fosse presentato davanti; solo che stavolta, passando sotto le volte del grande mobile decò, avrei sentito ogni centimetro di pavimento che i miei piedi calpestavano, ogni boccata d’aria, ogni suono. C’era l’odore di peperoncino che arrivava forte dallo snack bar, o il profumo chiaro di burro dei cornetti appena decongelati. C’era tutto, e tutto era a un passo da me. Tra me e il tutto c’era lui, il temperamento. Era il mio temperamento che passava per la prudenza.
“La prudenza è la capacità di distinguere le cose da fare da quelle da evitare” diceva Cicerone. “Prudenzia è virtú la quale ordina e dispone l’animo dell’uomo a verace conoscimento di bene e di male, con ferma volontà di pigliare il bene e lasciare stare il male e fug[g]irlo” secondo il poeta Bono Giamboni. La prudenza avrebbe seguito il mio percorso, dal momento dell’illuminazione in poi. Ovviamente, per comodità, avevo deciso di apportare la prudenza ovunque. Con prudenza avrei incontrato le persone, con prudenza avrei conosciuto luoghi nuovi; con prudenza avrei sperimentato, con prudenza avrei provato sentimenti. Così, con prudenza conoscevo per la prima volta la magia della tempesta di lana dei pioppi, e mi ingegnavo per tirare giù da un albero dei fiori non ancora dischiusi per mostrare la sorpresa dell’interno ai miei cari di Roma, che di questa meraviglia non ne avevano mai nemmeno sentito parlare. Con prudenza attendevo che la rabbia verso gli accadimenti delle tre settimane precedenti passasse; con prudenza attendevo che le persone nuove facessero un passo verso di me o che sparissero; con prudenza lavoravo e sceglievo. Per la prima volta prendevo spazio, e nel farlo vedevo le possibilità moltiplicarsi e le incognite diminuire. Isacoff lo diceva, era una questione di equilibri e spazi, appunto, di temperamento:
“Suonare un pianoforte costruito senza uno scrupoloso rispetto di questo principio sarebbe come giocare una partita a scacchi in cui le regole possono cambiare a ogni mossa”.
Avevo intenzione di vivere dal momento dell’illuminazione in avanti temperando; subito avanti c’era la mia partenza per Torino.
Fu così che arrivai a Torino, entrai in fiera, rimasi ad osservarla per un po’ e poi feci quanto di più naturale possa accadere quando, con prudenza, conosci qualcuno e ti accorgi che non fa per te: me ne andai. Con il treno delle 8.03 di domenica 13 maggio, tanto per chiarire l’urgenza.
Perché alla fine, come dice il mio Bruno Valente “Le cose è bello viverle ma a volte è anche bello morirle” e non è per niente detto che a una grande aspettativa segua un grande accadimento, anzi, quasi sempre avviene il contrario. Ed è qui che entra in campo il temperamento. La prudenza, lo spazio tra le note, sempre uguale, sempre lo stesso: nessuna aspettativa, nessuna delusione. Nessuna delusione, nessuna azione ebbra. Nessuna ebbrezza, equilibrio. Perché la vita non può essere per sempre una partita a scacchi in cui le regole possono cambiare a ogni mossa. Con prudenza e temperamento riesci a schivare molti rischi, il fallimento soprattutto.
Fu così che tornai a Roma sana e salva, e portai a casa il mio editoriale sul Salone internazionale del Libro di Torino.
Nelle foto:
1. Volo durante al sua lezione di “Letteratura”.
2. Ligabue durante la presentazione del suo tomo letterario.
3. Saviano e Fazio durante la presentazione del loro nuovo programma “culturale”.
4. Del Piero durante la presentazione del suo “tomo letterario”.