ROMA – Il grande espressionismo linguistico di Clemente Rebora, uno dei più autentici poeti del Novecento, viene espresso con maestrìa nella raccolta di Lettere e poesie di guerra curata da Valerio Rossi, “Tra melma e sangue” (Interlinea). Rebora testimonia la crisi drammatica della prima guerra mondiale, vissuta attraverso una vigilia tumultuosa e poi un’esperienza personale tragica «tra melma e sangue» che lascia una ferita indelebile. Nelle incandescenti lettere il poeta milanese parla di «esperienza non dicibile», di «mostruoso intontimento», di «Calvario d’Italia» e di «ammazzatoio di Barbableu» usando parole come «orrore», «tanfo», «imbestiamento». La guerra è abisso, è «inghiottitoio» e le poesie di Rebora (qui per la prima volta commentate) ne richiamano la natura vorace, la desolazione assoluta.
«Però se ritorni / Tu uomo, di guerra / A chi ignora non dire; / Non dire la cosa, ove l’uomo / e la vita si intendono ancora». “Tra melma e sangue” testimonia che la Grande poesia non smette mai di parlare.
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