Matteo Dottorini
ROMA – ChronicaLibri intervista Giancarla Dapporto, autrice de “La ribellione di Antigone”
Perché ha deciso di raccontare la storia di Antigone? Dopotutto nei tragici è possibile trovare personaggi meno noti, meno rivisitati e sotto certi punti di vista più complessi.
La tragedia di Sofocle viene continuamente rappresentata, studiata, riscritta ancora oggi, dopo duemilaquattrocento anni, perché affronta i famosi conflitti fondamentali che ancora oggi rimangono i nodi irrisolti di ogni società: conflitto fra diritti umani e leggi politiche, conflitto fra individuo e società, conflitto fra generazioni, fra uomo e donna, fra vivi e morti.
E Antigone, la principessa tebana che va incontro alla morte per sostenere il diritto alla pietà, continua a commuoverci, ma anche ad affascinarci, a causa della misteriosa potenza del suo gesto. “Ade…” dice Antigone “…brama il rito funebre e non distingue tra buoni e cattivi.”
Ogni interpretazione di questa tragedia dà ad Antigone un nuovo volto, una diversa voce ed anche una diversa anima. Da Hegel ad Anouilh, a Brecht, alla Yourcenar, sono innumerevoli gli autori di ieri e di oggi che se ne sono innamorati. Più si legge intorno all’Antigone, più il mistero della sua bellezza e vitalità s’infittisce, come quando, puntando il telescopio nel blu della notte, il tondo della lente si riempie di miliardi di stelle. Antigone è una galassia. La bellezza intramontabile di Antigone sta anche negli aspetti della sua personalità, che confluiscono in straordinaria forza di carattere e purezza di sentimenti, uniti a una lucidità intellettuale rara e poco compresa e alla consapevolezza del dolore.
Qualche anno fa ho ritrovato le parole di Antigone nei versi sublimi della tragedia omonima:“Non son d’ieri né d’oggi, ma da sempre vivono e nessuno sa quando apparvero.” Si tratta delle grandi leggi eterne che sono a fondamento della civiltà. Una commozione improvvisa ha fatto riaffiorare il ricordo della mia tesi sulla Fenomenologia dello spirito, dove Hegel definisce Antigone radiosa figura etica, un’essenza etica pura.
A volte, in un periodo storico così sovraffollato di linguaggi contradditori e mistificanti, è necessario sospendere il giudizio per chiedersi:“Come far aderire il significato delle parole alla verità che devono esprimere?” Bisognerebbe tornare alla lingua dei classici greci, al mito.
Perché affidare il racconto alla sorella Ismene?
La voce narrante di Ismene riporta in prima persona e, per così dire, in presa diretta sia gli avvenimenti più lontani che i più vicini. Ismene inizia a interrogarsi sulle cause che hanno provocato la morte della sorella e in questa ricerca, passo dopo passo, ci conduce nell’azione viva della tragedia.
Antigone si rivolge a Ismene chiamandola sorella nel sangue comune, che vuol dire più che sorella di sangue, quasi fossero tessute insieme da un rapporto osmotico. Le correnti osmotiche possono, a volte, annullare la personalità individuale, dissolvere la persona e “permettere agli esseri umani di fluire gli uni negli altri” (Keats). Dunque, quasi uno sdoppiamento del personaggio di Antigone.
Ho avuto qualche riluttanza ad assumere il personaggio di Ismene in positivo, tanto ero affascinata dall’eroina Antigone. Poi, mossa da compassione verso noi mortali comuni, ho preso in considerazione la povera derelitta Ismene, simbolo della femminilità vituperata, che nessuno ama, che ognuno dimentica, destinata a rimanere fuori dalla storia.
Ho immaginato fosse la minore dei fratelli. Mi ha affascinato la visione del mondo di una ragazzetta da poco uscita dall’adolescenza, davanti a fatti gravi come l’incesto dei genitori, immersa nella solitudine a cui era stata costretta dopo la morte della madre e la partenza di Edipo per l’esilio insieme ad Antigone.
Ismene assiste a ogni azione, soffre, interviene, cerca di aiutare la sorella, la ammira ma sa di essere diversa, sa di non voler rinunciare alla vita, alle seduzioni di Eros, che inizia a serpeggiare nel suo giovane corpo. Ci sono molti dialoghi fra le due sorelle, che si snodano durante il loro viaggio di ritorno a Tebe mentre infuria la battaglia sotto le sue mura della città. C’è una relazione fra colpa e destino? E quale fu la colpa che ricade sulle loro teste innocenti?
Quando Antigone viene condannata a morte, Ismene vacilla e in un impeto di generosa disperazione si auto-accusa di averla aiutata a seppellire Polinice. Ma Antigone interviene a scagionarla, salva Ismene perché sarà lei a raccontare tutta la storia. Ismene è la donna che ha scelto di vivere, anche sotto il giogo dell’oppressione.
Vuole dimenticare le colpe dei padri, non vuole essere vittima del destino. Riuscirà a fuggire, ma non potrà dimenticare e diventerà l’erede delle idee della sorella, colei che racconterà al mondo, scrivendo sui fogli di papiro, importati da Cadmo, la storia di Antigone.
Perché proprio questa storia meritava di essere messa in prosa?
Ho sentito la necessità di condividere la passione per Antigone con gli altri; questa storia è un tale tesoro di sapienze e di emozioni che dovrebbe essere oggetto di studio nelle scuole superiori, perché, se le ragazze e i ragazzi la conoscessero, avrebbero gli insegnamenti morali e razionali per comprendere le dinamiche della società odierna. Perciò conscia di affrontare un sacro mostro, ho sentito l’impulso di riscrivere questa materia incandescente in forma divulgativa per tutti.
L’Antigone di Sofocle è un testo per il teatro e non tutti hanno la possibilità di vederlo rappresentato. La lettura del testo di Sofocle non può supplire alla mancanza dell’ambientazione, delle voci, dei costumi, delle danze del coro, che creano la suspance, insomma della drammaturgia cui è destinato. Inoltre anche assistendo alla rappresentazione teatrale, il testo è difficile da penetrare, da approfondire, per cogliere la complessità dei rapporti familiari che legano i personaggi nel rapporto fra colpa e destino. Al tempo di Sofocle i personaggi mitici erano di dominio comune. Tutti sapevano la storia di Edipo- ricorrono parecchie iscrizioni e immagini nell’arte vascolare dell’ antica Grecia- ed è in questo senso che ho cercato di ricostruire l’intero mito di Tebe, per facilitare al lettore la comprensione dei destini fatali che coinvolgono tutti i personaggi, immaginando le azioni ambientate nei paesaggi dell’antica Grecia.
Antigone è un testo anche filosofico. Partendo dal mito di Tebe, dal connubio e dallo scontro fra dei e uomini, nella discendenza da Cadmo e Armonia e dai Seminati, figli del serpente, si potrebbero individuare le origini del genere umano e la duplicità della sua identità, divina e terrena. Così, quando il maestro dell’accademia tesse le lodi dell’uomo, insegna agli allievi la differenza fra legge e diritto e sostiene che il vero male è la superbia. Una sorta di cecità che infrange l’equilibrio fra natura e cultura e porta tutti alla catastrofe. L’Antigone è di un’attualità insospettabile.
Chi sono i Creonti e le Antigoni di oggi? Dove li ritrova e come dovrebbero agire?
A mio avviso i Creonti oggi sono molti, purtroppo. Si potrebbero ravvisare in coloro che, insuperbiti dal potere, perdono di vista la realtà e il dovere che sono chiamati a compiere, in quanto rappresentanti dei cittadini, e provocano danni alle persone e alla natura.
Sono ravvisabili nelle istituzioni che tentano di sopraffare i bisogni e le idee delle persone, opponendo alle leggi democratiche principi religiosi, ostacolando la libertà del singolo di espletare il proprio culto o seguire la propria scelta laica. Mettere in contrasto queste istanze, che dovrebbero rimanere parallele, è un errore di superbia perché, come dice Sofocle, entrambe appartengono ai mortali.
Le Antigoni sono coloro che in tutto il mondo difendono strenuamente i diritti umani contro le barbarie e le inciviltà, si oppongono alle leggi sia laiche che religiose che infrangono i diritti inalienabili della persona. Certo il conflitto esiste, è ineliminabile. Tutti siamo responsabili e chiamati a eleggere degni governanti, ma anche a diffondere e scambiare le idee, a controllare costantemente gli eventi della politica. Siamo noi a creare i dittatori, con la nostra indifferenza.
Ma oggi credo che si debba intendere l’azione di Antigone come ribellione all’imposizione del potere di decidere della vita dei singoli. Se il suo amato fratello Polinice si trovasse in coma profondo e fosse tenuto in vita forzatamente, a causa di un obbligo legislativo, Antigone potrebbe compiere lo stesso gesto di pietà: lasciare scivolare il suo corpo amato nell’atro talamo che tutti ci accomuna, poi dargli sepoltura. Non farebbe altro che seguire una legge sacra antichissima, che sta a fondamento delle prime civiltà.
Nei conflitti armati che oggi opprimono alcuni paesi vediamo come, dopo la distruzione di una città, i parenti dei combattenti caduti richiedano la restituzione del cadavere per dargli la dovuta sepoltura rituale. E, purtroppo, a volte, veniamo a sapere con dolore che dai vincitori viene impedita la restituzione e che i cadaveri vengono lasciati come carcasse allo scempio dei rapaci e degli elementi naturali, per sottolineare che non appartenevano alla comunità degli uomini. Oltre alle perdite della guerra, anche l’ ultimo oltraggio viene inflitto ai vinti.
Possiamo attenderci da lei altre storie ispirate o riprese dalla classicità e dai miti greci?
Sto studiando testi della Grecia classica e ho molte idee, ma non posso ancora rivelare l’argomento.