"Sia dato credito alla poesia", ovvero come si allacciano realtà e interiorità.

Giulio Gasperini
ROMA –
Tutti noi, generalmente, ricordiamo qualche Premio Nobel, soprattutto della letteratura: sia perché qualcheduno lo studiamo pure a scuola, sia perché è il Premio, tra i tanti, forse più accessibile, più immediato. Il giorno dopo, entrando in una libreria, ci troviamo già sommersi dai titoli dello scrittore vincitore pubblicati in traduzione, decorati con fascette e richiami luccicanti da casinò. Non so, però, quanti di noi sanno che ogni premiato, durante la cerimonia, deve tenere un discorso: e che tali discorsi, in molti casi, son diventati opere illuminanti, frammenti di grandezza, umana e/o poetica, assolutamente imprescindibili per conoscere meglio un autore e la sua produzione intera. È il caso del discorso del Premio Nobel del 1995, il poeta irlandese Seamus Heaney, che lesse un appassionato testo intitolato (in traduzione) “Sia dato credito alla poesia” (Archinto, 1997).


Se Montale, trent’anni esatti prima (era il 1975), ritirò il premio chiedendo provocatoriamente a sé stesso e al mondo se la poesia avesse ancora un ruolo nella società, Heaney rispose non solo affermativamente ma con grande decisione e senza nessun tentennamento: la poesia ha un ruolo fondamentale, una funzione imprescindibile. L’uomo non può progredire senza la poesia; non può definirsi tale, l’uomo, né pensare di poter sviluppare le sue capacità più sane e meritevoli, senza confrontarsi con la parola poetica. Perché la parola, per Heaney, ha una funzione reale, concreta, deittica: di relazione, ovvero, diretta con la realtà, col mondo vissuto, coll’umanità che giornalmente, praticamente, si trova a vivere e a sopravvivere. La Poesia, “onesta e fedele” (come anche sostenne Saba), ha “pietà del pianeta”, perché riesce a “creare un ordine fedele all’impatto della realtà esterna e rispondente alle leggi interne dell’essere del poeta”. La poesia è, infatti, “nave e ancora”, riuscendo, nello stesso istante, a rispondere in maniera compiuta e degna a due esigenze profonde (e dolorose) dell’uomo e dell’umanità intera: “Il bisogno, da un lato, di dire la verità, dura e punitiva; dall’altro, di non indurire la mente al punto di rinnegare il proprio desiderio di dolcezza e di fiducia”. Carne e spirito, dunque, per Heaney: ognuno portato ai massimi estremi ma mai lasciato estremizzare.
Il discorso di Heaney si fa ancora più profondo quando riesce, con una leggerezza e una perizia miracolose, a saldare la sua teoria poetica con la realtà quotidiana (“quel secchio nel retrocucina, cinquant’anni fa”) ma anche storica in cui lui si trovò a crescere: quella, ovvero, della sua Irlanda straziata, negli anni ’70, dagli scontri feroci nell’Ulster, tra cattolici e protestanti (“Il tempo di guerra, in altre parole, fu per me tempo anteriore alla riflessione”). E arrivò alla conclusione che “A volte è difficile allontanare il pensiero che la storia sia istruttiva quasi come un mattatoio”. Ma laddove la storia può fallire, arriva la poesia a smascherare l’inganno e a ripristinare le giuste rotte di navigazione.

"Lettere d’amore": tanto abbiamo amato e tanto, per questo, ci sarà perdonato.

Giulio Gasperini
ROMA –
George Sand fu donna che si chiamò come un uomo; fumò come un uomo; indossò pantaloni come un uomo. George Sand, di uomini, ne amò tanti; d’un amore che fu passione, estrema devozione, dedizione assoluta (“non c’è che l’amore che al mondo abbia qualche significato”). George Sand fu donna che visse ogni singolo minuto dei suoi amori spesso contrastati e travagliati, ma sempre condivisi. Suo amante fu Chopin; suo amante fu Alfred de Musset, col quale intessé anche un rapporto epistolare delizioso e profondo, tradotto in italiano da Archinto, nel 1999. Le loro “Lettere d’amore” ci fanno penetrare, con grazia e discrezione, in un inverso complesso ma avvolgente, fatto di dolci atteggiamenti, furiose passioni e grande stima reciproca; quando ancora i rapporti non diventavano svogliati, e i sentimenti (le promesse!) eran più duraturi d’un sms o d’un commento su facebook.


Al di là dei meriti letterari della Sand, che scrisse un centinaio di opere in poco meno di cinquant’anni, (“sciocca, pesante, logorroica” la definì Baudelaire, con “la stessa profondità di giudizio e la medesima delicatezza nel sentire delle portinaie e delle mantenute”), rimane indubbio che, circoscritte all’amore (ma anche, a esser sinceri, alla politica), le sue posizioni si palesano d’una modernità disarmane, perché analizzate tramite una coscienza e un punto di vista debitamente calibrati non tanto sulla società e le sue tirannie, ma sostanzialmente sull’interiorità e sull’unico soggetto realmente interessato: il sé stesso, di chiunque sia. E l’amore è la spinta propulsiva alla salvezza; tanto da credere, la Sand, profondamente, nella promessa che Gesù concesse alla Maddalena: tanto ha amato e tanto, per questo, le sarà perdonato.
Il vero manifesto della teoria amorosa della Sand è la lettera datata “Venezia, 12 maggio 1834”, quella stessa che Céline Dion, nell’album D’Elles del 2007, ha cantato, plasmando, per la Sand, una voce che, probabilmente, supera qualsiasi tipo di aspettativa. La lettera riguarda l’eredità dell’amore che, quando finisce, non può lasciare soltanto odio o rancore o, ancor peggio, indifferenza, perché comunque i due amanti hanno condiviso un frammento di vita, son stati compartecipi di esperienze comuni e hanno tessuto un universo che, in nessun altro luogo né spazio, potrà mai tornare uguale. La Sand sa che il ricordo dei passati amori si solidifica nella coscienza d’un amante, si cristallizza in una sorta di memoria sentimentale, ma non per questo l’amore ne deve risentire, né esserne flagellato o straziato: “Ama, dunque, mio Alfred, ama per davvero. Ama una donna giovane, bella, e che ancora non abbia amato, né ancora sofferto. Prenditi cura di lei, non farla soffrire. Il cuore di una donna, quando non è di ghiaccio o di pietra, è così delicato!”.
Perché l’importante, per la Sand, è comunque la consapevolezza d’aver amato. Al di là di tutto, oltre a tutto, nonostante tutto: “Un giorno tu possa guardarti alle spalle e dire come me, spesso ho sofferto, a volte ho sbagliato, ma ho amato”.