“Il tempo di Mahler”, una ricerca troppo difficile da accettare

Luigi Scarcelli
ROMA
“[…] Senza passato, senza futuro e senza presente, il tempo…dov’è?”
Il Tempo e l’irreversibilità del suo scorrere: un argomento antico quanto l’uomo è quello affrontato da Daniel Kehlmann, filosofo e scrittore, nel romanzo “Il tempo di Mahler” una delle ultime uscite Voland.

 

Chi sa davvero cosa sia il tempo? Immagine mobile dell’eternità, eterno ritorno o percorso escatologico? Il protagonista del libro, David Mahler, dedica tutta la sua vita e le sue energie alla ricerca della risposta. È un fisico, e come tale indaga la natura nei suoi meccanismi più profondi, pur sapendo che una volta scoperta la Verità questa potrebbe essere troppo pesante da accettare. È un genio, un ex bambino prodigio che decide di passare inosservato perché oscuri presagi lo mettono in guardia circa il suo cammino verso la scoperta. È un uomo, e per questo viene schiacciato dalla sua stessa conoscenza, non si arrende al suo destino pur non sottraendosi ad esso.

 

Kehlmann filtra il mondo di ogni giorno dando nuovi occhi al suo personaggio. Gli eventi non sembrano più gli stessi visti da una nuova prospettiva e l’autore dà una sfumatura quasi onirica alla trama, gioca con il tempo attraverso lunghi flashback e descrizioni dettagliate di singoli istanti. Le leggi della natura sembrano vacillare, ma il protagonista non è pronto a ciò, e tantomeno lo sono le persone che gli sono attorno: Marcel, amico fedele sino all’ultimo istante, Katja la sua pseudo fidanzata, i colleghi e la gente comune; tutti lo vedono come un pazzo.

Un po’ Zarathustra, un po’ Santiago e un po’ Gregor Samsa, David Mahler si prende la responsabilità della sua nuova consapevolezza fino alla fine del romanzo.

 

“Il tempo di Mahler” è un libro denso di significati e dalla trama suggestiva, caratteristiche indispensabili per appassionare il lettore.

Manager e parole: un libro per capire le “voci” dell’azienda

Stefano Billi
ROMA – “Nuove parole del manager. 113 voci per capire l’azienda“. Ecco il titolo di una recente opera edita da Guerini e Associati e siglata dalla penna di Francesco Varanini.

Ecco il titolo di un utile libro sull’importanza di quelle parole che oggi sono diventate imprescindibili non soltanto per chi esercita attività d’impresa, ma soprattutto per chi voglia comprendere davvero l’ambito aziendale.

Nelle sue dimensioni tascabili, il testo compie il gesto coraggioso di ricordare al lettore come le parole siano importanti, non soltanto per “chiamare le cose col proprio nome”, ma soprattutto per conoscere il vero significato di ogni termine e la creatività umana che l’ha originato. Per dirla alla maniera del Varanini: «porre attenzione alle parole significa tornare a porre l’attenzione al senso», cosicché si possa ancora «riflettere sul nostro modo di agire, sul perché, e sul come lavoriamo».

E certamente non si corre alcun rischio di derive nazionalistiche laddove si voglia evidenziare come molto spesso i ricorsi a forme linguistiche estere, pur se appropriati, potrebbero invece lasciar il passo alla riscoperta di italianissimi sinonimi che esistono, come dimostrato tra le 230 pagine (circa) dell’opera.

Il lavoro certosino del Varanini dimostra perciò un acume fuori dal comune nel rintracciare le origini di alcune parole, siano esse vecchie o nuove, nostrane o straniere (schiera, quest’ultima, che in larga parte annovera elementi anglosassoni).

Inoltre, il libro offre una fruizione particolare, precisamente quella dei dizionari, cosicché non soltanto si può leggere il testo procedendo all’analisi delle singole voci secondo un ordine alfabetico, ma si può inoltre sfruttare un ricco indice analitico che assurge a stella polare di queste pagine dense di storia delle parole.

Sebbene ormai sia chiaro ai più come sovente la forma, specie in ambito aziendale, divenga sostanza, «riscoprire il senso delle parole ci aiuta ad andare oltre le apparenze», tanto che verrebbe da annoverare questo libello a guisa di fendente capace di squarciare il velo di ignoranza che spesso ottunde la comunicazione moderna.

“Nuove parole del manager. 113 voci per capire l’azienda” è un’opera importante per capire davvero il mondo aziendale, pratica e pronta all’uso, come le migliori guide sanno essere.

“La Diamond Editrice si aggiudica il primo Cortegiano. Un omaggio al libro nel paese che ha dato i natali ad Aldo Manuzio”

Alessia Sità
ROMA – Quella che sta volgendo al termine è stata un’estate ricca di soddisfazioni per la Diamond Editrice. L’ultimo riconoscimento è arrivato il 5 agosto, sul finire di Stradaria – la manifestazione artistica- letteraria- enogastronomica ideata dalla cooperativa sociale Utopia 2000 a Bassiano – con l’assegnazione del Premio “Cortegiano”. La manifestazione ha voluto rendere omaggio al libro, proprio nella casa del padre dell’editoria moderna: Aldo Manuzio, nato nel 1449 nel paese lepino. La kermesse, decisamente unica nel suo genere, ha celebrato il libro in quanto prodotto: carta, caratteri usati, copertina, immagini e idee inerenti al “packaging”.
A vincere il primo premio Nazionale, istituito in memoria dell’illustre tipografo, è stato l’ultimo lavoro di Antonio Veneziani: “D’amore e di libertà”. Il volume, concepito come un libretto d’opera dell’Ottocento e illustrato da Giampaolo Carosi, è un ritratto immaginario della brigantessa Maria Elisabetta. Pagina dopo pagina, si ripercorre la storia del brigantaggio femminile, soffermandosi particolarmente sul cuore di una donna, poeta e briganta allo stesso tempo. L’editore Simone Di Matteo è stato premiato dall’attrice Valentina Riccio con il libro d’arte “Barca e costruttori” di Serge Uberti, artista francese trapiantato a Roma, considerato erede di Giacometti. Il giovanissimo editore ha voluto dedicare la vittoria a Latina, agli autori e a tutti i lettori.
Quello vinto dalla Diamond non è solo un premio al miglior libro, ma è soprattutto un riconoscimento per la piccola casa editrice che da sempre punta all’originalità e alla riscoperta del vero sapore letterario, offrendo ampio spazio a nuovi testi e a nuovi talenti letterari.

Ricette per il campeggio


Silvia Notarangelo

ROMA – Il piacere della buona cucina anche in campeggio. È questa la promessa del fantasioso ricettario “Il Re del fornelletto” (Terre di mezzo Editore), grazie al quale, da oggi, possiamo preparare e gustare all’aria aperta degli ottimi manicaretti, veloci ma non raffazzonati, semplici ma non banali.
Lorenzo Buonomini, giovane e promettente chef, insieme a Jacopo Manni, appassionato ed esperto campeggiatore, sono gli autori di questa divertente ed utilissima guida.
55 piatti alla portata di tutti, da cucinare rigorosamente con l’attrezzatura minima: un fornelletto. Poco tempo da passare in tenda? Nessun problema, le ricette non superano la mezz’ora di preparazione. Volete stupire i vicini di piazzola con le vostre doti culinarie? Un menù pensato per una vera cena gourmet vi salverà la serata e contribuirà a farvi apprezzare da tutti.
Si può scegliere tra primi, secondi di carne e di pesce, gustose frittate, insalate, senza dimenticare il “must del campeggio”, il barbecue. Gli ingredienti, naturalmente, sono di facile reperibilità e possono variare a seconda del luogo di vacanza.
Completano il libro consigli e suggerimenti dedicati all’attrezzatura e ai quei trucchi, indispensabili, per diventare un perfetto “chef da campeggio”.

“Chuck Norris ha un armadio nello scheletro”

Stefano BIlli

Roma – Sì, avete letto bene: “Chuck Norris ha un armadio nello scheletro”. Né errore di battitura, né sintomo di arteriosclerosi precoce del redattore. Piuttosto, si tratta dell’esilarante titolo del terzo volume, curato da Mist e Dietnam (per l’anagrafe, Riccardo Bidoia e Massimo Fiorio) ed edito da Tea, che raccoglie al suo interno cinquecento facts riguardanti il ranger texano più forte, indistruttibile, imperturbabile, impietoso e cattivo che sia mai esistito.

Osate chiedere di chi si stia parlando? Allora mettetevi al riparo, perché Chuck Norris, protagonista dell’intramontabile serie televisiva “Walker Texas Ranger”, vi sta già raggiungendo con un calcio rotante. Infatti, alla sua figura, si associano fatti – denominati appunto facts – che forse sono leggenda, o forse no, perché nessuno dubita più delle titaniche imprese dell’attore statunitense, tanto che Chuck Norris rappresenta ormai un fenomeno umoristico inarrestabile.

La goliardia e la robusta comicità delle gesta del ranger texano assurgono a pilastro incrollabile dell’ironia targata ventunesimo secolo, tanto che il prestigioso quotidiano londinese Times, in un’intervista a Chuck Norris, definisce quest’ultimo un acclarato online cult hero.

Perché, è opportuno che lo sappiate, «Chuck Norris può svuotare la luna piena». Così come è in grado di «riempire un pozzo senza fondo». Vi sembra che stia esagerando? Allora tremate al pensiero che «Chuck Norris può abrogare la legge di gravità».

Questi sono i facts. Pillole di satira così sopraffina da strappare a chiunque una fragorosa risata. Soprattutto contagiosa. Infatti, la loro caratteristica più incredibile è proprio quella di spingere il lettore a voler scoprire incessantemente nuove gesta sempre più incredibili. Senza contare quella voglia febbrile che induce i lettori, infine, a diventare essi stessi creatori di facts. Ecco allora alimentarsi un ciclo comico che sembra non conoscere né crisi né momenti di noia, come testimoniano le molteplici ristampe i volumi inediti che si aggiungono costantemente all’opera di Mist e Dietnam, raccoglitori indefessi – e straordinari – di quest’onda di divertimento popolare e disarmante.

Perciò, se la malinconia da fine ferie è in procinto di abbattersi sul vostro morale, non dimenticate che «Chuck Norris sa cosa hai fatto l’estate scorsa». Perché «Chuck Norris ha affondato uno scoglio col suo gommone».

E ricordate: «Chuck Norris can try this at home».

“I giorni chiari”: il romanzo quasi fiabesco di Zsuzsa Bánk

 

Alessia Sità

ROMA – “Tengo i giorni chiari, quelli scuri li rendo al destino”.
Sullo sfondo della Germania degli anni Sessanta, si dipana la toccante storia di Aja, Seri e Karl e di tre madri sole, profondamente segnate dalla vita. Sono questi i protagonisti del romanzo quasi fiabesco di Zsuzsa Bánk, “I giorni chiari”, edito da Neri Pozza nella collana I narratori delle tavole.
Ai margini di un villaggio, in una casa fatiscente priva persino di una cassetta per le lettere, vivono Aja e sua madre Évi, una giovane ungherese sposata con Zigi, acrobata del circo. L’unica ricchezza che sembra essere in possesso di questa piccola famiglia è un giardino di alberi da frutta, che circonda la loro sgangherata abitazione. Ed è proprio in quel giardino che la piccola Aja vivrà i suoi indimenticabili ‘giorni chiari’ dell’infanzia, insieme agli inseparabili amici Seri e Karl. L’esistenza dei tre bambini, però, è profondamente segnata da tragici eventi personali; ma come per incanto, il dolore e il lutto sembrano ‘svanire’ nella spensieratezza dei giochi, dei momenti trascorsi nel villaggio a sud della Germania e nel paradisiaco giardino. Sono tutti attimi di vita vissuta intensamente, sempre sotto lo sguardo vigile di tre madri forti e premurose. I giorni chiari sono proprio i giorni trascorsi nell’innocenza della tenera età, quando le dure prove quotidiane, le sconfitte e le illusioni della vita adulta erano ancora lontane. A distanza di vent’anni, i tre ragazzi, ormai maturi, si ritrovano a fare i conti con il passato, con insospettabili segreti e inaspettati tradimenti.
Zsuzsa Bánk ci regala un romanzo dai toni poetici, in cui a parlare non sono solo i personaggi, ma soprattutto è la vita, che con un abile gioco intreccia continuamente i destini dei suoi protagonisti.
Pagina dopo pagina, l’autrice ci fa rivivere i momenti salienti di una profonda amicizia immersa in un’atmosfera magica. Lo stile di Zsuzsa Bánk è lineare e semplice. La sua scrittura molto intensa, inevitabilmente arriva dritta al cuore di chi legge, perdendosi completamente fra le righe del suo romanzo.

“L’orto in cucina – 760 piatti di verdure e legumi”

 

Alessia Sità

ROMA – Se desiderate arricchire la vostra dieta con verdure e legumi, senza però scadere nella monotonia culinaria, leggete “L’orto in cucina – 760 piatti di verdure e legumi” pubblicato da Slow Food Editore. Scoprirete tante ottime idee per cucinare cibi sani e genuini.
Un viaggio nel Bel Paese alla ricerca delle ricette più appetitose, non solo vegetariane, per cucinare gli ortaggi. Verdure, tuberi, legumi, con le loro varietà, il legame con il territorio e le stagioni, la tecnica di coltivazione e la sua influenza sull’ambiente e sul sapore. Le parole chiave sono biodiversità, stagionalità, territorio. Ogni prodotto è corredato da una scheda esplicativa seguita da ricette alcune complesse, altre di facile esecuzione fornite da cuoche e cuochi di Osterie d’Italia.
Nella parte introduttiva troverete, inoltre, utili suggerimenti su negozi specializzati e mercati, modalità di taglio e utensili, cotture e metodi di conservazione.

 

L’essenza della vita secondo Françoise Héritier


Silvia Notarangelo

ROMA – Lontani dal lavoro e dai frenetici ritmi quotidiani, l’estate può essere il momento giusto per riconquistare un po’ di serenità e riscoprire ciò che davvero ci rende felici.
Il sale della vita” dell’antropologa  Françoise Héritier (Rizzoli) è un’autentica miniera di spunti per riflettere su quante piccole cose possano allietare la nostra esistenza. Non occorrono eventi o situazioni particolari, a volte è sufficiente saper gustare ed apprezzare quei momenti, quei gesti, quelle occasioni che ogni giorno la vita sa regalare.
Con umorismo, leggerezza e, talvolta, una punta di malinconia, l’autrice si lascia andare ad una libera associazione di idee che prende forma nell’arco di due mesi. Una lunga riflessione in cui riconoscersi e in cui riconoscere un universo di sensazioni, capaci di strappare un sorriso ma anche di suscitare qualche lacrima.
Tutto può dare un senso, un sapore diverso all’apparente monotonia quotidiana.
Ci sono i piaceri della cucina, come “il profumo delle brioche calde per strada”, le bellezze offerte dalla natura, “il volo di una rondine”, la facoltà di compiere gesti tanto banali quanto liberatori, “fischiettare con le mani in tasca”o “appoggiare i piedi su un tavolino”.
E ancora, le piccole indispensabili rivincite personali, “dare una bella lezione ad un misogeno rispondendogli a tono”; l’adrenalina che nasce da nuove esperienze o posti sconosciuti, “veleggiare in feluca sul Nilo”; le inquietudini e i turbamenti che rendono imprevedibile il vissuto di ognuno.
L’importante, come sostiene la Héritier, è riuscire a salvaguardare “quella capacità di sentire e provare sentimenti, di lasciarsi coinvolgere…e di comunicare tutto questo agli altri”. Nulla di trascendentale, dunque, semplicemente una spassionata presa di coscienza di quella “grazia tutta speciale” che consiste “nel puro e semplice fatto di esistere”.

“La spia” Ezra Pound è davvero il padre dei giovani neofascisti?

Marianna Abbate
ROMA – L’albero m’è penetrato nelle mani,
La sua linfa m’è ascesa nelle braccia,
L’albero m’è cresciuto nel seno
Profondo,
I rami spuntano da me come braccia.
Sei albero,
Sei muschio,
Sei violette trascorse dal vento –
Creatura – alta tanto – tu sei,
E tutto questo è follia al mondo.

 

Se non vi piace questa poesia, Ezra Pound per voi non è nessuno. Lo capisco. Eppure a me questa poesia piace; mi piace l’immagine dell’albero cresciuto in seno della linfa/sangue che scorre nelle braccia/rami. E’ buona poesia: è metafora dell’unione con la terra, con il mondo- dà un posto all’uomo.

Ma se non vi piace la poesia di Ezra Pound è davvero inutile che voi leggiate questo libro. Perché in fondo chi se ne frega se un pazzo americano qualunque era fascista o se faceva la spia per gli alleati attraverso messaggi cifrati.

Se invece credete come me che questa sia Poesia, cambia tutto. Ora vi interessa sapere perché. Volete sapere come sia possibile che un Poeta, uno che sa usare le parole con genialità, uno “che ci capisce” insomma, possa aver fatto un errore così grande e grottesco come aderire al fascismo. Perché un uomo capace di una così grande sensibilità, ha prodotto così tante e terribili invettive antisemite, e ha ammirato follemente un uomo- Mussolini-  che chiamare ignorante è un eufemismo bello e buono?

Forse per la stessa mania di grandezza dannunziana? Eppure Pound non vive il periodo d’oro, vive la caduta, la delusione, l’abbandono del popolo.

E qui la teoria del complotto trova il suo sfogo naturale: forse era tutto una finzione, forse Pound era una spia per gli alleati. Justo Navarro la presenta nel suo romanzo “La spia” edito da Voland.

Se pensate che sia stato un grande poeta, forse questa teoria potrà rasserenarvi.

 

“Il giardino delle bestie”: questa settimana torniamo a temere la storia

Marianna Abbate
ROMA – Non avete mai la sensazione che sulla II Guerra Mondiale sia stato già detto tutto? Credetemi, io ce l’ho ogni volta che guardo la copertina di un nuovo libro sull’argomento- o che accendo la televisione per vedere un film sul tema. Eppure, ogni volta mi devo ricredere. La seconda guerra mondiale è un pozzo inesauribile di nefandezze, orrori ed ingiustizie- ma anche atti eroici, sconvolgimenti e ritrovamenti.

E così, guardando con timore il tomo di 600 pagine che mi è stato affidato, ho pensato: cosa ci potrà mai essere di nuovo- di sconosciuto in un libro così grosso?

L’autore di “Il giardino delle bestie” edito da Neri Pozza nella collana Bloom, ci presenta una storia vera, un tantino romanzata per rendere la lettura più scorrevole. Il protagonista collettivo sono i membri della famiglia Dodd, parenti di un distinto professore americano, che inaspettatamente si ritrova- per volere dello stesso Roosevelt, ambasciatore a Berlino.

Così dalla loro vita felice di Chicago, si ritrovano a vivere una vita altrettanto felice, anche se un po’ nostalgica, a Berlino. Ignari della realtà passavano pomeriggi nei caffè assieme ai gendarmi delle SS e serate ai balli in compagnia di gente del taglio di Goebbels.

Ma una realtà così terribile può sfuggire solo ad un cieco- e ovviamente il professore tale non era. Dopo i terribili avvenimenti legati alla “Notte dei Lunghi Coltelli” l’ambasciatore, che non era mai stato molto diplomatico, si trovò ad essere persona non grata e dovette richiedere al proprio governo di tornare in patria.

Ovviamente l’America e il suo governo, al contrario del professor Dodd, rimase cieca più a lungo, senza riconoscere in modo univoco ed esplicito il pericolo rappresentato dal nazismo.

Ma dov’è la novità in questo romanzo? Perché vale la pena leggerlo? Non sappiamo forse tutto sui fatti antecedenti la guerra e sul periodo d’oro del nazismo in Germania?

Ricorderete tutti, quel macabro e terribile film di Rossellini che raccontava la temeraria ascesa e la disperata caduta della potente famiglia tedesca dei von Essenbeck. Il titolo era “La caduta degli dei”, e non poteva esserci titolo migliore per raccontare la storia di una famiglia che si sentiva immortale, priva di ogni regola e libera di distruggere tutto, persino se stessa.

Ora, questo film raccontava il punto di vista dei protagonisti, dei fautori della guerra. In questo romanzo abbiamo un punto di vista inedito- una sobria e abbastanza oggettiva, dal punto di vista storico, visione della realtà. Uno sguardo critico, privo di esaltazione ideologica- quasi distante.

Un punto di vista che coincide con il nostro. Un bel libro.