Daniela Distefano
CATANIA – “Quando l’uomo-gruppo vuole mettersi in moto fissa un concetto: ‘Dio vuole che riconquistiamo la Terra Santa’; oppure ‘Lottiamo perché nel mondo sia assicurata la democrazia’; o anche ‘Cancelliamo le ingiustizie sociali attraverso il comunismo’. In realtà al gruppo importano poco la Terra Santa o la democrazia o il comunismo. E’ possibile che il gruppo voglia semplicemente darsi da fare e combattere e che usi queste parole solo per tranquillizzare la mente degli individui […] Tutti gli smarrimenti e gli errori della storia sono dovuti a uomini pratici che guidano uomini con stomachi”.
Una scellerata crisi provocò il crollo economico del 1929: l’America fu presa da un grande spavento. John Steinbeck, uno dei più grandi esponenti della letteratura statunitense e mondiale, in questo romanzo densissimo – La Battaglia (Bompiani) – narra con acume la storia di uno sciopero di braccianti, del suo fallimento e di uomini che lottano per i diritti fondamentali. Pubblicato per la prima volta nel 1936 e tradotto in Italia da Eugenio Montale nel 1940, il libro emana dunque il sentore di un’epoca riassunta nel New Deal americano. Il risultato è un racconto della ascesa e caduta di un giovane che si pone alla guida degli scioperanti con un empito profetico che lo porta al martirio. Con quale mezzo Steinbeck cattura l’anima del lettore? I fatti parlano da soli, l’autore non vuole dimostrare nulla, la storia procede attraverso i dialoghi. La vicenda de La battaglia dura otto giorni e si focalizza su due protagonisti, Jim Nolan e Mac McLeod che sopraggiungono in un campo di stagionali, nei frutteti della valle di Torgas, per organizzare uno sciopero in grande stile o per “servire il popolo”. Si attiva ben presto un crescendo di violenza; il compito di Mac, un professionista delle lotte sindacali, è di alimentare la rabbia della “grande bestia”. Egli si avvale di ogni mezzo. Jim lo segue, lo asseconda, mosso da una passione “dubbia”, e alla fine si fa vittima; vittima di se stesso e di circostanze che ne fanno una figura tragica. Non è questo un romanzo per palati quadrati, si avverte una sotterranea profondità stilistica (percettibile anche nel più commestibile dialogo) che rende la digestione letteraria un po’ laboriosa. Molti concetti sono offerti su un vassoio di avvenimenti drammatici asserviti ad un percorso narrativo articolato e concatenato. I protagonisti sono attratti nell’orbita delle esorcizzate conseguenze, si combatte per qualcosa che è materialmente ideale: l’aumento sì della paga, ma anche la fine della soggezione classista. No, non è un libro facile. Però vale la pena di leggerlo con attenzione, merita e alla fine dà un premio alla nostra capacità di guardare a quello che abbiamo davanti grazie alle intuizioni provenienti da un mondo che appartiene a ieri.