Giorgia Sbuelz
ROMA – Partendo proprio dall’espressione “il mestiere più antico del mondo”, la sociologa Giulia Selmi nel suo saggio Sex Work- il farsi lavoro della sessualità edito da BéBert, mostra come possa cambiare la percezione della dicotomia prostituta-soggetto deviante, alla luce di una scelta consapevole delle donne che ne sono coinvolte.
“Il mestiere più antico del mondo” è una definizione che la stessa autrice mette in discussione, perché ascrive il fenomeno ad un contesto spazio temporale assente, dove non viene preso in considerazione tutto quello che determina la circostanza in cui si sviluppa lo scambio, nega la soggettività dei casi e tutti gli elementi socio-politici che definiscono la specificità del singolo.
Parlare di donne che utilizzano il proprio corpo come fonte di commercio, è una questione spinosa che ha sollevato non pochi dubbi.
L’autrice analizza le diverse correnti di pensiero che di volta in volta hanno cercato di interpretare il fenomeno della prostituzione. Partendo da una morale cristiana che ha influenzato tutto l’occidente, la prostituzione è stata considerata come una devianza morale delle donne che la esercitavano, tesi poi rinforzata in Italia dalla scuola positiva di Cesare Lombroso: prostitute si nasce, punto. La prostituzione rappresenta quindi il corrispettivo criminale dell’uomo malvagio.
Il femminismo abolizionista ne ha invece enfatizzato l’aspetto vittimizzante: non esistono sex workers, ma sex objects. In quest’ottica la scelta di prostituirsi non è mai una scelta, ma un’abile manipolazione della società patriarcale, o al più il frutto di un’ideologia capitalista che accentua il perpetrarsi della disuguaglianza sociale. Non solo, lo scambio di sesso per denaro priva la donna della sua umanità intrinseca, poiché non è possibile separare la propria sessualità dal fattore emotivo. Si avrà, quindi, un danno psicologico sulla persona, un danno irreversibile.
A partire dagli anni Settanta, con la costituzione dei comitati per i diritti civili delle prostitute, si è cominciato finalmente a dare voce alle stesse donne chiamate in causa. Emblematica è stata la nascita della Carta Mondiale per i Diritti delle Prostitute, dove il passo fondamentale è la richiesta di decriminalizzazione dello scambio di sesso a fronte di denaro tra adulti consenzienti.
Una svolta radicale quindi nella ri-scrittura del valore sociale della prostituzione, un processo culturale volto all’autodeterminazione delle donne che percepiscono se stesse come lavoratrici del sesso e che rivendicano uno spazio all’interno del movimento femminista.
Sex Work, il saggio di Giulia Selmi è un breve viaggio sulla trasformazione dei significati sociali attribuiti al commercio del sesso, fornisce con perizia e chiarezza le direttive per comprendere meglio la complessità di un universo cosparso di variabili, che sono quelle in cui si muovono e agiscono le sex workers.
Non tralascia una riflessione sull’esposizione alla violenza e al sopruso a cui sono sottoposte queste donne, e al riguardo scrive: “l’unica strada per porre fine alle forme di violenza è la via dei diritti, della decriminalizzazione, della lotta alla stigmatizzazione e del riconoscimento profondo delle istanze e delle soggettività di chi vi è coinvolto in prima persona”.
E mentre il dibattito è ancora vivo e pruriginoso, questa rimane senza dubbio la soluzione più auspicabile, per tutte e per tutti.