ROMA – Poliedrico, ironico, provocatorio, Carmelo Bene è sempre stato una voce fuori dal coro. Probabilmente, non tutti lo avranno amato. Ma, certamente, di fronte alle sue “sconvolgenti esperienze intellettuali” non si può restare indifferenti.
A dieci anni dalla sua scomparsa, Antonio Zoretti ne ha curato, per Lupo Editore, un articolato saggio dal titolo “Carmelo Bene. Il fenomeno e la voce”. Un lavoro meticoloso e suggestivo, ricco di citazioni e di commenti, per lasciarsi trasportare dalle parole e dalle riflessioni, mai scontate, dell’artista. Il nucleo principale è rappresentato da un insieme di testi, “Quattro conversazioni sul nulla”, giustamente considerati una summa theologica del pensiero di Bene. Linguaggio, conoscenza e coscienza, eros, arte: quattro momenti per approfondire quell’orizzonte così particolare in cui si è sviluppata la sua opera.
Il rapporto tra il senso e il suono, la ricerca sempre più approfondita delle possibilità vocali, l’inestimabile valore della musica. È la voce, secondo Carmelo Bene, il solo strumento in grado di “vincere la rappresentazione” così come la musica è l’unico linguaggio “capace di suggerire ciò che la parola non è in grado di esprimere”. Vocaboli e pensieri sono, infatti, solo delle illustrazioni, delle immagini da cui occorre liberarsi. Perché la verità non esiste, se non all’interno della convenzionalità di un linguaggio in cui si nominano le cose pur senza conoscerle.
L’obiettivo di Carmelo Bene, apertamente dichiarato, è quello di mandare tutto in frantumi, compreso il soggetto, quell’io “così ingannevole”, che può e deve essere cancellato.
E forse non è un caso che l’artista non abbia mai nascosto la sua noia, la sua profonda insofferenza verso quel teatro ancora così fortemente legato ad una verosimile rappresentazione della realtà. La rottura, violenta, con la tradizione si traduce in un recupero della creatività e del valore assoluto del teatro, nella convinzione che sia necessario “uscire da tutto quello che è la convenzione dell’arte (…) perché l’unico, auspicabile riconoscimento di un prodotto estetico è la sensazione, capace di incorporare tutti i sensi”.
Autore: silvia.notarangelo
“L’estate di Camerina”: una sconvolgente normalità
ROMA – Mancanza di certezze, personaggi tormentati o trepidanti, storie destinate a non avere un epilogo. Sono questi i tratti principali de “L’estate di Camerina”, suggestiva raccolta di racconti di Mauro Tomassoli (Avagliano Editore).
Partendo da situazioni quotidiane, talvolta persino banali, l’autore, con una narrazione incalzante e mai scontata, ci trasporta su un terreno insidioso e inafferrabile, quello delle emozioni. La gioia per un’amicizia ritrovata, il timore di un gesto violento, l’inquietudine e la curiosità suscitate da tutto ciò che non si conosce. Ci sono emozioni che sfuggono spesso al controllo soprattutto quando, nella vita, irrompe l’imprevedibile, quel qualcosa di inatteso capace di sconvolgere ogni piano. Uno spavento notturno, coincidenze e presentimenti inspiegabili, una meta che sembra a portata di mano, eppure continua a essere irraggiungibile.
Tutte le situazioni descritte nei nove racconti lasciano presagire una svolta. Ed è proprio di fronte a questa possibilità che le reazioni umane si rivelano estremamente eterogenee. A volte prevale la razionalità, altre l’istinto di sopravvivenza, altre ancora il desiderio di riconciliarsi con il passato o di condividere un segreto.
Si cerca di usare la testa, ma spesso si finisce per fare i conti con pulsioni e istinti incontrollabili che riescono, a poco a poco, a insinuarsi nella mente, facendo vacillare anche le più ferree convinzioni. Capita, così, che alcuni si lascino trasportare, attratti dall’idea di rendersi protagonisti, di misurarsi con una sfida impossibile, altri invece preferiscano abbandonarsi al corso degli eventi, rassegnandosi a un ruolo di spettatori.
E poi c’è la paura, quell’emozione che può confondere e rendere impotenti tanto da prospettare una sola via d’uscita: “invertire la marcia e scappare”.
Mucchi Editore: sognare altri mondi e storie possibili
Silvia Notarangelo
ROMA – “Il prodotto di ciò che facciamo è il libro, un elemento prezioso che da secoli accompagna l’uomo nella sua crescita culturale e personale e che alimenta la voglia e la capacità di sognare altri mondi e storie possibili”. È questa la filosofia che ha guidato al successo Mucchi Editore, casa editrice di respiro internazionale, attenta a cogliere i mutamenti della realtà contemporanea senza dimenticare il valore di una tradizione più squisitamente letteraria.
La storia di Mucchi Editore affonda le radici nella lontana corte estense e, da allora, con determinazione, ha saputo affermarsi nel panorama editoriale. Quale il segreto di questo successo?
La nostra storia è fatta di circa 360 anni di esperienza in cui l’attività editoriale si è intrecciata con quella tipografica, attraverso la fede nella parola scritta di diverse generazioni. Oggi il cuore del nostro lavoro si fonda solo sull’editoria, e nonostante le numerose difficoltà del settore, conserviamo ancora quell’ingenuo ottimismo secondo cui la letteratura e l’uso che il soggetto ne fa possa rendere migliori, intessendo dei legami virtuali con il “diverso”. La lettura in questo senso ci fa muovere verso l’altro e riesce a restituire il senso più alto del concetto di dialogo.
La vostra proposta editoriale è ricchissima e, nel tempo, ha saputo rinnovarsi, dando spazio anche ad approfondimenti di carattere politico, sociologico, antropologico ed economico. Quali ambiti del sapere dovrebbero, attualmente, essere al centro di maggiore attenzione?
Il nostro catalogo deve la sua varietà al rapporto costruito e consolidato negli anni con vari dipartimenti universitari, dall’ambito giuridico, a quello filosofico, letterario e filologico.
Tuttavia oggi gli ambiti su cui vogliamo investire maggiormente sono la saggistica letteraria, la filosofia, e gli approfondimenti legati al contemporaneo, senza tralasciare importanti contributi per le scienze giuridiche. In particolare, di recente abbiamo battezzato tre nuove collane: LetterePersiane, collana curata da Luigi Weber, in cui scommettiamo ancora sull’utilità della critica, arte tutt’altro che inutile in un tempo complesso come questo, il cui compito non è quello di aggiungere complessità a complessità, bensì di spezzare, come voleva Kafka, la crosta del mare ghiacciato dentro di noi: renderlo nuovamente liquido, mobile, vitale. Cerchiamo quindi di lavorare su una forma meno paludata e accademica, più in sintonia con il presente e aperta a nuove contaminazioni e tangenze con la sociologia, l’arte, la filosofia, la storia. Abbiamo inaugurato la serie con la ristampa aggiornata del famoso libro di Massimo Fusillo L’altro e lo stesso. Teoria e storia del doppio, un libro diventato un classico del genere, ma ormai fuori catalogo da diverso tempo. Si prosegue con il testo di Massimiliano Borelli Prose dal dissesto . Antiromanzo e avanguardia negli anni sessanta, nell’anno che celebra il cinquantenario del Gruppo 63, e altri lavori di giovani studiosi sono già in programma.
L’altra collana a cui teniamo molto è Prismi, quella appunto legata agli approfondimenti di carattere politico, sociologico e tutto quello che ruota intorno al mondo contemporaneo, con una lettura trasversale delle problematiche e delle idee che lo agitano. Dopo il testo di Pierfranco Pellizzetti, Libertà come critica e conflitto. Un’altra idea di liberalismo, pubblicheremo a breve un lavoro sugli ecosistemi narrativi nell’attuale panorama contemporaneo, e dopo sarà la volta di riportare a galla l’attualità delle parole di Antonio Gramsci con gli studi di Angelo D’Orsi. L’ultimo tassello è rappresentato dalla filosofia, e in particolare dal nuovo lavoro collettivo Officine Filosofiche, guidato dal prof. Manlio Iofrida, anche qui allarghiamo un po’ il discorso alla situazione storico-politica, dato che il tipo di filosofia che esso cercherà di rilanciare non si colloca in una dimensione teoretica e astorica,ma, al contrario, intende rivendicare la sua appartenenza alla storia…
Chi sono i destinatari privilegiati delle vostre proposte?
Data la natura della nostra produzione storica il nostro lettore tipo è certamente lo studioso interessato ad approfondire determinati temi, ma tra gli intenti dei nuovi progetti c’è appunto quello di allargare la nostra base dei lettori e raggiungere un pubblico più ampio. In tal senso cerchiamo di comunicare i nostri libri in maniera trasversale e tangibile tramite l’interazione con tutti i nostri canali social, siamo infatti presenti su Facebook, twitter, pinterest, anobii e youtube, lavorandoci quotidianamente. Crediamo che questi strumenti permettano un contatto costante con lettori, blogger, giornalisti e autori, amplificando quello che vogliamo trasmettere.
Quali sono, se ci sono, le difficoltà che deve affrontare, oggi, una casa editrice?
Le difficoltà più grandi per una piccola realtà come la nostra sono di certo lo scoglio della distribuzione e un mercato editoriale asfissiato sempre di più da concentrazioni delle varie filiere, oltre all’appiattimento verso il basso della qualità, per cercare di star dietro a mode commerciali. Dal canto nostro proviamo a rimanere a galla nel modo più onesto possibile, perseguendo sempre la selezione critica e sperando naturalmente che le risorse investite possano dare anche qualche frutto concreto.
Operare a Modena, in una realtà locale più piccola ma culturalmente vivace, è un valore aggiunto?
Modena ha un’antica tradizione editoriale e conta un certo numero di case editrici. La nostra stessa storia è strettamente connessa con le vicende della città, anche se sin dagli inizi la nostra produzione, oltre alla storia locale ha avuto un respiro nazionale. Inoltre, negli anni si è affermato e consolidato in città un festival dedicato alla piccola e media editoria (BUK), che ogni anno cresce sempre di più in termini di presenze. Questo di certo ha favorito la conoscenza della nostra produzione in città e il confronto. Inoltre, cerchiamo sempre di costruire relazioni sul territorio, rendendoci promotori di incontri ed iniziative culturali.
Progetti o iniziative particolari per il 2013?
Per il 2013 ci concentreremo in particolare sulle nuove collane attivate, con una massima cura del testo e attenzione ad ogni dettaglio, dalla grafica delle copertine, che non consideriamo un aspetto meramente funzionale, all’editing vero e proprio, avvalendoci, ove possibile anche di collaboratori esterni. Altra sfida da cui non possiamo più prescindere è il digitale. Dopo un timido inizio riservato ai periodici e a qualche pubblicazione, stiamo cercando di riorganizzare un po’ la nostra filiera interna per convertire una selezione del nostro catalogo, oltre ad alcuni progetti in cantiere pensati esclusivamente per il digitale.
Pensieri e ricordi ne “Il sentiero della libertà”
Silvia Notarangelo
ROMA – Il libro arriva in redazione accompagnato da un biglietto scritto a mano dall’autore. Poche parole per confessare di aver scritto “con il cuore”. Ecco, mi sembra che sia proprio Luca Favaro a indicare la chiave di lettura della sua raccolta di racconti “Il sentiero della libertà” (Emil Editrice). È il cuore a guidarlo in una narrazione sentita, intensa e scorrevole, in cui non mancano spunti per interrogarsi e riflettere sul senso più autentico di tanti, piccoli episodi solo apparentemente insignificanti.
Ricordi, esperienze di vita, ma anche incursioni in realtà soprannaturali con storie e dialoghi che vedono coinvolto niente di meno che Dio in persona. Il tutto arricchito da stimolanti considerazioni sul comportamento e sull’agire dell’uomo, spesso così concentrato su se stesso o così poco incline a misurarsi con il “diverso”, da non accorgersi di tutto ciò che accade intorno a lui.
Le situazioni raccontate sono, talvolta, piuttosto comuni. A chi non è capitato di imbattersi nell’arroganza di una persona convinta di poter comprare con i soldi qualsiasi cosa? O ancora, in una persona così determinata a difendere il proprio status sociale da risultare ridicola e fuori luogo? Dopo un momento di rabbia e di comprensibile indignazione, è la compassione a prendere il sopravvento nell’animo dell’autore. Un sentimento complesso, in cui l’empatia finisce con il prevalere.
È inutile nasconderlo, certi individui con i loro atteggiamenti, con il loro modo di fare, non riescono a suscitare simpatia. Eppure, lo scrittore sembra suggerire che proprio in virtù di tali comportamenti, siano loro i soggetti più deboli, coloro che hanno bisogno di nascondersi dietro alle apparenze illudendosi, così, di essere invincibili.
E allora qual è il senso più profondo, più vero della nostra esistenza? Non è facile dare una risposta. “Quando sei marcio dentro, lo sei in qualunque posto ti trovi e qualunque lavoro tu faccia”. Favaro le sue risposte le ha trovate nella fede. In un Dio che sente vicino, un Dio che lo sollecita a essere felice e che continua, pazientemente, a esortarlo: “Impara ogni giorno a ripartire, pensa a dove hai sbagliato con serenità, ingrana la marcia e via!”.
Un viaggio all’insegna della solidarietà
Silvia Notarangelo
ROMA – I motivi per intraprendere un viaggio sono tanti. Si può partire spinti dalla curiosità di conoscere luoghi e culture diverse, per puro divertimento, per fuggire o evadere dalla routine quotidiana. Tra le ragioni più nobili c’è, senza dubbio, il desiderio di aiutare chi ha più bisogno. Un’aspirazione condivisa anche da Mariella Carimini e Silvia Gottardi, due amiche inseparabili, unite dalla passione per i viaggi ma soprattutto dalla stessa sensibilità verso chi è meno fortunato.
“donne al volante TRANSAFRICA” (Polaris) è il resoconto dettagliato e appassionante della loro ultima avventura, un’avventura sostenuta e incoraggiata dalla Gazzetta dello Sport.
Quando, più di due anni fa, le ragazze si sono presentate al quotidiano rosa con un progetto tanto lodevole quanto ambizioso, il giornale di Andrea Monti ha creduto in loro, conquistato da un sincero entusiasmo e dalla voglia di misurarsi con una “missione impossibile”. Da allora, da quel primo incontro, le due amiche hanno portato in giro per il mondo il nome della Gazzetta e del suo indimenticabile direttore Candido Cannavò.
Nel 2011 è scoccata l’ora della seconda missione: un viaggio attraverso l’Africa, da Milano a Cape Town, per un totale di 16.000 km. Destinazione ultima, la Casa del Sorriso Cesvi di Philippi, una struttura dove sono accolte donne vittime di violenza e malate di AIDS. È a loro che Silvia e Mariella hanno donato il ricavato del viaggio.
Dopo una crociera di otto giorni per raggiungere l’Egitto, ecco che il 1° agosto la nave sbarca ad Alessandria: per la rosa Land Rover Discovery, prontamente ribattezzata Gazzamobile2, è il momento di iniziare la Transafrica. Come ogni viaggio che si rispetti, non sono mancati imprevisti, contrattempi, incomprensioni ma anche piacevoli sorprese. Le giornate, lunghe e faticose, sono state dense di incontri ma anche di occasioni per riflettere e confrontarsi con realtà molto diverse.
A completare questo piacevole volume un ricchissimo apparato fotografico e alcune utili schede di approfondimento con notizie, curiosità e suggerimenti per ognuno dei sette Paesi attraversati dall’instancabile Gazzamobile e dalle due inarrestabili amiche.
Due ragazzi con una missione: “L’Angelo di Hitler”
Silvia Notarangelo
ROMA – Due ragazzi, lei quattordicenne, lui poco più grande. Lei una rifugiata austriaca residente a Londra, lui un tedesco di Monaco proveniente da una famiglia comunista. Che cosa li accomuna? Nulla, se non uno strano destino che sceglie di farli incontrare per affidare a entrambi una missione top secret. Si apre così il primo romanzo per ragazzi dello sceneggiatore inglese William Osborne. “L’Angelo di Hitler” (Edizioni Sonda) è una storia avvincente ed emozionante, un’avventura fantastica in cui due adolescenti dovranno vedersela con un segreto più grande di loro. Protagonisti inconsapevoli di una vera e propria “guerra nella guerra”, in cui non saranno risparmiati colpi bassi, astuzie e stratagemmi.
Tutto accade velocemente: è Churchill in persona a mettere a punto il piano. Il 2 giugno 1941 si reca dal ragazzo, il giorno dopo informa la ragazza. Non c’è tempo da perdere. L’addestramento è rapido, tutto deve svolgersi con riserbo e discrezione perché non si può fallire. I due non hanno neppure modo di confessarsi le reciproche identità. Da quel momento sono Leni e Otto Fischer, due fratelli di Salisburgo. La loro missione è tutt’altro che semplice: dovranno entrare in Germania e riportare in Inghilterra un “carico speciale”, un carico che ha un nome, Angelika. È lei il loro obiettivo. Perché? Non ha importanza, ciò che conta è portarla via dal convento in cui si trova rinchiusa.
Della sua identità, non una parola. Chi è la bambina? Che cosa ha fatto per diventare così preziosa al punto da mettere in atto un piano segreto per liberarla?
Il segreto non reggerà a lungo. Paracadutati in Germania, Otto e Leni si dimostreranno molto più furbi e scaltri di quanto non ci si aspetti dalla loro giovane età. Nonostante qualche piccola leggerezza, sapranno affrontare con coraggio qualunque tipo di situazione, persino un vero e proprio mastino come Heydrich, il vice di Hitler.
Tra fughe, assalti respinti e combattimenti all’ultimo respiro, si troveranno di fronte ad una scelta, azzardata ma condivisa da entrambi. Perché gli ordini sono ordini, ma la coscienza, a volte, va in un’altra direzione.
Furgul, il cane che corre nel vento
ROMA – Furgul non è un cane come tutti gli altri. Il suo nome significa “coraggio” e in lui è certamente una qualità che non manca. “Doglands”, il nuovo romanzo di Tim Willocks (Edizioni Sonda), è la sua storia, la storia di un viaggio straordinario verso una meta sconosciuta eppure intimamente sentita e desiderata.
Lo scrittore inglese si cala nelle vesti del protagonista, raccontando gli aspetti positivi ma anche le tante, troppe crudeltà a cui i cani sono spesso sottoposti. Furgul guarda gli uomini dalla sua particolare prospettiva, osserva i loro comportamenti, si interroga sulle loro azioni: talvolta li reputa strani, talvolta affettuosi, altre ancora non sa spiegarsi il perché di tanto odio. “I grandi sfruttano tutti gli animali (…) prendono e usano tutto ciò che vogliono e, quando si consuma o si annoiano a usarlo, si limitano a buttarlo via”. Una lezione che suona come un pugno nello stomaco soprattutto detta da un cucciolo.
Furgul nasce tra le mura di Dedbone’s Hole, la prigione dove sono rinchiusi e allevati i greyhound da corsa. Il suo destino pare, dunque, inesorabilmente segnato. All’improvviso, però, un segreto sconvolge la sua vita. Tutto cambia, deve fuggire da Dedbone’s Hole. La separazione da Keeva, la madre campionessa soprannominata “Folata di Zaffiro” , è dolorosa ma inevitabile. Il mondo che lo attende fuori non sarà tutto rose e fiori. Le prove da affrontare saranno tante ma lui saprà sempre dimostrarsi all’altezza. Nel tempo, complici incontri ed esperienze non proprio positive, la sua personalità si plasma, fino a raggiungere una maturità ed una consapevolezza spesso difficili da comprendere anche per i suoi simili. Furgul non vuole “appartenere a nessuno”, è un cane selvatico e gli piace esserlo. È inquieto e scalpitante, desideroso della sua libertà, non capisce cosa significhi “essere addomesticati” e non ha nessuna intenzione di farlo. Soprattutto, non intende piegarsi ai desideri spesso subdoli degli uomini. Potrebbe scegliere la strada più facile e diventare un cane da compagnia, uno di quelli che ubbidiscono senza fare troppo domande, rinunciando di fatto alla propria natura. Invece no. Furgul va avanti e continua a scappare per inseguire il suo sogno: trovare le misteriose Doglands e liberare Keeva.
Al termine di una lunga ed entusiasmante avventura, si troverà di fronte al suo passato per giocare, finalmente, la partita più importante. Una partita in cui non basteranno la forza ed il coraggio, ma bisognerà giocare d’astuzia, ricordando sempre che “un cane libero non muore mai, ma continua a correre nel vento”.
Carnismo: perché mangiamo gli animali
Silvia Notarangelo
ROMA – A tutto c’è una spiegazione. E quella che fornisce la psicologa Melanie Joy è di quelle che non possono lasciare indifferenti. La questione è relativamente semplice ed emerge, con forza, già da un titolo capace di riassumerne l’essenza: “Perché amiamo i cani, mangiamo i maiali e indossiamo le mucche”(Edizioni Sonda).
Carnismo. È così che Melanie Joy definisce quell’insieme di credenze che ci portano a mangiare alcuni animali, rifiutandone altri. È un’ideologia violenta, un sistema “crivellato di assurdità, incongruenze e paradossi (…) rafforzato da una complessa rete di difese che ci permettono di credere senza dubitare, di conoscere senza pensare e di agire senza sentire”.
Dai suoi studenti, interrogati sugli atteggiamenti che nutrono verso gli animali, l’autrice si sente ripetere sempre la stessa risposta:“Le cose stanno così”. In effetti, l’unica risposta (in)sensata che si riesce a dare è proprio questa. Non c’è un vero perché. O meglio, possibili argomentazioni non mancano, ma è il loro fondamento a lasciare molte perplessità. Perché allora si continua a perpetuare, in silenzio e quasi inconsapevolmente, un simile sterminio? Il carnismo ha messo in atto una serie di difese per tutelarsi e garantire la propria sopravvivenza, prima tra tutte l’invisibilità. Eppure “non vedere” non significa necessariamente “non sapere”. Ed è proprio qui che entra in gioco, secondo la psicologa, un altro meccanismo ancora più insidioso: si può essere a conoscenza di una verità spiacevole e continuare a far finta di niente, conservando inalterate false convinzioni. Si mangiano alcuni animali perché non si considerano tali e se ne prendono le distanze. Si pensa a loro come ad oggetti inanimati, privi di individualità, riducendosi a classificarli secondo un’asettica dicotomia: commestibile o non commestibile.
La chiave di svolta, ciò che potrebbe determinare un cambiamento nella comune percezione della realtà, ha un nome: empatia. L’autrice ne è convinta. Per porre fine al carnismo occorre recuperare la giusta sintonia con l’universo animale, lasciandosi trasportare da quell’innata capacità del genere umano di provare emozioni e, magari, renderle pubbliche con la forza della propria testimonianza.
Qualunque sia il personale punto di vista, questo saggio ha il merito, non scontato, di far riflettere, di approfondire con un’analisi meticolosa una tematica delicata, senza nasconderne gli aspetti “più provocatori, controversi e talvolta profondamente disturbanti”.
10 libri per il 2013
ROMA – Il 2012 è giunto agli sgoccioli. Ecco 10 libri da acquistare o regalare per iniziare il nuovo anno all’insegna della lettura.
Suggestionati o semplicemente incuriositi da profezie e catastrofi? “Pianeta Terra, ultimo atto” del geologo Mario Tozzi (Rizzoli) promette di dare risposta ai vostri dubbi, fornendo un’ampia riflessione sul nostro insensato modo di vivere e sulle sue drammatiche conseguenze. Anche Edo Ronchi e Roberto Morabito, nel loro “Green economy: per uscire dalle due crisi” (Edizioni Ambiente) , affrontano la questione ambientale soffermandosi su un aspetto che sta diventando imprescindibile per il futuro del nostro Paese: l’economia verde.
Per quanti, invece, non possono fare a meno di cronaca e inchieste, la giornalista Angela Camuso racconta il delicato tema della pedofilia ecclesiastica in “La preda. Le confessioni di una vittima” (Castelvecchi Editore) mentre il nuovo saggio di Pino Aprile, “Mai più terroni”(Piemme), si apre con un’affermazione impegnativa quanto provocatoria “siamo alla fine della questione meridionale”.
Se, poi, è il calcio il vostro chiodo fisso, non perdetevi “Fuori campo” di Enric González (Aìsara), una cronaca tragicomica del nostro Paese attraverso le pagine dello sport più amato.
“Dammi un posto tra gli agnelli” (Nottetempo) segna l’esordio letterario di Laura Fidaleo: nove racconti al femminile uniti da un unico, complicato obiettivo: trovare la felicità. Passione, romanticismo e ironia dominano due romanzi da leggere tutti d’un fiato: “Amori impossibili e fragole con panna” di Cynthia Ellingsen (Newton Compton) e “44 Charles Street” di Danielle Steel (Sperling & Kupfer).
Per i più piccoli spazio ad avventura, magia ed emozioni: “Su e giù per l’Olimpo” di Sabina Colloredo (Edizioni EL) e “Il segreto delle fate del lago” di Tea Stilton (Piemme) promettono di far sognare i bambini, e non solo loro.
“Novelle e impressioni” di Gino Racah
Silvia Notarangelo
ROMA – Personaggio di spicco del sionismo milanese delle origini, Gino Racah (1865-1911) dedicò la sua breve esistenza al tentativo di risvegliare le coscienze e le energie ebraiche che “tendevano a scomparire”, convinto della necessità di riscoprire e difendere la fede e le tradizioni giudaiche. A distanza di poco più di un secolo dalla sua morte, Carlo Tenuta ha curato, per Mucchi Editore, una raccolta di scritti dell’autore milanese da cui emerge prepotentemente tutta la sua passione, le sue convinzioni, ma anche una crescente preoccupazione per le sorti della sua religione.
“Novelle e impressioni” raccoglie nove episodi di vita e di storia ebraica. Una narrazione scorrevole, lucida ma profondamente sentita, in cui le novelle sono solo uno spunto, un modo per affrontare temi e problematicità particolarmente care allo scrittore. Gli episodi, in parte a carattere autobiografico, seguono un ordine cronologico, un arco temporale che ha inizio in epoca precristiana, attraversa alcuni momenti salienti della storia fino ad arrivare ai primissimi anni del Novecento e proiettarsi in una Gerusalemme futura.
Protagonisti della quasi totalità dei racconti sono ebrei fieri delle loro origini, fedeli al proprio credo e alle tradizioni, disposti a tutto, anche a sacrificare la propria vita pur di non arrendersi e soccombere sotto i colpi di “energumeni fanatici o empi depravati”.
Con il passare del tempo, le insidie cambiano. Non sono più il cristianesimo o il paganesimo i nemici da cui tenersi lontani, non ci sono più guerre da combattere: la fede va salvaguardata da altri pericoli, forse meno evidenti ma altrettanto insidiosi.
Anche la riflessione di Racah cambia prospettiva, affrontando nuove, delicate questioni divenute cruciali: i matrimoni misti, la rinuncia o l’abbandono della fede ebraica, un persistente sentimento antisemita. È la “crescente assimilazione” una delle cause, secondo l’autore, di questa pericolosa deriva. Non sorprende, quindi, che protagonisti degli ultimi racconti siano una vecchia suocera, costretta a conservare in segreto la propria fede, e un padre che, al contrario, sembra riscoprire, l’importanza delle proprie origini. Ed è proprio a questo padre, tormentato dalla scelta della figlia di diventare monaca di clausura, che Racah affida un messaggio di speranza: “il lamentarsi senza agire è da sciocchi e da imbelli (…) insegnerò agli altri a mantenere raggiante e puro il focolare della famiglia israelitica”. Un impegno a cui l’autore ha dedicato tutta la vita.