Direttore. Per gli amici: il direttore di ChrL. Pugliese del nord, si trasferisce a Roma per seguire i libri e qui rimane occupandosi di organizzazione di eventi e giornalismo declinato in modo culturale e in salsa enogastronomica. Fugge, poi, nella Food Valley dove continua a rincorrere le sue passioni. Per ChrL legge tutto ma, come qualcuno disse: "alle volte soffre un po' di razzismo culturale" perché ama in modo spasmodico il Neorealismo italiano e i libri per ragazzi. Nel 2005 fonda la rubrica di Letteratura di Chronica.it , una "vetrina critica" per la piccola e media editoria. Dopo questa esperienza e il buon successo ottenuto, il 10 novembre 2010 nasce ChronicaLibri, un giornale vero e proprio tutto dedicato ai libri e alle letterature, con occhio particolare all'editoria indipendente. Uno spazio libero da vincoli modaioli, politici e pubblicitari. www.giuliasiena.com

“Nelle pieghe del tempo”, il nuovo libro di Madeleine L’Engle

ROMA Giunti propone “Nelle pieghe del tempo”, il nuovo libro di Madeleine L’Engle.
Meg Murry sta avendo un momento difficile. Suo padre, l’astrofisico Dr. Jack Murry, è misteriosamente scomparso. Il suo giovane fratello, Charles Wallace, un genio, è infastidito e sminuito ed è considerato uno stupido perché non rivolge la parola a nessuno al di fuori della sua famiglia. Meg non va d’accordo con i suoi coetanei, con gli insegnanti, con i suoi fratelli gemelli di 10 anni, e persino con se stessa. In questa situazione infelice giunge una sconosciuta, la misteriosa Signora Cosè, che veste in un modo molto strano, e le sue amiche la Signora Chi e la signora Quale. Esse portano Meg, Charles Wallace e il loro nuovo amico Calvin O’Keefe su strani, nuovi altri pianeti, preparando i ragazzi per una missione il cui obiettivo è salvare il Dr. Murry dal malevolo “IT” sul pianeta Camazotz. Il tutto è possibile proprio grazie al TESP-ACT, che permette loro, per l’appunto, di viaggiare tra le pieghe delle varie dimensioni spazio-temporali. Età di lettura: da 11 anni.

23 giugno 2012: arrivano a Roma le Passeggiate d’Autore

ROMA – C’è un nuovo modo di passeggiare a Roma. E’ una passeggiata alla scoperta dei segreti e delle leggende che solo alcuni conoscono e che, dal 23 giugno, verranno svelati a tutti noi. Si chiamano “Passeggiate d’autore”, e da Milano, dopo due anni di successi e repliche arriveranno anche a Roma.

Sabato mattina, dalle 11 alle 13, due ore di escursione metropolitana a caccia di tracce, fantasmi del passato, memorie perse, condotti da una guida d’eccezione: uno scrittore. La Pluriversi e laVerba sono lieti di invitarvi a partecipare alla prima passeggiata d’autore a Roma, che vedrà comeinauguratore d’eccezione Renzo Paris che ci guiderà alla scoperta della Roma di Apollinaire. Passeggiate d’Autore – Roma sarà presentata il 21 giugno alle ore 20 presso il Circolo degliArtisti (via Casilina Vecchia, 42) con tante anticipazioni sul cast della prossima stagione (settembre 2012- giugno 2013); seguirà un reading a cura di alcuni tra gli scrittori di maggiore spicco del panorama letterario romano, tra cui Aurelio Picca, Renzo Paris, Attilio Fontana, Gaja Cenciarelli, Frank Solitario, RobertoCarvelli, Philomene Gattuso, Laura Costantino.

VerbErrando: OuLiPo

ROMA – Sono con amici a parlare di scrittori e libri di oggi. Io sorseggio il terzo o quarto calice di bianco; si parla dell’endemica incapacità di narrare qualcosa di rilevante, nella forma o nel contenuto. Tutti d’accordo, colpevoli (perché tutti, ovviamente, facenti parte della categoria incriminata) e tutti quasi ubriachi. Poi si comincia a discutere sulla forma, su come si costruiscono i libri oggi. La forma del libro, la sua architettura, gli espedienti ricercati per far sì che i libri abbiano un appeal. Si rintraccia in questa ricerca l’esigenza di sopperire alle mancanze, appunto, di contenuti andando a lavorare sul contenitore. Si dice che il risultato di questa manovra è quasi sempre incomprensibile e che questo non accadeva nel passato, un tempo, un mirabile tempo, in cui, invece, essendoci sostanza non c’era bisogno di esercizi di stile. Per avallare questa teoria è stato preso come esempio di semplicità Italo Calvino.
Sorrido, continuo a bere il vino. Non è così, affatto. Ma scelgo di tacere, perché mi è stato appena servito su un piatto d’argento il tema di Verberrando di questa settimana.

 
La letteratura potenziale- OuLiPo
“Secondo i calcoli di H. Gerstenkorn, sviluppati da H. Alfven, i continenti terrestri non sarebbero che frammenti della Luna caduti sul nostro pianeta. La Luna in origine sarebbe stata anch’essa un pianeta attorno al Sole, fino al momento in cui la vicinanza dalla Terra non la fece deragliare dalla sua orbita. Catturata dalla gravitazione terrestre, la Luna s’accostò sempre di più, stringendo la sua orbita attorno a noi. A un certo momento la reciproca attrazione prese a deformare la superficie dei due corpi celesti, sollevando onde altissime da cui si staccavano frammenti che vorticando nello spazio tra Terra e Luna, soprattutto frammenti di materia lunare che finivano per cadere sulla Terra. In seguito, per influsso delle nostre maree, la Luna fu spinta a riallontanarsi, fino a raggiungere la sua orbita attuale. Ma una parte della massa lunare, forse la metà, era rimasta sulla Terra, formando i continenti.”
C’era un gruppo di pazzi che nel 1960, a Parigi, hanno deciso di fare i sovversivi. Se la letteratura, aveva sempre seguito canoni e forme convenzionali e comuni a tutti, era ora di cambiare. Lo scopo era quello di costituire nuove strutture e schemi attraverso costrizioni (contrainte) da far usare a proprio piacimento agli scrittori, al fine di potenziare il loro impulso di ispirazione e visionarietà. Vincoli e restrizioni per liberare. Per risvegliare, come diceva Calvino, “i demoni poetici più inaspettati e più segreti”. Dei folli, insomma.
Questo Laboratorio di Letteratura Potenziale (Ou Li Po, Ouvroir de Littérature Potentielle), però, non detiene il primato di follia. Quello ce l’ha il Collegio di Patafisica di Alfred Jarry di cui la OuLiPo diventa costola; una scienza delle soluzioni immaginarie di cui il Faustroll è il manifesto… a dire il vero, parlando di scienza del paradosso e della matematizzazione impossibile, già il pastore-matematico-letterato Lewis Carroll aveva fatto il suo prima di Jarry, ma è meglio non entrare in questa selva oscura e non rischiare di perdere la ragione.
Torniamo alla letteratura potenziale del Laboratorio OuLiPo. Era una letteratura che non esisteva, “da scoprire all’interno di opere già scritte o da inventare attraverso l’uso di nuove procedure linguistiche, attraverso il rispetto di regole, vincoli, costrizioni, come ad esempio scrivere un testo senza mai usare una determinata lettera”. Sotto questa scia sono nati capolavori come “Esercizi di stile” di Queneau, “La vita istruzioni per l’uso” di Perec e “Il castello dei destini incrociati” di Calvino, ed è proprio da lui, Calvino “il semplice”, che voglio partire. Nel 1972, dopo essersi trasferito con la famiglia in Francia, entra a far parte del Laboratorio e scrive il libro oulipiano e patafisico per eccellenza.
Ne “Il castello dei destini incrociati” quasi ad ogni pagina, la narrazione è accompagnata da riproduzioni di carte dei Tarocchi, le cui diverse combinazioni danno vita a diversi racconti. La combinatoria porta sempre in sé l’ambizione folle e megalomane (e inesorabilmente fallimentare) di non omettere nulla, inserire, all’interno delle pagine, tutta, tutta la realtà nelle sue possibili declinazioni. La letteratura potenziale potrebbe andare avanti all’infinito, per poi scontrarsi con un limite, che non è dell’opera, ma nostro. Siamo noi a non avere a disposizione abbastanza tempo per
esaurire tutte le combinazioni possibili di una sequenza di immagini o di segni. E una delle conseguenze di questa constatazione viene ben formulata proprio da Perec, in un breve testo a commento del libro calviniano: “non ci saranno mai lettori a sufficienza per l’infinità di possibili racconti riflessi dagli specchi di questo Castello dei destini incrociati”. La letteratura potenziale è anche l’apertura all’infinito dei lettori possibili: i sentieri si biforcano di continuo, ogni storia può ramificarsi in infinite altre, ogni lettore potrà farsi largo a suo modo nell’oscura selva narrativa.
Perec, nel suo “La vita istruzioni per l’uso” (la cui traduzione in italiano è stata curata da Calvino in persona) immagina di togliere una parete dall’edifico e di osservare tutte le stanze e tutte le persone e le vite che le occupano. L’idea di osservare il palazzo dallo spaccato, come se fosse osservato da un architetto, gli viene da un disegno di Saul Steinberg, contenuto nella raccolta The Art of Living, che mostra appunto quello che succede nelle varie stanze di un palazzo al quale è stata tolta una parete esterna. Concentra “nel tempo di un istante (verso le otto di sera del 23 giugno 1975) e nello spazio perfettamente circoscritto di un caseggiato parigino, una pluralità favolosa di storie, di personaggi, di epoche, di mondi” (Hans Hartje, Bernard Magné et Jacques Neefs, Préface a Georges Perec) esplorando, in ogni capitolo, una stanza e muovendosi lungo l’area dell’edificio come su una scacchiera, con il passo obliquo della “mossa del cavallo”, secondo un itinerario tracciato in modo da non tornare mai due volte sulla stessa casella-stanza. Così nasce una macchina generatrice di storie: le vicende degli abitanti delle cento “caselle” si incrociano e si completano reciprocamente. Tutte le regole di costruzione delle sue strutture narrative, solo in parte svelate, sono annotate nei suoi cahiers de charges, amorevolmente ricostruiti da alcuni pazienti studiosi dopo la sua morte. Perec non esplorerà tutti e cento i locali del palazzo: ne salta uno, lasciando nella trama del romanzo un buco, un vuoto (voluto, cercato, impossibile da evitare, incolmabile e già indagato nel suo “Disparition” del 1968 , in cui la vita, mutilata di una componente essenziale, è rappresentata metaforicamente da una lunga narrazione scritta senza mai impiegare la vocale “e”). Il pezzo mancante è lo spazio che, all’interno del meccanismo letterario, permette agli ingranaggi di “fare gioco” e di mantenere il dinamismo dell’architettura complessiva. Per la stessa motivazione anche gli “Esercizi di stile” di Queneau erano novantanove e non cento. Come ci spiega Umberto Eco, traduttore di questo scrigno di preziosi “Un episodio di vita quotidiana, di sconcertante banalità, e novantanove variazioni sul tema, in cui la storia viene ridetta mettendo alla prova tutte le figure retoriche, i diversi generi letterari (dall’epico al drammatico, dal racconto gotico alla lirica giapponese), giocando con sostituzioni lessicali, frantumando la sintassi, permutando l’ordine delle lettere alfabetiche. […] Questi sono gli esercizi di stile di Queneau, che per anni mi hanno tentato come traduttore, perché erano ritenuti intraducibili, legati come sono al “genio” specifico della lingua francese. E infine la decisione: non si trattava di tradurre, ma di capire le regole di gioco che Queneau si era poste, e quindi giocare la stessa partita con un’altra lingua, azzardando qualche mossa in più, dato che lui aveva aperto la strada e non restava che continuare e andare oltre, nello stesso spirito.”
Strade aperte da altri, inviti ad andare avanti, a perdersi un po’, a percorrerla quella selva oscura.
Insomma, non è falso dire che la bellezza di un libro che farà letteratura si percepisca già dalla prima pagina, solo che non sempre quello che si legge è comprensibile. Il vizio dell’ingranaggio sta in noi, che riteniamo bello quello che ci arriva subito, ciò che è facile. I codici sono scrigni dentro i quali sono nascosti tesori. Le metafore i percorsi, i sensi il premio. La costruzione articolata e audace deve seguire una strategia e delle regole, non necessariamente messe a disposizione del lettore dall’autore. L’importante, per noi amanti del leggere, non deve rintracciare la costruzione del percorso, ma avere una strada da percorrere. Così come Lynch ci accompagna in quei corridoi senza luce incontro all’incognita, così la letteratura dovrebbe trasportarci “altrove”. Ma senza fiducia non puoi amare, conoscere, andare. Fidarsi del libro che si è scelto, affidarsi allo scrittore. Sincerandosi dell’esistenza di un valore prima di arrendersi a lui, fin dalla prima pagina.
Secondo me.

“La cucina dei 7 peccati”, 168 ricette per commensali che non hanno paura dell’inferno.

ROMA – Gremese porta in libreria “La cucina dei 7 peccati”, 168 ricette per commensali che non hanno paura dell’inferno: un cofanetto contenente 7 volumi, uno per ogni peccato capitale, per un totale di 168 ricette ispirate al fascino dei vizi e delle virtù più chiacchierate della storia. Gremese editore fa entrare i peccati in cucina e li declina in piatti e delizie da preparare per noi e i nostri commensali.

 
Superbia e invidia per sbalordire e ingelosire gli ospiti; ira per sfogare a tavola la cretività, lo stress e la rabbi accumulata durante la giornata,  accidia e avarizia per preparare piatti semplici e a buon mercato; gola e lussuria peccati indicati per una perfetta serata a due. Consommé di crostacei, dalle Rillettes di salmone agli agrumi, dalla Flemma di manzo alle arachidi, dalla Seduzione d’anatra in salsa di fichi, dalla Ferocia di Avocado o dai Seni di Venere velati di cioccolato.
Ricette per rendere speciale ogni giorno, accompagnate dai tempi di preparazione e di cottura e da fotografie che suggeriscono il miglior modo di presentare i piatti in tavola.

Giunti: arriva “Lo strano caso della cellula X”

ROMA – Arriva fresco di stampa in tutte le librerie “Lo strano caso della cellula X. Le avventure del prof. Strizzaocchi”. Pubblicato da Giunti Editoriale Scienza, il libro di Lorenzo Monaco e Matteo Pompili spiega in maniera divertente la vita della cellula e il suo funzionamento. Tante cellule (tra le quali la cellula X), uno scienziato dagli occhi piccolissimi (il Prof. Strizzaocchi) e un laboratorio pieno di microscopi, fiale e provette. All’improvviso la cellula X si sveglia e da un angolo buio del laboratorio comincia a parlare. Inizia così questo buffo racconto, un po’ surreale, la cui protagonista, la cellula X, imparerà moltissime cose su se stessa: nucleo, DNA, citoscheletro, mitocondri, microtuboli, apparato di Golgi, enzimi e proteine non avranno più segreti per lei e nemmeno per il lettore, che verrà anche coinvolto in un mistero da svelare: che cosa sta uccidendo la cellula X? Alla fine di ogni capitolo una piccola sezione scientifica di approfondimento per conoscere le scoperte degli scienziati e un laboratorio per costruire una cellula partendo da oggetti di uso quotidiano facilmente reperibili!

Sabato 16 giugno ore 18: ChrL esce allo scoperto e vi aspetta al N’Importe Quoi

ROMA ChronicaLibri esce allo scoperto e invita lettori, autori ed editori a un aperitivo dal retrogusto letterario. Dopo quasi due anni dalla sua nascita, ChronicaLibri sceglie una libreria caffè nel centro storico capitolino per chiacchierare e incontrare tutti i suoi interlocutori. Sabato 16 giugno alle ore 18 presso il N’Importe Quoi di Roma (via Beatrice Cenci, 10 – zona via Arenula) la redazione avrà il piacere di ascoltare la voce degli editori, dibattere con gli autori e conoscere i suoi lettori. Un momento conviviale che vuole essere il fulcro di un lavoro quotidiano verso il libro. Infatti, ChronicaLibri è il giornale nato dalla passione per la lettura e il libro e intorno a esso ruota l’impegno di sette professionisti della comunicazione, amanti ciechi delle trame letterarie e degli scaffali di tutte le librerie terrestri.
Noi, da giornalisti, ci chiediamo dove sta andando il libro e verso dove sta virando il mercato editoriale. Noi, da giornalisti, vogliamo capire se il nostro lavoro, il nostro impegno costante nei confronti della promozione del libro e del suo contenuto sia ancora un’avventura che vale la pena perseguire.

 

VerbErrando: Ciò che già si sa

ROMA – “Dopo molti anni ho capito che in quella luce era morta l’innocenza italiana. L’innocenza che aveva attraversato tutti gli anni sessanta come una scarica elettrica o un crampo nello stomaco. Morì da giovane soubrette a Viareggio, buttandosi alle spalle le commedie, le tonnellate di spaghetti alle vongole, le illusioni di ricchezza. Sparì nel luogo che già possedeva la luce dei morti nel giorno in cui ritrovarono cadavere Ermanno Lavorini. […]
… con la sua fine, l’Italia si gettò dietro le spalle l’innocenza.
A quella perduta innocenza vorrei dire:” Ciao, bellina, come stai? Ti voglio tanto bene.” Alla creatura straziata avrei voluto dedicare la vita che mi resta. Ma gli anni muoiono prima dei secondi. Il tempo è finito. Eppure desidero tanto spedire una lettera per supplicarla di tornare. Invece so che non lo farò. Perdonatemi, allora, se scrivo addio.” (“Addio” di Aurelio Picca, ed. Bompiani 2012)

Questo è Aurelio Picca, questo è Addio. Il suo addio all’innocenza, a un tempo, che arriva fino al  31 gennaio 1969, in cui ancora si poteva vivere di sogni, di immaginazioni. Perché le immaginazioni non erano pericolose, anzi, diventavano un surrogato ma migliore della vita vera, dei fatti, della ragione; e la sua forza era tale, quella dell’immaginazione, da riuscire a influenzare la verità stessa, la razionalità. Era il tempo in cui le mamme potevano ancora spingere i figli a mangiare le verdure sotto il ricatto del buio, perché i bambini a quei tempi erano bambini e avevano ancora paura del buio. Ora non è più così, i bambini il buio se lo portano dentro e lo vomitano fuori, puntualmente, ad ogni occasione. Non è forse vero che, con il tempo, ci si adatta a tutto? Del resto Darwin ce lo insegnava nella sua teoria sull’evoluzione della specie, un processo di “miglioramento” o di aumento della complessità degli organismi nella capacità di “uscire vincente” dal processo di selezione naturale.
Quindi noi saremmo i vincenti. Quindi noi saremmo i migliori.
“E se quelli che rimangono fossero i peggiori?” mi coglie di sorpresa, come il cellulare caduto dal cielo di Ritorno (di Fabio Viola, Feltrinelli e-books 2012),  la frase di Elias Canetti.
E allora decido che voglio capire meglio perché sono tanto d’accordo con lui, e con Aurelio.
“Si vuole diventare migliori; ci si vuole solo rendere le cose più facili” dice. E poi aggiunge “Alcuni raggiungono la loro massima cattiveria nel silenzio.”(“La provincia dell’uomo” Elias Canetti, Adelphi, 1978). Quindi, riassumendo, per Canetti siamo o peggiori ed evoluti, o migliori ma furbi, sempre alla ricerca della scappatoia facile; e, nell’essere cattivi, esercitiamo la pratica del silenzio.
Riconosco che intorno a noi, sempre più spesso, cade il silenzio, ma non voglio dare retta alle parole di Canetti… no, troppo apocalittiche. Solo che non riesco a fermarmi, vado avanti e scopro di più su di lui, tipo che nei vent’anni successivi alla guerra mondiale si dedicò allo studio della psicologia di massa e che fu una delle figure più importanti della cultura mitteleuropea. Sembrerebbe una voce autorevole. Provo a superare la diffidenza e vado avanti:
“Sono sempre più convinto che le mentalità sorgono dalle esperienze di massa. Ma gli uomini hanno colpa delle loro esperienze di massa? Non vi incorrono assolutamente indifesi? Come dev’essere fatto un uomo per potersene proteggere? Ecco quello che veramente m’interessa in Karl Kraus. Bisogna forse poter formare masse proprie per essere immuni dalle altre?” (“Il cuore segreto dell’orologio” Elias Canetti, Adelphi 1987)
Allora mi domando a cosa dobbiamo la nostra mentalità, ma prima ancora, che mentalità abbiamo noi e qual è l’ultima esperienza di massa che abbiamo vissuto dopo la Resistenza.
Cerco, mi documento, chiedo e poi, la risposta: nessuna. La resistenza è stata l’ultima esperienza di massa che gli italiani hanno vissuto. Quindi tutto a posto! La nostra mentalità dovrebbe essere strutturata secondo quelle regole! Mh… Oddio, parliamo di quasi settant’anni fa… quanti anni hanno, oggi, quelli della resistenza? … ah, sono quasi tutti morti. E allora come si fa se quelli che dovevano “fare” la mentalità della massa sono scomparsi? Allora non abbiamo una mentalità strutturata secondo le regole della resistenza… allora, che mentalità abbiamo?
Partiamo dagli strumenti che ci hanno dato i nostri amici scrittori: abbiamo perso l’innocenza e  l’ultima esperienza di massa non la conosciamo perché non c’eravamo, quindi davanti a noi c’è malizia e ignoto. Purtroppo, anche stavolta, quel pessimista di Canetti ha da dire qualcosa:
“Nulla l’uomo teme di più che essere toccato dall’ignoto” ah… capisco, quindi è questa la ragione per cui siamo così distratti e distanti, l’uno dall’altro. E ancora “Solo tutti insieme gli uomini possono liberarsi dalle loro distanze. È precisamente ciò che avviene nella massa.”  (“Massa e potere” Elias Canetti, ed. Adelphi 1981)
Forse non siamo una massa… potrebbe essere questa la ragione per cui non ci sono più state esperienze di massa….
Veruska! Basta! Stai diventando noiosa. Sento la sua voce…
“Perché vuoi sempre spiegare? Perché vuoi sempre scoprire che cosa c’è dietro? E più dietro ancora, sempre e solo dietro? Come sarebbe una vita limitata alla superficie? Serena? E sarebbe da disprezzare solo per questo? Forse c’è molto di più alla superficie – forse è tutto falso ciò che non è superficie, forse tu vivi ormai tra immagini illusorie, continuamente cangianti, non belle come gli dèi, ma svuotate come quelle dei filosofi. Forse sarebbe meglio: tu allineeresti parole (giacché hanno da essere parole), ma ora sei sempre alla ricerca di un senso, come se ciò che tu scopri potesse dare al mondo un senso che il mondo non ha.” (“La rapidità dello spirito” Elias Canetti, Adelphi  1996)
Forse è vero. Ma non mi interessa. Conoscenza è coscienza. Cultura è conoscenza. Diffondere, attraverso la cultura, la conoscenza è spingere a cercare una coscienza. Quando avremo tutti una coscienza sociale, allora potremo essere una massa. C’è chi ha lavorato anni, dalla Resistenza a oggi, per toglierci l’innocenza, fino a farcela perdere quel 31 gennaio 1969, come ci dice Picca. C’è chi ha lavorato anni, dalla Resistenza a oggi, per toglierci la memoria. Per non farci essere più una massa e mettersi, così, al sicuro.
Per farci “essere insensibili fino a disprezzare le cose interessanti, e diventare insensibili proprio riguardo a ciò che ci interessa maggiormente.” (“Pensieri” Blaise Pascal, Garzanti 1994)
Spero di poter vivere abbastanza per essere parte di un’esperienza di massa. Spero arrivi qualcuno capace di farci tornare ad essere una massa. Qualcuno in grado di farci ricordare quello che già conosciamo, quello che sappiamo già, perché “La memoria si blocca. Ma è ancora lì tutta intera.” Ricordare, riscoprire. Riscoprire, provare ancora emozione. E muoversi verso una direzione.

 

La cosa più dura è tornare a scoprire ciò che già si sa.
Elias Canetti, Premio Nobel per la letteratura (1981).

Carthusia: “C’era lassù al castello”, le leggende trovano nuova vita

ROMA “Ci sono leggende che arrivano da lontano e ancora più lontano vanno, come eco di parole che risuonano in una valle di montagna.” Le leggende hanno una natura selvaggia, fatta di fascino antico e tradizione orale. Le leggende sono andate avanti così, tramandandosi di voce in voce, di valle in valle, fino ad arrivare silenziose fino a noi. In “C’era lassù al castello”, pubblicato da Carthusia, Roberto Piumini dà nuova vita a sei storie e una ballata e le lascia dipingere dai colori di Gianni Di Conno.

 

Le leggende di “C’era lassù al castello” sono storie di terre di confine di queste terre, ne raccontano i passaggi, i cambiamenti, le speranze e i miti. Le montagne, le valli e i castelli prendono vita, si animano e diventano essi stessi personaggi delle varie storie.

Le sorti di frati, cavalieri e dame si intrecciano: la principessa Mariana in cerca di marito è una Madama Butterfly con vesti cortigiane che mette alla prova i cavalieri che chiedono la sua mano; la dama silenziosa punita con la reclusione dal marito poiché creduta infedele è eroina di coraggio e virtuosismo. Sono personaggi antichi e complessi, semplici nelle loro vite ed emblemi di forza e coraggio. Sono personaggi che solo le leggende regalano.

“L’odio. Una storia d’amore”

Giulia Siena
ROMA
“Fuori c’è il sole, il cielo chiaro, una radura piena di fango, il sottobosco e la strada coi cumuli di neve qua e là. E’ una cosa pazzesca. Tutto è esagerato. Sin dall’inizio.” Ossessione. L’amore è un tormento che pulsa nelle tempie. L’amore è un ricordo adolescenziale che non si lava via con il tempo. E questo Stefano lo sa. Sa che Barbara continua a essere il suo tarlo. Ricorda lei, la loro adolescenza, il tempo che è passato e il suo amore allontanato. Emanuele Ponturo prende spunto da un fatto di cronaca per il suo primo romanzo “L’odio. Una storia d’amore”. Il libro, pubblicato da Fermento, è  una favola moderna dalle tinte fosche. Stefano, il protagonista di questo romanzo dalle sfaccettature noir, torna dopo anni nel suo quartiere, sotto casa di Barbara e vicino la loro scuola. Torna con la mente alla sua adolescenza, arriva con il ricordo a quando – dopo la morte di sua madre – fuggì dalla Magliana con l’assordante pensiero di Barbara. Lei, Barbara aveva qualche anno in più di Stefano e per lei lui era solo un amico di suo fratello. Ma ora Stefano ha trovato nella ragazza del pub un po’ di Barbara. Monica sogna il principe delle favole e Stefano la porterà nel bosco.

L’autore tratteggia una storia che si gioca sul filo del doppio. L’ambivalenza di sentimenti è speculare all’ambivalenza dei tempi narrativi: passato e presente si mescolano, si intrecciano e scompaiono nei luoghi in cui si svolge la vicenda. “L’odio. Una storia d’amore” è  un romanzo intenso; i capitoli sono cadenzati da lettere ricche di poesia, da liriche in cui struggimento e passione danno spinta all’elemento narrativo.

VerbErrando: Pigneto dreaming

ROMA – “L’etica e le regole di comportamento che ho escogitato e applicato fino a oggi, che mi hanno permesso di condurre e interpretare la mia vita come pareva a me, hanno smesso di funzionare, e non ne ho di nuove a rimpiazzarle. Mi ritrovo circondata da persone che, a quanto pare, invece, mi hanno sempre vista in un modo tutto loro e che ora continuano a impormi questa immagine falsata di me […]
Ce l’ho messa tutta perché su di me non ci fossero mai fraintendimenti. Ho sempre esposto le mie opinioni, agito nel modo più diretto, franco e inequivocabile […] Possibile che non sia servito a niente?”  (Romanticidio
di Carolina Cutolo, Ed. Fandango 2012)

 

Il Pigneto da un po’ è diventato l’ombelico del mondo culturale di Roma. Lì trovi sempre qualcosa in corso, che sia un concerto, un reading, un contest di scrittura, una mostra, qualcosa c’è  e non sei mai solo. Giovani buttati sui marciapiedi, o poggiati addosso alle macchine o fuori dai locali. Giovani che bevono… ecco, hanno sempre in mano un bicchiere di vino, di superalcolico o una bottiglia di birra, a seconda della propria inclinazione e al gruppo al quale appartengono. Ebbene sì, al Pigneto trovi i gruppi, proprio come accadeva nei paesi tanti anni fa. Così, se vai da Necci, ad esempio, torvi quelli della ‘dolcevita’, che mangiano spiedini di pesce spada cucinati da uno chef inglese; se vai da Birra + trovi i punk seduti sul ciglio della strada con i loro cani a guinzaglio. Al Forte Fanfulla gli habitué dei circoli ARCI che vanno lì per rilassarsi e ascoltare un po’ di musica o di passaggio, per fumarsi una sigaretta nel giardinetto esterno, ché tanto qualcuno che conosci lo trovi sempre; al Chiccen c’è Rossano che ti fa sedere al tavolino, ti accende una candelina immersa in quello che una volta era un vasetto di omogeneizzato ed ora è un portacandele, e ti serve vino e cibo cucinato da lui, tra un libro e l’altro. E’ proprio lì che, un venerdì qualunque di primavera, passeggiando, ti capita di incontrare Jack Hirschman che legge le sue poesie, accompagnato dalla Brigata dei Poeti Rivoluzionari di Roma, nuova di zecca. E allora, al fresco della sera, con un vinello tra le mani, puoi ascoltare le parole dell’ultimo genio della beat generation, ex professore di inglese alla UCLA di Los Angeles, che nel 1966 fu licenziato perché promotore di proteste e manifestazioni contro la guerra in Vietnam, tra le quali dare il massimo dei voti a tutti gli studenti destinati all’arruolamento per aiutarli a sfuggire alla guerra.

 

Il poeta dei giovani, per i giovani. Forse è per questo che tutti se ne innamorano. Forse è per questo che in tutto il mondo fioccano Brigate dei Poeti Rivoluzionari in suo onore, gruppi di giovani, promettenti poeti che hanno scelto lui come mentore. Una carrellata dei suoi più incisivi e accorati appelli al mondo fanno trattenere il respiro a una via del Pigneto stranamente stretta intorno a un unico luogo. I suoi arcani, tra cui quello “dei giorni dei morti”, dedicato a Pasolini e l’intramontabile “One day”:

“Un giorno smetterò di scrivere e dipingerò soltanto
smetterò di dipingere e canterò soltanto
smetterò di cantare e me ne starò seduto soltanto
smetterò di stare seduto e respirerò soltanto
smetterò di respirare  e morirò soltanto
smetterò di morire e amerò soltanto
smetterò di amare e scriverò soltanto”.

Insomma, sì, al Pigneto accadono cose. Ogni venti metri. Cose di arte, di musica, di letteratura, di folklore. Cose pubbliche, per le strade o nei locali, ma anche semi-pubbliche, dentro le case o nei cortili, quelli nascosti alla vista. Ed è proprio fuori da un cortile che mi trovo e sto per citofonare. Citofonare interno 7, questa è la mia destinazione. Giorni prima avevo ricevuto una convocazione segreta per questo evento a cui puoi partecipare solo dietro invito del padrone di casa (e fin qui tutto normale) e  se conosci la parola d’ordine. L’evento è un reading, di quelli che di solito si fanno alla libreria Eternauta, ma stavolta è dedicato a pochi, ai più intimi o ai più fortunati, i privilegiati. Questo invito ha del massonico, probabilmente è la ragione per cui risulta così affascinante. Ogni volta la location cambia, perché ogni volta si svolge nella casa dell’autore del libro di turno.
Questa volta l’invito è in via del Pigneto ed è il turno di Carolina Cutolo e devono aver esagerato, perché di invitati ce ne sono tantissimi, almeno una settantina, compreso qualche infiltrato, che si riconosce perché è staccato dagli altri, non parla con nessuno e non osa nemmeno avvicinarsi allo squisito buffet che la padrona di casa ci ha amorevolmente preparato.
Lì incontri tante persone, come Girolamo, che lavora per una cooperativa impegnata nel sostenere e aiutare i senza fissa dimora. Con lui mi metto a parlare di quanto sia ancora tragicamente naturale scansare le persone come loro, quelli che vestono abiti lisi, sporchi e maleodoranti  “La gente viene a chiedermi perché sono senza tetto e sai cosa rispondo io? Domandalo a loro! Avvicina uno di loro e chidiglielo, parlano, sai?”. Discutiamo circa l’importanza della conoscenza come mezzo per sconfiggere la paura della diversità, e delle azioni, necessarie e mirate, che la sua associazione, la casa di cartone, organizza per creare ponti tra i senza fissa dimora e le persone che una casa ce l’hanno, perché “la gente raggruppata dentro questa categoria è la più disparata. C’è il barbone, il tossicodipendente, il rifugiato politico. L’anziano che aspetta il suo posto in ospizio e l’uomo che ha perso il lavoro; c’è il vedovo, il trans, c’è la schizofrenica e poi ci sono quelli in fuga. Sono storie diverse, mondi diversi e necessitano approcci diversi, attenzioni diverse, aiuti diversi. La generalizzazione è un male da curare.” Ci diamo appuntamento al 15 di giugno, sulla Tuscolana, ci sarà un evento curato dalla sua associazione: il BIP , un mega concerto in un ricovero per i senza fissa dimora.
Appena il tempo di salutarlo e parte la serata. Ci sono ospiti-amici ad aprire il reading, tra cui Fabio Viola con l’estratto del suo libro prossimamente in uscita; e poi, alla fine, lei, Carolina Cutolo con lui, il  protagonista della serata, Romanticidio.
Si rivela subito. Generoso e ospitale, proprio come la padrona di casa. Il pretesto narrativo è qualcosa a cui non posso resistere: le cose stupide che si fanno per amore. Come finire in coma, ad esempio. Come affidarsi alle fantasticherie, negare la realtà, rifuggirla e sostituirla con un surrogato a metà tra il sogno e la schizofrenia. Carolina è così quando scrive, come quando parla: diretta, concreta, senza sofisticazioni, inutili orpelli, dice quello che vede con semplicità e garbo; circa la vita, l’amicizia, la ricerca del proprio futuro, la costruzione dei rapporti, l’amore e la morte. E quando ne scrive, così come quando ne parla, non puoi fare a meno di ridere, perché lei è fatta in questo modo: ironica e carismatica, teatrale e dissacrante ai limiti del paradossale e del grottesco. Così, quando fa incontrare alla sua protagonista, per la prima volta, l’amore e un nuovo inizio le fa incontrare, immancabilmente, anche il suo opposto: la fine. E lo fa così:
“Eccola, la mia fine perfetta, la mia morte ridicola, il mio istinto di sopravvivenza sacrificato all’idiozia di volermi far bella ai suoi occhi a ogni costo. Avevo appena messo a rischio la mia vita in modo irreversibile, e lo avevo fatto perché sopraffatta e vinta da qualcosa di cui, fino a quel giorno, avevo negato l’esistenza con tutte le mie forze. Come se non bastasse, su questo già patetico epilogo ecco implacabile l’ironia della sorte a chiudere il cerchio e a prendermi per il culo senza pietà: una fiera professionista dell’alcol che schiatta assassinata dall’acqua minerale.”

Numerosi bicchieri di vino dopo e, ormai, a notte fonda, lascio quel cortile per tornare a casa.
Il Pigneto… il luogo dove accadono cose…
Il quartiere dove sei sempre il benvenuto, in cui puoi non abitare e, comunque, sentirti accolto, casa. Basta andarci più di due volte per essere uno di loro, riconosciuto e salutato per strada, intrattenuto dai camerieri dei locali. Il quartiere per chi vuole ancora assaporare il gusto della vita di paese, un paese di arte e cultura, un paese di usi e costumi… calorosamente consigliato a chi è pronto a mettersi in gioco, a darsi agli altri senza sovrastrutture, a sorridere e a prendere la vita con la freschezza del ponentino che sembra soffiare per le sue vie. Per chi cerca la poesia delle piccole cose, per chi ha fame di conoscenza e di diversità, per chi, insomma, non si accontenta del proprio cortile e la vita la vuole vivere a più braccia. Un posto, insomma, perfetto sempre e per tutti.

Unica controindicazione: da evitare rigorosamente nel caso in cui voleste incontrarvi con qualcuno in clandestinità.