Direttore. Per gli amici: il direttore di ChrL. Pugliese del nord, si trasferisce a Roma per seguire i libri e qui rimane occupandosi di organizzazione di eventi e giornalismo declinato in modo culturale e in salsa enogastronomica. Fugge, poi, nella Food Valley dove continua a rincorrere le sue passioni. Per ChrL legge tutto ma, come qualcuno disse: "alle volte soffre un po' di razzismo culturale" perché ama in modo spasmodico il Neorealismo italiano e i libri per ragazzi. Nel 2005 fonda la rubrica di Letteratura di Chronica.it , una "vetrina critica" per la piccola e media editoria. Dopo questa esperienza e il buon successo ottenuto, il 10 novembre 2010 nasce ChronicaLibri, un giornale vero e proprio tutto dedicato ai libri e alle letterature, con occhio particolare all'editoria indipendente. Uno spazio libero da vincoli modaioli, politici e pubblicitari. www.giuliasiena.com

“VerbErrando”: The sound of silence

                                           Veruska Armonioso
ROMA
“La mia capanna è nascosta
in una foresta profonda, di anno in
anno sempre più impenetrabile.
Non uno dei rumori del mondo
mi giunge se non, talvolta, il canto
lontano di un boscaiolo.
Quando splende il sole, mi rattoppo
il vestito.
Al chiaro di luna, leggo poesie.
Se mi è consentito un consiglio:
non perdete la vita a correre
dietro a tante inutili cose”
Ryokan

Avevo considerato per anni la mia vita come palco della mia essenza e le mie parole come manifestazione della mia vita, della mia intimità e della mia anima. Il mio percorso, le mie scelte, le mie paure, le mie forze, non provenivano che dal mio esperienziale e da un’eredità trans-generazionale che mi portavo dietro come una sorta di appendice invisibile, un joy stick che  comandava i miei movimenti e le mie azioni. La mia vita era il mio paradigma e la mia mente era la mia maestra. Io potevo comandare con la razionalità ogni passo ed elaborarlo, intimamente guidata dalla saggezza della ragione ed esprimerlo con parole, all’occorrenza ferme e ponderate o vivaci e appassionate. Niente poteva interferire tra me e questo processo di esternazione, io avevo il controllo pieno e completo delle mie emozioni e della mia mente e niente sarebbe andato diversamente da come io avrei progettato per me. Avevo vent’anni.
Poi terminarono relazioni, rapporti di lavoro, famiglie. Cambiai case, uffici, letti, e scoprii le paure e che quello che mi portavo dentro non proveniva solo da me, che non era influenzato solo da me. “Devo aver vissuto altre vite, altrimenti perché tanto spavento? Le esistenze anteriori sono l’unica giustificazione del terrore. Solo gli orientali hanno capito qualcosa dell’anima[…] Espiamo in una sola vita il divenire dell’infinito.” (Cioran, “Lacrime e Santi”).  Questo era quello che Cioran mi aveva suggerito e di cui mi ero lasciata convincere. Così avevo cominciato a pensare che doveva esserci qualcosa al di fuori di me o al di là di me, fosse anche una me antecedente o parallela, che influenzava tutte quelle paure che possedevo e che non avrebbero avuto ragione di essere se fosse dipeso solo dalla me “presente”. 
Negli ultimi anni, però, una nuova paura era entrata a farsi largo. Questa paura, che non rappresentava più terrore verso qualcosa o verso qualcuno, inquietudine di vivere o di morire e nemmeno ansia di perdere qualcosa o qualcuno, era una paura inedita e, quindi, più spaventosa. Io avevo paura di essere derubata e temevo di incontrare sul mio cammino o, peggio ancora, di accogliere nella mia vita, dei ladri.
Era strano per me possedere questa paura, perché il furto era qualcosa di cui non mi ero mai curata molto. Capitava sovente che mi lasciassi derubare di qualcosa e, pur accorgendomene, decidevo di non oppormi. Mi ero accorta che ciò di cui venivo derubata cresceva progressivamente di valore;  dapprima erano cose di poco conto tipo il tempo o favori, poi erano diventate cose sempre più preziose come il sorriso, le notti, fino ad arrivare al sonno, ai sogni e, infine, la speranza. I fantomatici “ladri” avevano sempre più approfittato di questa disponibilità-noncuranza e io li avevo lasciati fare, pensando di essere ricca abbastanza per provvedere, all’occorrenza, alle indigenze altrui e restare, comunque, a pancia piena. Fu, però, quando mi accorsi di non riuscire più a sperare in qualcosa che cominciai ad avere paura: l’indigente, adesso, ero io, a me non era rimasto niente, si erano portati via tutto. Così, costruii una fortezza dentro la quale mi barricai, senza un piano ben preciso, ma con il fermo intento di diventare irraggiungibile e, quindi, non farmi portare via più niente di ciò che mi era rimasto.
Ero ripartita con poco: qualche ambizione, un mezzo bicchiere di entusiasmo e un sacchetto da mezzo chilo di silenzio. Il silenzio era diventata la mia partenza. Con questi presupposti era molto  facile restare da soli, ma non ne soffrivo perché ero disposta a restare senza persone pur di non restare più senza le ultime ricchezze che possedevo. Le parole erano un valore ed erano quanto di più prezioso mi fosse rimasto, così decisi di trattenerle dentro di me e di non usarle se non quando fosse davvero indispensabile. Come diceva Sandor Marai, chi avesse voluto comunicare con me, lo avrebbe potuto fare in un altro modo, in un modo nuovo.  “Si può entrare in contatto con le persone anche senza parlare.[…] c’è un modo di entrare in contatto tra esseri umani più percettivo e affidabile della parola, fatto di sguardi, silenzi, gesti e messaggi ancora più sottili; è il modo in cui un essere umano nel suo intimo risponde al richiamo di un altro, quella silenziosa complicità che nel momento del pericolo dà alla muta domanda una risposta più inequivocabile di qualsiasi confessione o argomentazione, e il cui senso è semplicemente questo: io sono dalla tua parte, anch’io la penso così, condivido la tua preoccupazione, noi due siamo d’accordo…”  (Sandor Marai, “Liberazione”)
Poi, accadde l’imprevedibile, perché “Le anime hanno un loro particolar modo d’intendersi, di  entrare in intimità, fino a darsi del tu, mentre le nostre persone sono tuttavia impacciate nel commercio delle parole comuni, nella schiavitù delle esigenze sociali” . (Luigi Pirandelo, “Il fu Mattia Pascal”)
Qualcuno, zitto come me, cominciava ad affacciarsi e insieme a me restava zitto, cercando nuovi codici e nuovi modi per “entrare in intimità”. Così scoprivo che le mie paure erano anche le paure degli altri, che la paura di essere derubati è la più comune, ma è anche la meno facile da individuare. Che una volta che la scopri, cominci a vedere ladri ovunque. Ma scoprivo anche che se si ha paura di essere derubati, difficilmente si sarà in grado di rubare e, quindi, se si incontra qualcuno che ha paura di essere derubato, facilmente potrà essere un donatore e lo potrai lasciare  entrare. Scoprivo che la mia mente poteva essere la mia maestra, ma che senza le mie paure non avrei imparato niente e che la paura era l’alleata più importante che avessi e che l’avrei sempre dovuta tenere vicino a me.
E così ricominciai a parlare. Perché le parole sono importanti. E ricominciai a parlare a voce alta, perché i suoni devono essere echi. E non ebbi più paura di parlare a tutta la gente, perché le parole, le mie parole, erano mie, anche se qualcun altro se ne fosse appropriato.
Perché se capisci che l’unica cosa che ti serve davvero per vivere non può essere rubata, i ladri non esistono più.
Fu così che mi aprii di nuovo alla vita.
“Avendo vissuto in solitudine e nella più totale indigenza, avendo rifuggito gli onori e gli intrighi della vita mondana, Ryokan divenne il monaco zen più celebre del suo tempo. Le sue calligrafie sono conservate nei musei, le sue poesie fanno parte di tutte le antologie. Ed ecco come gli fu ispirata la sua poesia più famosa.
In una fresca notte d’autunno, Ryokan dormiva sul suo eremo di Goggò-an. Svegliato da una ventata gelida, si accorse che la sua coperta era scomparsa. Alla  luce madreperlacea della lune che rischiarava l’interno della capanna, scoprì che un ladro gli aveva portato via ogni cosa. […] Ryokan aveva capito che il ladro doveva trovarsi in un’indigenza ancora più grande della sua, visto che gli aveva trafugato anche la coperta rappezzata. Ma il Grande Idiota Misericordioso apprezzava sopra ogni cosa il poter contemplare l’astro notturno […] Allora, con un sorriso bonario, improvvisò questo haiku:
“Una cosa il ladro
Non ha potuto rubarmi:
la luna che splende alla mia finestra”  
(Pascal Fauliot, “Racconti dei saggi del Giappone”)

“10 Libri dell’Estate da…Touring Editore”

ROMA – ChronicaLibri ospita oggi i “10 Libri dell’estate da… Touring Editore”. La casa editrice specializzata in guide turistiche ci suggerisce 10 Libri che hanno il sapore delle vacanze.

 


1. L’Italia in camper
Viaggiare leggeri, liberi, senza vincoli e contenendo le spese. 60 itinerari descritti in tutti gli aspetti che sono utili o piacevoli da conoscere per organizzare e godere il viaggio.


2. Viaggiare con cane e gatto
Itinerari, passeggiate, gite e poi spiagge, ristoranti, alberghi che accettano gli animali: per non separarsi mai dal proprio beniamino e vivere insieme anche la parte più divertente dell’anno.


3. Parchi di divertimento
Che siate adulti o bambini, in gruppo o in famiglia, amanti del cinema, dell’avventura, degli animali, delle fiabe, dei giochi, dell’acqua…  qua troverete pane per i vostri denti: dai classici parchi di divertimento a quelli didattici, dai parchi avventura ai giardini botanici, dai parchi acquatici, faunistici e marini ai musei che – sempre più numerosi – si sono attrezzati per coinvolgere i visitatori in attività ludico/didattiche.


4. Guida Blu
Le località e le spiagge più belle d’Italia premiate dalla Goletta Verde di Legambiente: per scegliere con cognizione di causa dove trascorrere le proprie vacanza al mare o sui laghi. Votazioni da 1 a 5 vele per il top assoluto, ma anche tanti altri consigli, descrizioni e dritte.


5. Agriturismo e vacanze in campagna
Gli istituti di ricerca danno le vacanze in agriturismo in ascesa vertiginosa: poco importa che alla base ci sia desiderio di natura, di buona tavola con prodotti del territorio, di relax lontano dalla folla, di accoglienza familiare e – perché no –di risparmio. Se anche voi volete una vacanza rurale senza sorprese, la guida del Touring seleziona e vi descrive 2.000 esercizi in tutta Italia.


6. Italia in moto
30 nuovissimi itinerari per tutti i gusti: strade di montagna emozionanti, tortuosi percorsi collinari, tracciati mozzafiato a strapiombo sul mare, tra borghi arroccati, città d’arte, paesaggi meravigliosi da vivere in piena libertà ma con la sicurezza di indirizzi collaudati (inclusi Motorhotel e Bikershotel), informazioni su ciò che offrono i territori, carte stradali per la borsa da serbatoio.


7. Viaggiare a piedi
Dedicato a chi vuol scoprire il gesto del camminare, liberandosi dallo stress, assaporando i paesaggi, riscoprendo quel fantastico motore che è il corpo umano. In questo manuale tutto ciò che serve sapere per prepararsi sia mentalmente che fisicamente, per attrezzarsi in modo adeguato alle diverse stagioni e condizioni ambientali, per imparare ad orientarsi e a gestire eventuali emergenze.


8. Turismo responsabile
Agile ma completo, il libro racconta storia, principi, curiosità, Carte e Dichiarazioni del turismo responsabile, offrendo spunti di riflessione sui temi più dibattuti, indicazioni sui comportamenti da tenere  e indirizzi utili per praticare il turismo responsabile: per viaggiare cioè rispettando  l’ambiente, il patrimonio storico e artistico, le culture dei luoghi e dei popoli, gli interessi delle comunità locali. Senza rinunciare a divertimento e relax. Molte le proposte di viaggio, dalle destinazioni più classiche nel Sud del Mondo a itinerari per ri-scoprire il Bel Paese fino a mete e viaggi inaspettati.


9. Week-end nella natura
45 itinerari costruiti a partire da 52 tra Oasi WWF e Fattorie del Panda presenti in tutta Italia, con stimoli e suggerimenti di visita anche al territorio circostante: musei e borghi storici, escursioni in bicicletta e gite in battello, centri minori e contesti rurali, specialità enogastronomiche, prodotti tipici, artigianato e eccellenze artistiche.


10. Il cammino di Santiago
Firmato dal grande “camminatore” Fabrizio Ardito,  uno splendido volume fotografico ricco anche di indicazioni pratiche.Dai luoghi principali quali Roncisvalle, Pamplona, Burgos, Leòn alle lunghe tappe con il susseguirsi di campi arati e ampie mesetas, boschi e borghi isolati, cieli immensi d’azzurro o neri di nuvole, fino alla meta, Santiago con il suo santuario. Un “libro dei ricordi” da sfogliare con amore, per chi c’è stato e vuole aggiungere ricordo a ricordo, e per chi non c’è stato ma vuole averlo nel cuore.

“Gigin Zucchina e i cavoli a merenda”

ROMA – Nel tranquillo paese di Cipollonia le verdure vivono rilassate al sole. Zucchine, carote, basilico e pomodori si divertono e crescono fragranti fino a quando, un giorno, sparisce la Zucca Zuccolina. Chiara Patarino crea i protagonisti di “Gigin Zucchina e i cavoli a merenda” e ambienta la sua storia in un orto fatato, dove le verdure si divertono e si presentano in modo simpatico ai bambini. Pubblicato nella collana Il gusto in tasca della Carthusia Edizioni, il libro, con le illustrazioni di Elena Prette, racconta la storia di Gigin Zucchina e dei suoi amici, Patatina Patatuk e Basil Teo.

 

Ma un giorno, la cugina di Gigin Zucchina sparisce; dove sarà finita la Zucca Zuccolina? Sarà stata rapita o si sarà smarrita nell’Orto delle Verdure Scolorite? Allora tutte le simpatiche verdure di Cipollonia attraversano gli Orti Verze&Company per arrivare al Castello delle Zucchine in Fiore, ma dovranno affrontare il temibile mago.

“10 Libri dell’Estate da Editore… Giuntina”

ROMA – Dopo il successo della scorsa estate, ChronicaLibri apre nuovamente le porte agli editori per un’estate tutta da leggere. ChronicaLibri è letture, recensioni e interviste. ChronicaLibri è un punto di vista sulla letteratura  e sul mondo editoriale, un posto privilegiato dal quale parlare di libri e per i libri con i lettori, gli scrittori e le case editrici. Proprio a quest’ultime, il nostro giornale vuole offrire una vetrina per “suggerire” ai lettori quali libri portare in vacanza.

 

 

Cominciamo oggi con i suggerimenti de La Giuntina, la casa editrice fiorentina nata nel 1980.

1. 1948 di Yoram Kaniuk
2. Il ghetto di Varsavia lotta di Erek Edelman
3. Il Fantasma del ghetto di Jacquot Grunewald
4. Il terzo Testamento di Luigi Spagnolo
5. L’Affaire Dreyfus di Emilie Zola
6. Salta, corri, canta! di Lizzie Doron
7. La foto sulla spiaggia di Roberto Riccardi
8. Le sante dello scandalo di Erri De Luca
9. Stazioni intermedie di Vladimir Vertlib
10. L’Ebreo errante di Elie Wiesel

 

“Arabesk”, avventure nel Medioevo

Giulia Siena
ROMA
– Arabesk non è solo un cavallo. Arabesk è un destriero coraggioso, elegante, nobile e simpatico. Arabesk è anche il migliore amico di Ella e con lei ha un rapporto speciale. Siamo nel Medioevo e Ella è una bambina di 9 anni intelligente e curiosa; purtroppo, però, Ella ha perso i genitori e vive con la balia Marta e il suo destriero Arabesk. La bambina e il suo cavallo sono i protagonisti di “Arabesk”della nuova saga nata dalla penna di Knister per Edizioni Sonda. Dopo il successo di “Maga Martina”, lo scrittore Ludger Jochmann noto con il curioso pseudonimo di Knister (in tedesco significa “spumeggiante”)  torna ad allietare i giovani lettori con una storia affascinante e singolare, un racconto appassionato e coinvolgente

Ella deve abbandonare Marta e andare a servizio come cameriera dal bislacco cavaliere Rochus di Bacon Wind. Tra pulizie e le tante sorprese della nuova vita, Ella si ritroverà a realizzare un sogno: quello di partecipare in un torneo con il suo fidato Arabesk. Il torneo, indetto dal perfido principe di Pinkerton, è pieno di insidie per la bambina travestita da scudiero, ma Ella, sarà aiutata da Arabesk e da Urs, un giovane monaco esperto di arti marziali con cui condivide un segreto.

Il racconto è completato con inserti extra per conoscere il mondo del Medioevo: un corso di latino medievale per bambini; una ricetta cavalleresca e la mappa del principato di Pinkerton.

VerbErrando: C.C.C.P.

Veruska Armonioso
ROMA
– “L’Unione Sovietica non è stata solo un Paese, è stata molto di più. E’ stata il più grande progetto utopico della modernità Un Paese in grado di meravigliarti, di affascinarti con un fascino che lascia tracce e ferite profonde.”

C.C.C.P. Сою́з Сове́тских Социалисти́ческих Респу́блик o in italiano U.R.S.S., Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche: un mondo scomparso. Un mondo che non esiste più, per il quale “Non ci sono più treni, né aerei, né strade […]”. “Come direbbe la prima intelighezia rivoluzionaria degli anni successivia al 1918, in URSS non era l’arte a imitare la vita, era la vita che doveva farsi arte. Lì abbiamo interpretato tutti la più grandiosa partitura politica del XX secolo, scandita da slanci eroici, sforzi disumani, tragedie sconvolgenti, vittorie e sconfitte sanguinose.” Quello che cerca di fare Ernu è creare “un’archelogia soggettiva, personale, che intende suggerire tracce, stati d’animo, modi di pensare e di parlare tipici di una cultura, infine shizzare un quadro della mentalità culturale sovietica.” In “Nato in Urss” Ernu ci fa vivere l’avventura sovietica declinata per i diversi scompartimenti del vivere quotidiano, a partire dalla scuola, per passare alla musica, al bere, al sesso, fino ad arrivare alla pubblicità, alla propaganda, alla politica, alle “regole” del vivere comune. Dedica, poi, un capitolo a parte a “l’avventura sovietica degli oggetti”, a seguito di una conversazione con la critica e storica Ekaterina Degot:

“L’uomo nuovo doveva relazionarsi in maniera diversa sia con il mondo, che con gli oggetti della vita quotidiana. Era giunta l’ora di fondare un nuovo sistema per la produzione degli oggetti, ma anche per il loro impiego. Il modello che ispirava il nuovo modo di agire era già noto “Colui che produce è padrone, colui che consuma è schiavo.” Era tempo di produrre oggetti che non avessero uno scopo e un valore commerciale, ma che raprresentassero i valori della classe operaia, del lavoro e della fratellanza umana.” A dare il via a questo movimento furono Rodčenko e Majakovskij… e  con il nostro  vecchio amico Vladimir non posso non pensare alla letteratura di quegli anni, che Ernu non approfondisce nel suo fantasmagorico viaggio nelle memorie, ma che noi faremo qui, in breve.

Le cose stavano così: in URSS, negli anni trenta, gli scrittori servivano per esaltare i meriti e le vittorie del regime e per essere di sostegno alla propaganda politica ufficiale. Il commissario politico Andrej Aleksandrovič Ždanov si occupava di coordinare l’Unione degli scrittori, la vita letteraria e di orientare i temi da trattare. Questa corrente si chiamava realismo socialista e non dava molto scampo, o facevi così, come dicevano loro, oppure andavi in esilio. Nei casi più estremi potevi anche essere incolpato di cospirazione e cadere vittima delle “purghe staliniane”, morendo in un campo di prigionia come Mandel’štam, o giustiziato come Gumilëv.
“Ma per tutto ciò che ho avuto e ancora voglio avere
per tutti i miei dolori, e le gioie, e le follie,
come tocca a ogni uomo pagherò
con la morte finale e irrevocabile”
(Nikolaj Stepanovič Gumilëv, Il tram smarrito)

 

In quegli anni ci furono moltissimi scrittori che si “dedicarono” al realismo socialista. Più o meno ci provarono tutti, eccetto alcuni.  Gli “alcuni” sono quelli che  scrissero  la storia di questo mondo, che “si è fatta” non solo grazie alle restrizioni, ma anche (soprattutto) alle reazioni a quelle restrizioni. Una zip che, per salire su, ha bisogno di un doppio binario, a incastro, uno l’opposto dell’altro. Così, da una parte c’era il realismo socialista con uno strepitoso Gor’kij che passò tutta la sua vita a scrivere per la lotta contro la miseria, l’ignoranza e la tirannia e dall’altra loro, gli outsider, divisi in categorie, in rappresentanza delle quali, i membri a me più cari vi vengo a raccontare.
I Clandestini
Tutti i romanzieri che proseguirono in clandestinità la loro attività, senza uscire allo scoperto, senza pubblicare, per evitare censure o, nei casi peggiori, la morte. Tra loro il mio amore, Isaak Babel, che divenne scrittore proprio grazie all’incontro provvidenziale con Maksim Gor’kij, scrittore e drammaturgo russo considerato il padre della letteratura del realismo sovietico. Tra loro fu uno di quegli incontri che cambiano il corso della tua vita in modo ineludibile. Giornalista, traduttore, Babel vide l’inizio del compimento del suo ‘destino’ da clandestino quando pubblicò su LEF (“ЛЕФ”), la famosa rivista di  Majakovskij, alcune pagine tratte dal suo romanzo “L’armata a cavallo”  in cui descriveva con una brutalità feroce la guerra. Già quelle pagine vennero considerate “sovversive” dalle alte cariche, ma grazie all’intercessione dell’amico Gorky l’ordine fu ristabilito (ordine che durò ben poco). Nel 1930 venne a contatto con la crudeltà della collettivizzazione sovietica e con le sempre più incalzanti restrizioni del realismo sovietico staliniano,  decise così di ritirarsi dalla vita pubblica. Venne accusato di essere un ‘esteta poco produttivo’ e lui si difese asserendo di essere semplicemente il maestro di un nuovo movimento letterario, il genere del silenzio.

“Non c’è ferro che possa trafiggere il cuore con più forza
di un punto messo al posto giusto”.

Il suo punto fu messo il 17 marzo 1941, in un campo di prigionia a Butyrka dove era stato  rinchiuso l’anno prima con l’accusa di spionaggio.
Autori nel Samizdat
Per Samizdat si  intendeva la letteratura “edita in proprio” che si sviluppò tra gli anni cinquanta e gli anni settanta, sviluppatasi in Unione Sovietica e nei paesi soggetti al suo controllo, per diffondere scritti illegali censurati dal regime. Il meccanismo consisteva nell’utilizzo della vecchia carta carbone per copiare gli scritti e nella loro distribuzione tra gli amici che, a loro volta, si occupavano, in caso di gradimento, della divulgazione degli scritti tra i loro amici e così via. Una sorta di multilevel, una diffusione a macchia d’olio che presto fu riconosciuta come tremendamente pericolosa e bloccata con una repressione fortissima sfociata in processi, carceri, ma anche internazioni in ospedali psichiatrici, chiusure nei lager, espulsioni dal paese, uccisioni.
“ E non aspettavamo una vittoria, non ci poteva essere la minima speranza di vittoria. Ma ognuno voleva avere il diritto di dire ai propri figli: Io ho fatto tutto quello che ho potuto.”
(Vladimir Konstantinovič Bukovskij, Il vento va e poi ritorna)

 

OBERIU
“Chi siamo? E perché noi? Noi, oberiuti, siamo onesti lavoratori della nostra arte. Noi siamo i poeti di una nuova idea di mondo e di una nuova arte. Noi siamo i creatori non soltanto di una nuova lingua poetica, ma anche i fondatori di un nuovo modo di percepire la vita e i suoi oggetti. La nostra volontà di creare è universale: essa scavalca tutti i tipi di arte, irrompe nella vita, accerchiandola da ogni lato. E il mondo, sbavato dalle lingue di un gran numero di stupidi, invischiato nel fango delle “impressioni” e delle “emozioni”, ora rinasce in tutta la sua purezza delle sue concrete forme [artisitche]”.
(Oberiu, il manifesto)
Un collettivo anarchico, composto da artisti futuristi, soppresso con una velocità tale da non permettere agli scritti di emergere se non a trent’anni di distanza della sua nascita-morte e di avere un manifesto disponibile al mondo da pochi decenni e in italiano da pochissimi anni (disponibile in rete e di cui vi segnalo il link per visionare alcune pagine www.esamizdat.it/rivista/2007/1-2/pdf/temi_trad_manifesto_eS_2007_(V)_1-2.pdf)
Fondato nel 1928 da  Daniil Kharms e Alexander Vvedensky, divenne un movimento famoso  per le performance di forte impatto dei suoi artisti, in giro per i dormitori delle università e per le prigioni. Il suo declino, dopo il 1931 con le purghe staliniane, vide la fine dell’ultima avanguardia russa.
I suicidi
E infine loro, coloro che si tolsero la vita per non sottostare al realismo socialista.Troppo facile parlare di Vladimir Majakovskij, ancora. Allora lascerò rappresentare questa categoria a Marina Ivanovna Cvetaeva, che da Majakvskij imparò a fare poesia, ma da cui poi si distaccò per prendere la sua strada. Di lei, come di tutti gli artisti che si tolgono la vita, resta il mito di non aver accettato restrizioni e condizioni, quando costrizioni e restrizioni volevano dire rinunciare a sé, ai propri valori, alla propria identità alla propria arte. Di lei, come di tutte le persone che non hanno paura di morire per un ideale, rimangono delle memorie, più o meno conosciute, parole sbiadite, confronti con predecessori e successori, ma niente di più. Di lei, oggi, voglio farne una bandiera degli artisti sovietici morti per la patria. I fantasmi di un mondo che tra poche decine di anni sarà solo mito, eco lontana, suggestione. Di lei, le sue parole:

 

“Semplice e raffinata,
Un incanto sarai —
e straniera a tutti.

Un’ammaliante amazzone,
Un’impetuosa dama.
E porterai magari
Come un elmo i tuoi riccioli,
Regina del ballo —
E di tutti i giovani poemi.

Molti trafiggerà, regina,
Il tuo stocco beffardo,
E tutto ciò che io sogno
Tu l’avrai ai tuoi piedi.
Tutto ti obbedirà,
Davanti a te — tutti zitti.
Come me scriverai — questo è sicuro —
Versi anche più belli…
Ma chissà se dovrai
Stringer le tempie a morte,
Come in questo momentoLa tua giovane mamma.”


Che questo viaggio nei rintracciamenti di un passato recente, ma già sommerso, sia solo lo spunto per andare a grattare più a fondo. Per non dimenticare, per non disimparare, per non cancellare.
“Leggete, invidiate.
Io sono un cittadino dell’Unione Sovietica”Vladimir Majakovsij

 

 

Oli d’Italia 2012: dal Gambero Rosso la seconda edizione

ROMA – La Guida Oli d’Italia del Gambero Rosso arriva alla seconda edizione e quest’anno parla del tappo anti frode per tutelare la qualità. 300 aziende recensite, 138 oli premiati e 10 premi speciali. Questi sono solo alcuni dei numeri della Guida Oli d’Italia 2012 del Gambero Rosso, un vademecum completo per accompagnare il consumatore nella scelta dell’etichetta giusta e per dare ai produttori il giusto riconoscimento per il proprio impegno. Realizzata con la collaborazione di Unaprol e il sostegno del Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali, la guida Oli d’Italia è un viaggio nell’Italia dell’extravergine eccellente.
Ma per fare qualità è essenziale che ogni comparto della filiera sia garantito e senza frodi. Per questo, all’interno dell’evento alla Città del Gusto di Roma, la Guala Closures ha presentato la chiusura di sicurezza per tutelare la qualità. “Per avere la certezza che nella bottiglia ci sia proprio quel prodotto indicato in etichetta è fodamentale che la bottiglia abbia un tappo anti rabbocco – ha dichiarato Stefano Polacchi, curatore della Guida Oli d’Italia 2012 – Per questo nella nostra guida abbiamo voluto segnalare in modo speciale le “Bottiglie sicure”, ovvero quelle di vetro scuro e con il tappo anti rabbocco”.
Quest’anno la qualità è aumentata e i numeri parlano chiaro: sono raddoppiate, infatti, le segnalazioni dei migliori luoghi dove mangiare, dormire e comprare nelle vicinanze per ogni regione. Segno, questo, di un bisogno comune, da parte dei consumatori, di conoscere e di voler apprezzare l’intera filiera produttiva dell’olio extravergine di oliva. E la qualità è a livelli altissimi, come confermano i premi andati a Toscana (prima regione con 22 Tre Foglie), Sicilia (18), Lazio e Umbria (17) e Puglia (15). Dieci i premi speciali attribuiti al Miglior Fruttato leggero  – Lorenzo n.3 dell’azienda Barbera & Figli di Palermo – Miglior Fruttato Medio – assegnato al Diesis DOP Colline Salernitane dell’azienda Torretta di Battipaglia e all’Olio Extravergine di Oliva dell’azienda Trappeto di Caprafico di Casoli e il Miglior Fruttato Intenso assegnato al Monocultivar Raggiolo della Fattoria di Felsina della provincia di Siena.

“La pesciolina innamorata” e la stagione delle letture

ROMA – Con la fine della scuola comincia la stagione delle tante letture di svago. In estate la letteratura per ragazzi propone molte novità: dagli albi illustrati ai romanzi, passando per i racconti, le favole e i classici. Tra le tante novità di questa stagione c’è sicuramente “La pesciolina innamorata”, il libro di Vivian Lamarque pubblicato da Emme Edizioni.

La prima volta che la pesciolina lo vide, lui era in un sacchetto di plastica. E anche lei era in un sacchetto di plastica. Poi finirono nell’acqua fredda di due bocce di vetro, separati per sempre. Erano tristi, e non restava loro altro che sognare. Sognare di stare insieme in un’unica boccia di vetro.Una poetica storia d’amore raccontata da Vivian Lamarque e illustrata da Sophie Fatus.

ChrL intervista Roberto Riccardi, autore de “La foto sulla spiaggia”

ROMA – Quando leggi un libro ti chiedi spesso – quasi sempre – come quel libro sia nato, a quali storie si sia ispirato, se sia stato frutto di immaginazione, studio o coincidenze. Molte volte, leggendo un buon libro, il lettore diventa curioso: vuole (pretende quasi) conoscere lo scrittore, capire come sia arrivato a dare vita a un romanzo. Con “La foto sulla spiaggia” le domande, per il lettore, si moltiplicano; perché dietro al libro pubblicato da Giuntina c’è un uomo che è scrittore, giornalista e colonnello dei Carabinieri. Allora la curiosità aumenta: perché Roberto Riccardi sceglie la foto di una bambina ebrea per costruire un grande romanzo storico? Io, da lettrice-giornalista curiosa, ho voluto intervistarlo.

Dopo “Sono stato un numero. Alberto Sed racconta” Roberto Riccardi torna sulla tematica della Shoah; come mai questa scelta?
I motivi sono tanti. Il primo è che, dopo aver conosciuto Sed, la Shoah è diventata una parte importante di me. Conoscere un ex deportato fa una bella differenza rispetto allo studio della Storia: ti cambia la vita. A me è successo, almeno. Da allora leggo tutto ciò che riguarda i lager, guardo i film, seguo i dibattiti, approfondisco. Dunque per me è stato naturale tornare sull’argomento e ho scelto di farlo con la narrativa. In una vicenda di fantasia possiamo mettere più facilmente noi stessi, era ciò che volevo fare.

Lei ha dichiarato che “il libro “La foto sulla spiaggia” è un cerchio che si chiude”. Ci spiega il perché?
Perché, quando volevo scrivere il mio primo libro, cioè la biografia di Sed, mi sono rivolto alla casa editrice Giuntina, specializzata sul tema, e ho conosciuto Daniel Vogelmann, il fondatore e direttore editoriale. Lui mi ha raccontato della sua sorellina mancata, Sissel, morta ad Auschwitz a otto anni. Il romanzo è dedicato a lei, parla della vita che Sissel poteva vivere ma le è stata negata.
“A cosa era servito percorrere tanta strada per andare a morire in un lager infame?” Secondo Lei, a settant’anni di distanza, ci si pone ancora questa domanda oppure ora si comincia a dimenticare?
Dimenticare Auschwitz è impossibile, per chi ha avuto la disgrazia di entrarci. Ognuno di loro ha ferite che non si possono rimarginare. Il 27 gennaio si celebra il Giorno della Memoria per ricordare quando, nel 1945, i cancelli del lager furono aperti e i pochi prigionieri rimasti, fra cui Primo Levi, tornarono liberi. Purtroppo quell’evento non ha potuto rendere la libertà alle coscienze, ai cuori, alle menti dei sopravvissuti. La stessa tragica fine di Levi, quarantadue anni dopo quel giorno, lo dimostra.
Il romanzo procede seguendo due storie parallele e da più punti di vista. Quanto conta l’intreccio narrativo in un libro?
Conta tanto, senza quello non c’è il libro, se l’intreccio non funziona il lettore va via a pagina 20. Utilizzare più punti di vista, più livelli di narrazione, è una tecnica molto diffusa nella letteratura contemporanea. Deriva dalla forte contaminazione fra le storie e le loro trasposizioni sullo schermo, tipica del nostro tempo. Mi sembra che questo funzioni, che piaccia.
Da scrittore quali sono le 3 parole che preferisce?
Il sogno di chi scrive (definirmi scrittore mi sembra eccessivo) è raggiungere la “magia delle parole”: quella che permette, con gli stessi vocaboli che tutti usiamo ogni giorno, di creare qualcosa che vada più lontano. Il valore aggiunto dell’arte. Così, tutte le parole sono importanti. Ma se devo scegliere, le mie tre sono: vita, amore, destino.

“La foto sulla spiaggia” e l’immortalità della Storia

Giulia Siena
ROMA
“Sara adesso era lì. Tutta la sua vita era lì, davanti a una porta chiusa. Sulle labbra una preghiera, nel cuore l’ansia e la speranza, due pulsioni che spesso si accompagnavano. Aspettando che qualcuno le aprisse, ogni istante divenne per lei interminabile”.


Parte da lontano Roberto Riccardi per raccontare “La foto sulla spiaggia”, il suo ultimo romanzo pubblicato da Giuntina. Parte da una foto, quella Sissel Vogelmann, scattata su una spiaggia molti anni prima. Dallo sguardo della bambina di otto anni che il 30 gennaio 1944 partì dalla stazione di Milano per arrivare ad Auschwitz, prende spunto questo nuovo e avvincente romanzo. Riccardi comincia il suo racconto su due binari paralleli e distanti: Bari e Auschwitz, due mondi e momenti diversi. Bari, anni Cinquanta: qui si incontrano e crescono insieme Alba e Nicola tra la voglia di ricominciare e la quiete del mare. Nonostante siano così diversi, i due giovani si sentono vicini, uniti da un legame che è amicizia e complicità. Alba è una ragazza di ottima famiglia e il suo affetto per Nicola, il nipote della “serva”, è strano, quasi impossibile agli occhi dei suoi amici. Ma Alba sta cambiando, tutto quello che la circonda sembra che non le appartenga, una vitauna alternativa alla sua vera vita. Simone è ad Auschwitz, aspettando di sapere quando morirà. Simone vorrebbe rivedere sua moglie e la loro piccola Sara. Il pensiero di aver perso la sua bambina rende le giornate in quell’inferno uno strazio costante.

Ma perché Alba e Simone, due voci lontane anche negli anni? Le loro storie parallele e concomitanti forse, tra le pagine, dovranno incontrarsi.

Roberto Riccardi costruisce un romanzo delicato, coinvolgente e ricco. Un romanzo storico pertinente con i fatti e denso di emozioni.

“Era una sensazione frustrante, come mettersi i vestiti di sempre e ritrovarseli addosso alla rovescia”.