Festivaletteratura di Mantova, edizione 2011 all’insegna della partecipazione

MANTOVA – Sarà un’edizione segnata  dall’idea di “riprendere la piazza”, dall’orientamento a vivere fino in fondo potenzialità e possibilità offerte dal contesto urbano, ambito ricco di attori, risorse, opportunità, sempre da integrare, sempre da cogliere secondo nuove logiche progettuali, inedite politiche culturali: torna Festivaletteratura – dal 7 all’11 settembre – e la quindicesima edizione punta forte sulla città come centro di relazione e di scambio.

I lettori che arriveranno a Mantova per condividere idee, libri, passioni, avranno a disposizione oltre quaranta luoghi “ufficiali” per poterlo fare: è un record per Festivaletteratura. E, nella scelta,  più che l’esibizione di un patrimonio storico-artistico c’è la voglia di mostrare tutte le opportunità, le situazioni, le problematiche, le risorse che lo spazio della città può offrire nel momento in cui si torna a viverlo secondo la sua autentica vocazione: quella di luogo della socialità e dell’incontro. L’accento si sposta dunque sulla partecipazione: se il pubblico al Festival è sempre stato più protagonista che spettatore, chiamato a costruirsi un percorso più che ad assistere, in questa edizione sarà chiamato anche a pratiche originali, ad un metodo alternativo per fruire e attivare spazi e incontri secondo logiche non  abituali o consolidate.
Sono molti, quest’anno, gli eventi del festival che nascono seguendo la storia di un palazzo, di un monumento o assecondando la funzione di un negozio o di un’area dedicata allo svago o, ancora, che restituiscono nuova vita a spazi abbandonati.

“Brutti caratteri. Persone proprio così”. Storie e profili di personaggi dal carattere un po’difficile

Alessia Sità
ROMA – Se pensate di avere un brutto carattere consolatevi, non siete i soli. Riuscire ad avere un buon rapporto con le persone che ci circondano, a casa, a lavoro, in giro, non è semplice né tantomeno una cosa facile.
Per imparare a comprendere noi stessi e soprattutto gli altri, Paola Gelsomino ci offre un valido spunto di riflessione in “Brutti caratteri. Persone proprio così” edito nel 2011 dalle Edizioni Pendragon.

Attraverso una serie di racconti, l’autrice, nonché esperta di comunicazione interpersonale e sociale, mette in evidenza la diversità dei comportamenti umani analizzandoli in diverse situazioni della vita. In ogni storia emerge un particolare che spinge il lettore ad un’attenta autoanalisi di sé e dei singoli individui.

Inevitabilmente ci si ritrova ad interrogarsi sulla propria condizione esistenziale e sulle persone che fanno parte della nostra vita. Reale, sconvolgente e senza intenti moralistici, questo libro vi farà capire quanto sia importante non farsi accecare da sentimenti come rabbia, rancore, lussuria.
Con “Brutti caratteri” Paola Gelsomino mette a disposizione la propria personale esperienza professionale, delineando accuratamente il profilo di numerosi personaggi: violenti, ipocondriaci, insicuri, malati.
Se desiderate misurarvi con il vostro ‘lato oscuro’ o con la vostra fragilità non perdetevi quest’occasione, scoprirete che non sempre avere un brutto carattere è poi così utile per farsi valere o per difendere ciò che vi appartiene.

"La storia d’Italia in 200 vignette": poche parole e tanto grottesco per un’Italia che pare non crescere mai.

Giulio Gasperini
ROMA

Si principia con Romolo e Remo abbandonati dagli uomini e si termina con un’amara confessione: “– Io sono onesto. – Non si preoccupi, vedrà che ci sarà un’amnistia”. Tra questi due momenti – alfa e omega – si ride (sempre a denti stretti) e si riflette sulla lunga e corposa storia della nostra penisola. Il grande vignettista e giornalista Giovanni Mosca ha raccolto, in questo “La storia d’Italia in 200 vignette” (edito da BUR nel 1975) tutti i vizi e le virtù del popolo italico, folgorando momenti storici e personaggi nella loro limitata attualità, ma offrendo a loro (e a noi) la possibilità di superare questi limiti imposti e di offrirsi quasi come una sorta di exemplum: in ogni vignetta siamo ammoniti noi, abitanti di un’Italia diversa e futura, perché vale sempre lo stesso principio, incrollabile e inconfutabile, che se si comincia a ignorare il passato non si potrà evitare un suo ritorno.
Giovanni Mosca sceglie la vignetta, come strumento, come vettore di analisi storica e contemporanea. Perché le vignette sono appunto dei flash, dei condensati sapienti di linee e di parole (poche, in verità, ma tutte funzionali e nessuna inerte, inutile). Sono dei prodotti che, per loro stessa definizione e ancoraggio col presente, durano il tempo di un mattino, d’una lettura di giornale.
O meglio, quasi tutte. Perché queste di Giovanni Mosca hanno la grande proprietà di non limitarsi, claustrofobicamente, a una dimensione troppo ridotta del loro messaggio, ma di potenziarsi attraverso un aggancio a una dimensione sovratemporale, senza (quasi) mai però scadere nell’anacronismo o nel “fuori luogo”. Qualche passo falso, in realtà, c’è: come, ad esempio, nella vignetta di Giacomo Casanova, dove la prospettiva diventa persino un po’ razzista e omofobica. Però, per il resto, l’andamento è abbastanza spumeggiante, intelligente e finanche sorprendente: non si ride mai a bocca spalancata, a polmoni spiegati, ma si rimane sempre con quel gusto amaro in bocca che dovrebbe servire a valutare la situazione, e a adoperarsi per convertire le mancanze in potenzialità, e gli aspetti negativi in aspetti finalmente estinti.

Da Il cavallo fatto senatore da Caligola a La battaglia di Calatafimi, da Le crociate al 25 aprile, da Aldo Manuzio a Montecassino si analizza (e un po’ si piange) un’Italia che, grottescamente, diventa sempre più vecchia ma pare non crescere mai.

La Roma di mio padre: viaggio emotivo nella città eterna


Agnese Cerroni

ROMA – Può un padre lasciare un segno così indelebile da indurre suo figlio a seguirne il solco per tutta la vita? Questa la domanda che si pone Fernando Alcitelli in Sulla strada del padre (Cavallo di ferro editore)


Spinto dal ricordo intenso del genitore, il figlio ci porta con sé in un emotivo viaggio a piedi attraverso le strade di Roma, partendo dai resti della città antica per arrivare fino alla periferia sud (quella dove con il padre ha condiviso l’amore per il calcio e i racconti della guerra), passando per i quartieri che hanno da raccontare qualcosa sul suo passato. Il figlio attraversa rioni e strade seguendo la scia della memoria, rievocando nella mente le parole paterne, come a ricostruire il dialogo di un tempo. Gli sembra di leggere quelle parole sui muri e sui monumenti della città, anche dove tutto è cambiato e l’immagine nel la mente è lontana.
Roma diventa allora non solo il museo al l’aperto della storia collettiva, ma anche il museo di una storia individuale, l’affresco dei frammenti della giovinezza pa ter na «donata alle armi» e devastata dalla guerra, dalla pri gionia nel campo di concentramento. Con il suo nitore poetico, na to per restituire il sublime delle cose semplici, Fernando Acitelli ha raccontato un viaggio nella Roma presente che si fonde con le immagini ricordate e fotografate della Roma post-bellica, ma che è an che e so prattutto un pellegrinaggio alla ricerca del padre.

"Patologie"- male di vivere nella poesia della Maremma

Marianna Abbate
ROMA Lo conosco troppo bene questo poeta per essere veramente oggettiva. E’ mio amico. 
Lo conoscono, seppure forse un po’ meno, anche i più affezionati lettori di ChronicaLibri: è l’autore più proficuo della nostra rubrica vintage. 

Il suo libro ce l’ho da mesi. E da mesi non ho il coraggio di recensire le sue parole, pubblicate nella collana Nuovi talenti della casa editrice Dreams Entertainment. 
Pertanto, pur di ritardare il fatidico momento, spenderò qualche riga nel raccontarvi di lui.
Giulio è un poeta. Per questo motivo è veramente insopportabile-lunatico e folle. Perennemente sofferente, di qualche “patologia” ormai cronica e decisamente inguaribile. Eppoi è un ragazzo intelligente, solare e di nuovo completamente folle, che lo rende una delle persone più belle che io conosca.
Ebbene sì, il poeta lo sopporto poco, anche per questo temevo di leggere le sue poesie. E soprattutto temevo di recensire questo volume. 
Ma poi mi basta leggere la dedica in prima pagina, per sorridere e lacrimare. C’è scritto: perché ti adoro. Sappiate che non è del tutto vero (certe volte penso che gli smiley entreranno a forza nei miei articoli, perché in questo punto ci sta veramente benissimo una linguaccia), e che a volte mi odia anche lui. Come diceva Catullo: odi et amo.
Ma torniamo a noi. Il libro si presenta bianco e fino, provvisto di immagini, i dipinti di Paolo Cimoni, compaesano caldanese dell’autore.
E poi ci sono le poesie. 
Tra le prime una dedicata alla sua terra, Caldana, una cittadina medievale della provincia di Grosseto. La poesia profuma.
Poi una dedica a Sandro Penna, con una speranza che non c’è mai stata fuori dalle sue righe. 
E poi c’è della poesia aggressiva, delle righe volgari e altre malinconiche. Alcune parlano d’amore, e forse neanche lo sanno.
Ci sono persino delle rime, e qualcosa che assomiglia alla Szymborska nell’immagine di una coppia presa da un cellulare in un bar.
Ma quello che mi è piaciuto di più è l’enjambement precipitoso, che spezza il senso e il tono così in linea con il tema in “Io goccio”, e che distrugge ogni equilibrio nella poesia che inizia con le parole “Piove l’ultimo autunno…”. Un senso di precarietà che ricorda molto la poesia che Ungaretti dedicò ai soldati.
I brani migliori sono quelli che rasentano la prosa poetica, in un linguaggio colto, musicale, ma accessibile. 


Solitudine
Sto solo – 
appoggiato a un precipizio
di suono.

"L’estate che uno diventa grande"

ROMA – “Non riuscii nemmeno a rispondere qualcosa di vagamente intelligente. Ero rimasto folgorato. Altro che cozza, altro che sfigata! Avevo davanti a me una sventola come poche. E sembrava pure simpatica…”. L’estate è vicina e Saverio, protagonista di “L’estate che uno diventa grande” di Francesca Capelli (Sinnos), ha ricevuto dal padre una proposta speciale: un mese intero da trascorrere con lui in Argentina, dove deve recarsi per impegni di lavoro. Saverio accetta anche se non gli sembra una proposta così allettante.
Eppure quella diventerà “l’estate più importante della sua vita”: perché l’incontro con Rosana e con le Abuelas de Plaza de Mayo – con le loro storie di sofferenza ma anche di amore e speranza per il futuro – darà a Saverio, nonostante tutto, uno sguardo nuovo e una consapevolezza diversa della propria vita.
Un romanzo coinvolgente, con un sorprendente intreccio di storie e tempi: perché da un passato doloroso può nascere un presente diverso.

Dylan Dog tocca quota 300 !!!

Stefano Billi
Roma – In un lontano e desolato futuro, qualcuno sta scrivendo l’ultima avventura dell’Indagatore dell’Incubo. Una storia che comincia molto, molto lontano, in un passato nel quale il nostro era solo un bambino felice, ignaro di ciò che il destino aveva in serbo per lui.
Da un’altra parte, in un altro tempo, intanto, l’inquilino di Craven Road decide che è giunto il momento di partire per un viaggio che lo riporterà là dove tutto ha avuto inizio, durante una terrificante “alba dei morti viventi”…



Ecco la trama del trecentesimo albo di Dylan Dog, ormai storico protagonista dell’italianissima casa editrice Sergio Bonelli Editore.

Per tutti gli appassionati del celeberrimo indagatore dell’incubo, l’appuntamento dall’edicolante di fiducia è fissato per Sabato 27 Agosto, con “Ritratto di famiglia”, una storia a colori dalla trama avvincente, come pochi altri fumetti sanno offrire.

Non dite che poi che questa non è un’estate da urlo!

Giuliana Lomazzi presenta squisite ricette "gluten – free"

Stefano Billi

Roma – Spesso si pensa erroneamente che i celiaci e gli intolleranti al glutine non possano mangiare bene o che comunque la loro alimentazione sia monotona e priva di piatti gustosi.
Il concetto del dover seguire una dieta priva di glutine viene infatti associato alla sua accezione più negativa, ma non è vero che il celiaco non può mangiare nulla e soprattutto nulla di buono!
Spesso bastano poche attenzioni per intrecciare indissolubilmente cucina sana e cucina saporita.
Il glutine è una proteina contenuta nel grano e in altri cereali e chi non la tollera deve necessariamente eliminarla dalla dieta.
Ma quella che può sembrare una restrizione faticosa può diventare un’ottima occasione per riscoprire cerali dimenticati o per conoscerne altri giunti solo di recente sul mercato italiano.
Ad indicare la via verso questa nuova riscoperta dei sapori è Giuliana Lomazzi, autrice del libro “Cucina senza glutine” (per le edizioni Red), ma anche giornalista e docente presso i corsi “cucina è salute”, che promuovo in Italia la diffusione del metodo Kousmine.
Il testo presenta dunque squisite ricette gluten-free con le indicazioni indispensabili e tutti gli accorgimenti per fare la spesa e cucinare sfuggendo alle insidie del glutine.
Un’opera, quella della Lomazzi, che svela quanto appetitoso possa essere il mondo degli alimenti privi di glutine; perché se è vero le intolleranze alimentari sono una gabbia che limita chi ne è affetto, è altrettanto vero che oggigiorno esistono validi strumenti per scardinare queste restrizioni imposte dall’organismo, godendosi la buona tavola, uno fra i numerosi piaceri della vita.
Mangiare meglio per vivere meglio, e provare ad essere veramente felici.

"Per la voce", la rivoluzione poetica di Vladimir Majakovskij

ROMA – E’ poesia di quotidianità passionaria quella di Vladimir Majakovskij (1893-1940). Il poeta della Rivoluzione russa ha “cantato” all’unisono del regime sovietico il cambiamento del Novecento mondiale. Nel 1923 Majakovskij si trovava a Berlino, centro dei costruttivisti russi all’estero dove, nel 1922, alla Galleria Van Diemen, aveva avuto luogo la prima esposizione d’arte russa. Nello stesso periodo Lisitskij e Ehrenburg pubblicavano il primo numero della rivista “Vesc”. Majakovskij non mancò di ammirare lo straordinario talento di Lisitskij e si rivolse a lui per dare forma a una selezione di tredici sue poesie destinate a essere lette ad alta voce. Da qui il titolo “Per la voce” (pubblicato dalla casa editrice La Vita Felice nella collana Labirinti), una poesia da urlare per far rivivere la musicalità della ribellione di un grande poeta. 

Arriva in Italia "Terraa, come farcela su un pianeta più ostile"


Silvia Notarangelo
Roma – Nel suo nuovo libro, Terraa, come farcela su un pianeta più ostile”, pubblicato da Edizioni Ambiente, Bill McKibben, attraverso un’analisi lucida, approfondita, sostenuta da ricerche ed esperienze personali, giunge ad un’amara constatazione: i cambiamenti che la terra ha subìto negli ultimi quarant’anni sono stati tanto radicali da trasformarla in un pianetacosìdiverso da richiedere l’adozione di un altro nome, Terraa.

Il mondo, oggi, presenta condizioni di vita sempre più ostili e soffre per i numerosi sos troppo spesso inascoltati. Il riscaldamento globale, il rapido scioglimento dei ghiacciai, la desertificazione e l’innalzamento della temperatura degli oceani sono fenomeni che determinano conseguenze, innescano meccanismi difficili da rallentare, la cui responsabilità è da attribuire soprattutto all’azione dell’uomo, alla sua pericolosa incapacità di agire pensando al futuro.

Si può ancora fare qualcosa? La risposta di McKibben è affermativa, a patto di fissare alcuni punti fermi. Rendersi conto, in primo luogo, che la crescita non è tutto, non è quella parola magica con la quale l’uomo si è illuso di riuscire a risolvere qualunque tipo di problema. Il sistema terra ormai “ha raggiunto il proprio limite” ed è, quindi, arrivato il momento di cambiare mentalità, passando da una concezione del mondo in cui “si cresce a balzi da gigante” ad una in cui ciò che conta davvero sono “la resistenza, la stabilità, la durevolezza”.
L’autore fornisce, poi, un altro importante suggerimento: adottare uno stile di vita diverso, più rispettoso di quanto la natura offre spontaneamente. La nuova terraa ha risorse limitate rispetto al “vecchio” pianeta, le parole d’ordine, dunque, devono essere riduzione dei consumi, nuove forme di agricoltura, costituzione di piccole comunità in grado non solo di rinsaldare i rapporti relazionali, ma anche di favorire un’economia locale.
Nonostante le considerazioni di McKibben possano, talvolta, risultare scomode, non si può non vedere in questo lavoro un utile strumento per “imparare a vivere in un nuovo pianeta” con la consapevolezza degli errori commessi ma anche con la speranza che tanto si può e si deve fare perché “non è ancora troppo tardi”.