MANTOVA – Sarà un’edizione segnata dall’idea di “riprendere la piazza”, dall’orientamento a vivere fino in fondo potenzialità e possibilità offerte dal contesto urbano, ambito ricco di attori, risorse, opportunità, sempre da integrare, sempre da cogliere secondo nuove logiche progettuali, inedite politiche culturali: torna Festivaletteratura – dal 7 all’11 settembre – e la quindicesima edizione punta forte sulla città come centro di relazione e di scambio.
Autore: admin
“Brutti caratteri. Persone proprio così”. Storie e profili di personaggi dal carattere un po’difficile
Attraverso una serie di racconti, l’autrice, nonché esperta di comunicazione interpersonale e sociale, mette in evidenza la diversità dei comportamenti umani analizzandoli in diverse situazioni della vita. In ogni storia emerge un particolare che spinge il lettore ad un’attenta autoanalisi di sé e dei singoli individui.
"La storia d’Italia in 200 vignette": poche parole e tanto grottesco per un’Italia che pare non crescere mai.
– Si principia con Romolo e Remo abbandonati dagli uomini e si termina con un’amara confessione: “– Io sono onesto. – Non si preoccupi, vedrà che ci sarà un’amnistia”. Tra questi due momenti – alfa e omega – si ride (sempre a denti stretti) e si riflette sulla lunga e corposa storia della nostra penisola. Il grande vignettista e giornalista Giovanni Mosca ha raccolto, in questo “La storia d’Italia in 200 vignette” (edito da BUR nel 1975) tutti i vizi e le virtù del popolo italico, folgorando momenti storici e personaggi nella loro limitata attualità, ma offrendo a loro (e a noi) la possibilità di superare questi limiti imposti e di offrirsi quasi come una sorta di exemplum: in ogni vignetta siamo ammoniti noi, abitanti di un’Italia diversa e futura, perché vale sempre lo stesso principio, incrollabile e inconfutabile, che se si comincia a ignorare il passato non si potrà evitare un suo ritorno.
Giovanni Mosca sceglie la vignetta, come strumento, come vettore di analisi storica e contemporanea. Perché le vignette sono appunto dei flash, dei condensati sapienti di linee e di parole (poche, in verità, ma tutte funzionali e nessuna inerte, inutile). Sono dei prodotti che, per loro stessa definizione e ancoraggio col presente, durano il tempo di un mattino, d’una lettura di giornale.
O meglio, quasi tutte. Perché queste di Giovanni Mosca hanno la grande proprietà di non limitarsi, claustrofobicamente, a una dimensione troppo ridotta del loro messaggio, ma di potenziarsi attraverso un aggancio a una dimensione sovratemporale, senza (quasi) mai però scadere nell’anacronismo o nel “fuori luogo”. Qualche passo falso, in realtà, c’è: come, ad esempio, nella vignetta di Giacomo Casanova, dove la prospettiva diventa persino un po’ razzista e omofobica. Però, per il resto, l’andamento è abbastanza spumeggiante, intelligente e finanche sorprendente: non si ride mai a bocca spalancata, a polmoni spiegati, ma si rimane sempre con quel gusto amaro in bocca che dovrebbe servire a valutare la situazione, e a adoperarsi per convertire le mancanze in potenzialità, e gli aspetti negativi in aspetti finalmente estinti.
Da Il cavallo fatto senatore da Caligola a La battaglia di Calatafimi, da Le crociate al 25 aprile, da Aldo Manuzio a Montecassino si analizza (e un po’ si piange) un’Italia che, grottescamente, diventa sempre più vecchia ma pare non crescere mai.
La Roma di mio padre: viaggio emotivo nella città eterna
"Patologie"- male di vivere nella poesia della Maremma
Marianna Abbate
ROMA – Lo conosco troppo bene questo poeta per essere veramente oggettiva. E’ mio amico.
Lo conoscono, seppure forse un po’ meno, anche i più affezionati lettori di ChronicaLibri: è l’autore più proficuo della nostra rubrica vintage.
Il suo libro ce l’ho da mesi. E da mesi non ho il coraggio di recensire le sue parole, pubblicate nella collana Nuovi talenti della casa editrice Dreams Entertainment.
Pertanto, pur di ritardare il fatidico momento, spenderò qualche riga nel raccontarvi di lui.
Giulio è un poeta. Per questo motivo è veramente insopportabile-lunatico e folle. Perennemente sofferente, di qualche “patologia” ormai cronica e decisamente inguaribile. Eppoi è un ragazzo intelligente, solare e di nuovo completamente folle, che lo rende una delle persone più belle che io conosca.
Ebbene sì, il poeta lo sopporto poco, anche per questo temevo di leggere le sue poesie. E soprattutto temevo di recensire questo volume.
Ma poi mi basta leggere la dedica in prima pagina, per sorridere e lacrimare. C’è scritto: perché ti adoro. Sappiate che non è del tutto vero (certe volte penso che gli smiley entreranno a forza nei miei articoli, perché in questo punto ci sta veramente benissimo una linguaccia), e che a volte mi odia anche lui. Come diceva Catullo: odi et amo.
Ma torniamo a noi. Il libro si presenta bianco e fino, provvisto di immagini, i dipinti di Paolo Cimoni, compaesano caldanese dell’autore.
E poi ci sono le poesie.
Tra le prime una dedicata alla sua terra, Caldana, una cittadina medievale della provincia di Grosseto. La poesia profuma.
Poi una dedica a Sandro Penna, con una speranza che non c’è mai stata fuori dalle sue righe.
E poi c’è della poesia aggressiva, delle righe volgari e altre malinconiche. Alcune parlano d’amore, e forse neanche lo sanno.
Ci sono persino delle rime, e qualcosa che assomiglia alla Szymborska nell’immagine di una coppia presa da un cellulare in un bar.
Ma quello che mi è piaciuto di più è l’enjambement precipitoso, che spezza il senso e il tono così in linea con il tema in “Io goccio”, e che distrugge ogni equilibrio nella poesia che inizia con le parole “Piove l’ultimo autunno…”. Un senso di precarietà che ricorda molto la poesia che Ungaretti dedicò ai soldati.
I brani migliori sono quelli che rasentano la prosa poetica, in un linguaggio colto, musicale, ma accessibile.
Solitudine
Sto solo –
appoggiato a un precipizio
di suono.
"L’estate che uno diventa grande"
ROMA – “Non riuscii nemmeno a rispondere qualcosa di vagamente intelligente. Ero rimasto folgorato. Altro che cozza, altro che sfigata! Avevo davanti a me una sventola come poche. E sembrava pure simpatica…”. L’estate è vicina e Saverio, protagonista di “L’estate che uno diventa grande” di Francesca Capelli (Sinnos), ha ricevuto dal padre una proposta speciale: un mese intero da trascorrere con lui in Argentina, dove deve recarsi per impegni di lavoro. Saverio accetta anche se non gli sembra una proposta così allettante.
Eppure quella diventerà “l’estate più importante della sua vita”: perché l’incontro con Rosana e con le Abuelas de Plaza de Mayo – con le loro storie di sofferenza ma anche di amore e speranza per il futuro – darà a Saverio, nonostante tutto, uno sguardo nuovo e una consapevolezza diversa della propria vita.
Un romanzo coinvolgente, con un sorprendente intreccio di storie e tempi: perché da un passato doloroso può nascere un presente diverso.
Dylan Dog tocca quota 300 !!!
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"Per la voce", la rivoluzione poetica di Vladimir Majakovskij
ROMA – E’ poesia di quotidianità passionaria quella di Vladimir Majakovskij (1893-1940). Il poeta della Rivoluzione russa ha “cantato” all’unisono del regime sovietico il cambiamento del Novecento mondiale. Nel 1923 Majakovskij si trovava a Berlino, centro dei costruttivisti russi all’estero dove, nel 1922, alla Galleria Van Diemen, aveva avuto luogo la prima esposizione d’arte russa. Nello stesso periodo Lisitskij e Ehrenburg pubblicavano il primo numero della rivista “Vesc”. Majakovskij non mancò di ammirare lo straordinario talento di Lisitskij e si rivolse a lui per dare forma a una selezione di tredici sue poesie destinate a essere lette ad alta voce. Da qui il titolo “Per la voce” (pubblicato dalla casa editrice La Vita Felice nella collana Labirinti), una poesia da urlare per far rivivere la musicalità della ribellione di un grande poeta.
Arriva in Italia "Terraa, come farcela su un pianeta più ostile"
Silvia Notarangelo
Roma – Nel suo nuovo libro, “Terraa, come farcela su un pianeta più ostile”, pubblicato da Edizioni Ambiente, Bill McKibben, attraverso un’analisi lucida, approfondita, sostenuta da ricerche ed esperienze personali, giunge ad un’amara constatazione: i cambiamenti che la terra ha subìto negli ultimi quarant’anni sono stati tanto radicali da trasformarla in un pianetacosìdiverso da richiedere l’adozione di un altro nome, Terraa.