Giulia Siena
ROMA – “E’ incredibile che siete tutti lì in classe e siete bambini poi ci sarà uno che va di qua e uno che va di là nella vita, e io invece ho più o meno perso i contatti con tutti, come è normale che sia, soprattutto se sei piccolo e hai fatto delle scuole molto lontane da casa tua […]”. La voce narrante è quella del protagonista, il bambino Ugo Cornia che diventato uno scrittore quarantenne pensa che si possa ricordare l’infanzia scrivendone un’autobiografia. Sicuramente una cosa non semplice, ma aiutato dai ricordi può riuscirci. Così nasce nel 2010 “Autobiografia della mia infanzia”, libro pubblicato da Topipittori nella collana Anni in tasca.
Ugo è un bambino che cresce in una città che stava crescendo, Modena, all’interno di quel palazzo dove vive tutt’ora, con degli amici che ha perso e, alle volte, ritrovato. I primi anni settanta, il legame con il nonno, l’asilo “d’amianto” di via Ancona, la nascita della sorella Mariella e le partite di pallone nel cortile, sono tutti eventi raccontati alla velocità del linguaggio di un bambino; ma tra le righe riaffiora con forza anche la tipica sensazione di sorpresa che provoca il passato. Sono pochi anni ma cruciali quelli durante i quali Ugo passa dall’asilo alle scuole elementari, anni in cui l’infanzia segna il futuro senza fare troppo rumore.
Ugo Cornia racconta. E lo fa con la semplicità di un bambino attraverso la memoria di un narratore che sa ascoltare.
Autore: admin
Un’intervista "da bar" con Tiziana Cavasino e Herta Elena Rudolph
Marianna Abbate
ROMA - Vi ricordate "Pensi che ci saremmo potuti conoscere in un bar?" (Caravan Edizioni), il volume di i racconti sull'Europa dell'est di cui vi parlai tempo fa? Proprio ora, appena tornata dall'Europa dell'est, sono lieta di presentarvi l'intervista a Tiziana Cavasino e Herta Elena Rudolph, curatrici del libro. Buona lettura!
“Pensi che ci saremmo potuti conoscere in un bar” è un libro corale, fatto da molte persone. Come nasce e quali sono state le dinamiche che hanno portato a questo libro?
Questo libro è una raccolta di racconti ambientati in diverse città dell’est. L’Europa dell’est oggi è tanto diversa dall’Occidente?
A
una prima lettura si ha la sensazione che non ci sia una grande differenza tra
vivere in una città occidentale e vivere a Bucarest, a Budapest o a Salonicco:
la ressa sui mezzi pubblici, gli odori nei sottopassaggi, le attese alla
fermata dell’autobus, le chiacchiere al bar sembrano sempre le stesse, tuttavia
noi non abbiamo mai perso di vista il fatto che i racconti siano stati
originariamente scritti in lingue diverse depositarie di storie e culture
profondamente diverse tra loro.
Cosa vi ha guidato nella scelta dei racconti?
Lasciando da parte l’aderenza al tema prescelto, che era la condizione essenziale, ciò che ci ha guidate dall’inizio alla fine nella scelta dei racconti è stato il desiderio, condiviso anche con i traduttori, di dare spazio a una scrittura di qualità. Tutte le volte che ci siamo trovate di fronte a un racconto ben scritto la decisione è stata facile e unanime. L’altro obiettivo era quello di prediligere autori inediti o scarsamente conosciuti in Italia: cercavamo delle voci nuove che ci raccontassero delle realtà altre con un linguaggio diverso dal nostro. Per questo ci siamo fidate molto dei traduttori, non potendo leggere tutti i racconti in lingua originale. Nel caso specifico di “Pensi che ci saremmo potuti conoscere in un bar?”, la scelta di pubblicare racconti provenienti da paesi ‘dell’est’ (‘etichetta’ che però va un po’ stretta ad alcuni dei paesi inclusi) è in linea con la casa editrice il cui intento è quello di dar voce a culture e letterature di cui si sa molto poco. Alcuni dei paesi inclusi nella raccolta, tra l’altro, iniziano solo ora a trovare la loro, nuova, identità – pensiamo alla Croazia che è nata dalle macerie della ex Jugoslavia. Ed è interessante leggere in che modo i due autori croati affrontano il tema dell’identità.
Guardando alla realtà letteraria dell’Europa, pensate che in Italia ci sia bisogno di una ventata di “novità”, provenienti, perché no, dall’est?
Festivaletteratura di Mantova: si chiude nel segno del successo
Da mercoledì la XII edizione di pordenonelegge, Festa del Libro con gli Autori
PORDENONE – Dal 14 al 18 settembre 2011 si rinnova l’appuntamento con pordenonelegge, la Festa del Libro con gli Autori: è la dodicesima edizione di una tra le più attese manifestazioni dell’agenda culturale italiana. Nel corso del tempo, sia la critica più raffinata che il grande pubblico hanno seguito con passione questo evento, unico nella sua principale caratteristica, che lo differenzia dalle molte altre analoghe manifestazioni: riesce a coniugare la leggerezza sui temi chiacchierati con la profondità nei discorsi seri, la provocazione con l’accademia. Propone così un’idea multiforme della letteratura, intesa come “mondo dei libri”, in un brillante e quanto mai attuale equilibrio tra ricerca e comunicazione, che riesce a dare spazio ai temi e ai protagonisti riconosciuti della realtà artistica e intellettuale, ma anche alle molte novità emergenti sulla scena culturale.
Anche quest’anno sono numerosi i sostenitori di pordenonelegge.it che affiancheranno l’organizzazione collaborando alla realizzazione di progetti specifici (Project partner), all’organizzazione di eventi dedicati (Sponsor evento) o come fornitori di servizi (Sponsor tecnici).
Con l’edizione 2011 aumenta anche il coinvolgimento della città, moltiplicando le occasioni di collaborazione con istituzioni, associazioni, commercianti, cittadini interessati al mondo del libro. Una nuova capiente struttura accoglierà inoltre gli appassionati del libro in Piazza della Motta, lo spazio ITASincontra.
Nuovo è anche l’allestimento del grande bookshop in piazza XX Settembre, che vedrà la presenza di “tutti i libri di pordenonelegge” e di una più ampia scelta dai cataloghi delle migliori piccole editrici nazionali (volutamente non ci saranno i bestseller delle major); vi sarà inoltre ampio spazio per l’editoria triveneta, che con la sigla “kmzero” registra la presenza di una felice rappresentativa delle case editrici che raccontano – insieme con tante altre cose – la realtà di un vasto e complesso territorio.
Una nuova collocazione anche degli spazi dedicati ai ragazzi in Piazza Ellero dei Mille darà continuità agli allestimenti di Piazza XX Settembre e coinvolgerà un altro luogo caro alla tradizione cittadina. Grazie alla disponibilità dell’Associazione Nazionale delle famiglie dei caduti e dei dispersi in guerra, nella felice coincidenza dell’anniversario del 150° dell’Unità d’Italia, l’area dedicata al Monumento ai Caduti può legare il piacere della lettura, il sereno divertimento dei laboratori creativi, con la memoria e la conoscenza del significato che molti uomini prima di noi hanno dato alla parola patria.
La prima notizia è il conferimento ad Alessandro Baricco del Premio FriulAdria La storia in un romanzo, nato dalla collaborazione frapordenonelegge.it e la manifestazione goriziana èStoria, e promosso da Banca Popolare FriulAdria Crédit Agricole. Per la prima volta a vincere il premio è uno scrittore italiano: in molti momenti della sua opera, ma in particolare nel romanzo Questa storia, Baricco ha saputo raccontare con stupefazione e sgomento il dramma, ma anche la bellezza, di un intero secolo: il Novecento.
Anche quest’anno a pordenonelegge.it ci saranno grandi nomi della letteratura italiana e internazionale, con un programma che unisce mostri sacri a scrittori esordienti. Il tema dei 150 anni dell’Unità d’Italia sarà al centro dell’incontro che inaugurerà ufficialmente il festival, mercoledì 14 settembre con un ospite d’eccezione Paolo Mieli, curatore di una collana sui romanzi che hanno costruito l’identità nazionale. Sulla stessa lunghezza d’onda si porranno gli incontri con Giancarlo De Cataldo, che con il suo ultimo romanzo I traditori, ha raccontato, attraverso personaggi memorabili, la mitopoiesi risorgimentale; e con Ugo Riccarelli che, a partire da un episodio glorioso e tragico della storia nazionale, ha affrescato una vicenda di straordinaria attualità. Chiuderà questa sezione di incontri David Riondino: la sua consueta abilità affabulatoria ci consentirà di conoscere più da vicino, in modo leggero e divertito, uno dei padri fondatori italiani, Camillo Benso conte di Cavour.
"Siamo state a Kirkjubaejaklaustur", fuggendo tutto e tutti (tranne sé stessi)
Giulio Gasperini
ROMA – Un reportage, più intimo che sentimentale, di un viaggio in Islanda, terra remota e d’arcane definizioni, redatto da Valeria Viganò: ecco “Siamo state a Kirkjubaejarklaustur” (paese che, se pur tentando, non può nulla, in lunghezza, con Llanfairpwllgwyngyllgogerychwyrndrobwllllantysiliogogogoch, in Galles), pubblicato da Neri Pozza nella collana Il cammello battriano nel 2004. Due donne italiane partono per un viaggio on the road, desiderose di spazi vuoti e vuoto di rumori, di orizzonti sconfinati e vaporosi, del sotto che si confonde col sopra, e delle direzioni che paiono stordirci ma non depistarci.
La loro guida è Auden, che viaggiò in Islanda, beandosi della sua latitanza, e scrisse delle struggenti Letters from Iceland, nelle quali si scontorna il limite tra percezione sensoriale, visione paesaggistica ed evoluzione sentimental/esistenziale.
Cosa spinge due donne a sfidare l’Hringvegur, l’unica superstrada d’Islanda, la numero 1, che da Reykjavik torna a Reykjavik dopo aver compiuto un giro di perfetto anello? Cosa le costringe a meravigliarsi di fronte allo sterminato orizzonte di ghiacci, che le obbliga a confrontarsi con il nulla, col deserto che, solo, stabilisce le leggi e regola i limiti?
I luoghi desertici, che siano aridi o gelidi, impongono agli uomini una terribile violenza: il trovarsi di fronte a sé stessi, senza salvezze né vie di fuga. Noi, nel deserto, siamo gli unici nostri interlocutori. Ecco perché, qualche volte, in un qualche momento per tutti differente, sorge in noi il desiderio, se non addirittura il bisogno imperativo, di smarcarsi dall’umanità, di disertare il consorzio civile per ritrovarsi con noi stessi, e per riflettere sulle proprie condizioni e suoi propri spasimi. Per dare risposta alle domande, o magari solo per bearsi delle domande senza risposta.
L’Islanda pare una terra appropriata, per fare questo. Perché non si incontrano macchine per chilometri, perché la tecnologia pare ingoiata dalla natura, perché il mondo, quello continentale, pare lontanissimo. Ma anche qui l’uomo rovina, la natura soccombe. E questa pare una delle sole conseguenze che non hanno soluzione. Un peccato per la remissione del quale non esiste nascondiglio mai troppo lontano.
"Centoundici Haiku", l’opera di Bashò
In viaggio anche a tasche vuote: "101 cose divertenti, insolite e curiose da fare gratis in Italia almeno una volta nella vita"
ROMA – “Nelle proprie città, nei luoghi di vacanza, al mare come in montagna. Basta saper cercare. A volte sono sotto i nostri occhi e non ce ne accorgiamo. In queste pagine ho cercato di segnalare le cose più curiose, per offrire una mappa ben chiara da Nord a Sud.”
In Italia sono innumerevoli le possibilità di godere di un posto speciale, di toccare con mano un pezzo di storia, di ammirare un’opera d’arte, di fotografare una rarità, di assaggiare un prodotto tipico, di divertirsi senza “tirar fuori un euro”. E oggi più che mai vale la pena approfittarne. A guidarvi in questo viaggio è Isa Grassano con “101 cose divertenti, insolite e curiose da fare gratis in Italia almeno una volta nella vita” pubblicato da Newton Compton.
Per farvi riscoprire il meraviglioso mondo della “spesa a costo zero”, abbiamo scelto luoghi poco conosciuti ed esperienze emozionanti, sagre e manifestazioni, chiese e palazzi, musei ed eventi, percorsi e itinerari, tutti unici e liberamente fruibili. Attraversando il Belpaese ci si può immergere nella magia della Death Valley lucana o respirare l’atmosfera lunare del Parco delle Biancane in Toscana. Seguire le orme di san Francesco nel cuore dell’Umbria o essere un ospite illustre alle feste popolari in cui si celebra il matrimonio tra il tronco e la cima. Incontrare autori celebri in Alta Badia o ammirare le sculture di sabbia sul litorale di Cervia. Suonare un enorme campanaccio o scatenarsi al ritmo frenetico della Taranta. Ritornare bambini viaggiando tra cavalli giocattolo, fi gurine e cuchi. E ancora, inseguire la fortuna che non basta mai, provando a sfi orare il cappello di uno gnomo, o portando via un pezzo di carro benedetto, fi no a cimentarsi nella ricerca dell’oro.
A come amore: guida pratica ai sentimenti per bambini
Agnese Cerroni
ROMA– Bambini che vengono da lontanissimo e misteriose piante che parlano nei sogni. Innaffiatoi innamorati e ragazze che germogliano in mezzo alla neve. Mosche filosofe e storie che escono dai libri. Un piccolo manipolo di personaggi fiabeschi, impegnato a mettere in scena il più enigmatico e discusso sentimento del mondo: l’amore.
Nove storie (più una) raccontate da Giovanna Zoboli e Ana Ventura in Nove storie sull’amore (Edizione Topipittori) per spiegare l’amore come sentimento intelligente e vivo, mai scontato, sempre vigile, a volte difficile, ma sempre necessario per stare con se stessi e con gli altri nella pienezza di un significato condiviso.
"Doppio Blu", le giovani riflessioni davanti al mare
ROMA – Che relazione c’è fra il bambino che si è stati e l’adulto che si è diventati? Cosa fa di noi quello che siamo? Chi siamo quando siamo bambini? E chi, quando diventiamo adulti? È possibile che fra questi due momenti della vita passi uno sguardo? Tutte queste domande trovano risposta in “Doppio Blu”, il libro di Bruno Tagnolini pubblicato da Topipittori.
Un uomo e un cane su una spiaggia intrecciano dialoghi filosofici sul tempo, l’età, la vita. Dalle loro parole sgorgano storie fatte di voci, bambini, grandi, notti, mattini, odori, fatti, luoghi, strade, animali, parole… Storie di una Sardegna lontana, eppure vicina e viva, in un ricordo che sa nutrire il presente con la sua forza straordinaria. La forza di chi non è mai venuto meno alle promesse strette allora, all’inizio, con la bellezza e l’avventura dell’esistenza.
Carlo Mazzoni racconta i suoi “Due Amici”
Questa è l’idea, la domanda alla base del romanzo. Sono cresciuto credendo a un’amicizia, vivendo un’amicizia e lottando per essa. Oggi questo legame è incrinato, per cui la mia domanda è più aperta che mai.
Non so se esista, un’amicizia così forte. Non so se esista un legame, fra due persone, così forte. A volte ci credo, a volte ne dubito. Questa è l’idea, la domanda alla base del romanzo. Sono cresciuto credendo a un’amicizia, vivendo un’amicizia e lottando per essa. Oggi questo legame è incrinato, per cui la mia domanda è più aperta che mai.
Ho letto che si è diplomato al Conservatorio. Anche Gio, uno dei due protagonisti, studia musica e suona il pianoforte. Ci sono altri elementi autobiografici?
Io sono in parte Matteo e in parte Gio. Io soffro di diabete da quando ho dieci anni, vivendolo così come ho scritto per Matteo. Il mio carattere somiglia a quello di Matteo, la mia infanzia è simile a quella di Matteo. Sono sempre io però che partivo per New York come Gio nel libro, io che prendevo la distanza dal mio amico per cercare la mia identità. Molti dettagli mescolano le due figure, come l’esame al Conservatorio di Alessandria che nel romanzo lascio al personaggio di Gio.
Il diabete è una lezione di rigore, di concentrazione. Il diabete, la malattia in genere, ti costringe a chiederti dove davvero vuoi andare, cosa davvero ti interessa nella vita. Una malattia ti lascia precario davanti al futuro, amplia la tua nostalgia per il passato, ti fa sperare di vivere ogni momento che ti è concesso al limite delle tue forze. Il diabete per me è, oggi mi viene da dirlo, un sintomo di fortuna: una malattia che davvero mi ha insegnato moltissimo.
Il romanzo risulta estremamente coinvolgente grazie anche ad uno stile asciutto, ad un ritmo serrato, in cui non c’è mai una parola di troppo. Una scelta voluta?
Ho lavorato molto all’italiano di questo libro. Cercando una grammatica più lineare, la costruzione del periodo più logica. Leggendo un qualsiasi articolo di giornale, quando incontrate una frase principale che inizia con ‘ma’ o ‘eppure’, provate a rileggerla togliendo la congiunzione: il significato verrebbe espresso meglio. In italiano è sbagliato iniziare una frase con una congiunzione, nonostante oggi tutti scrivano così.
Cito dal testo “Quando tocchiamo il fondo o crediamo di toccarlo, ci calmiamo, smettiamo di avere paura e iniziamo a sopravvivere – non a vivere – a sopravvivere”. Che cosa contraddistingue, secondo lei, una vita “vissuta” da una legata a semplice “sopravvivenza”?
Vivere a pieno è quello che Matteo si impegna a fare, quello a cui costringe Gio – senza tollerare debolezze, scorciatoie, facilitazioni. Vivere in pieno significa non accontentarsi, credere in quello che si fa, avere uno scopo e essere in corsa per realizzarlo. Vivere significa mettersi in discussione, non essere mai sicuri di niente e curiosi di tutto, rifiutare le abitudini. Vivere significa moltiplicare i propri talenti – riprendendo la frase del Vangelo che cito in ogni mio romanzo, a cui io credo tantissimo. Chi nasconde la propria mina e la restituisce così come l’ha ricevuta: costui non vive, ma sopravvive.
Può svelarci qualche progetto futuro? Sta lavorando ad un nuovo libro?
Sto lavorando a un nuovo romanzo. Ci vorrà molto tempo prima di vederlo compiuto. A novembre lancerò in rete “Il fuoco”, a cui sto lavorando dall’inizio di quest’anno, su Itunes, Netflix e Youtube. E’ una canzone, una melodia, una poesia, una preghiera: la preghiera di Gio davanti al suo amico che muore.