Novità Editoriali

Giulia Siena
ROMA – Letture, letture e ancora letture! Le novità editoriali sono davvero tante e per tutti i gusti. Romanzi, poesia, teatro, tempo libero e letteratura per ragazzi sono i generi che racchiudono le tante proposte di alcune case editrici che ChronicaLibri ha selezionato per voi. 
Le  Edizioni Nottetempo (Roma) portano sugli scaffali delle librerie, l’ultimo romanzo di Mariolina Venezia, “Rivelazione all’Esquilino”. “Non mi ricordo gli occhi” di Giuliano Trentadue e “L’ultima passeggiata” di Gabriella Guidi Gambino sono i nuovissimi romanzi pubblicati da Mursia (Milano). La poesia universale di Sylvia Plath rivive nella raccolta “La luna e il tasso” pubblicata nella collana Acquamarina della Via del Vento Edizioni (Pistoia). 

Dopo il successo teatrale della scorsa stagione, gli Oblivion portano da domani in libreria “I promessi esplosi”, libro con dvd edito da Pendragon (Bologna). Tra qualche settimana si festeggerà la festa più romantica dell’anno… “San Valentino dei fessi”, il titolo provocatorio della raccolta di racconti pubblicato da 80144 Edizioni (Roma).
Se volete fuggire dalla routine della città, tra qualche giorno potrete trovare in un libro quello che fa per voi: “Vado a vivere in campagna. Dieci regole per passare dal sogno alla realtà” di Roberta Ferraris pubblicato da Terre di Mezzo Editore (Milano). Aspettando l’estate, il fascino del mare lo potrete trovare ne “L’altalena del sogno” di Alberto Muro Pelliconi pubblicato dall’Editrice La Mandragora (Imola). Per i lettori più giovani arriva fresco di stampa da Sinnos “An dan des, filastrocche per giocare insieme” con le illustrazioni di Paola Cadutti. Il gioco del calcio raccontato ai ragazzi? “Autobiografia della mia infanzia” di Ugo Cornia pubblicato da Topipittori (Milano). “Fino a sfiorarle il viso”, il romantico thriller di Kate Brady e”Altri regni”, il fantasy di Richard Matheson pubblicati da Fanucci Editore (Roma).

"Il Metodo Puffetta" la riscossa delle Barbie

Marianna Abbate
ROMA Non saprei dirvi con certezza se quella che ci offre Silvia Pingitore nel suo libro sia un’immagine confortante della realtà. L’autrice de “Il Metodo Puffetta”, già nel titolo del suo ultimo libro pubblicato da aliberticastelvecchi, ci parla del collaudato Metodo puffetta – Come fare la scema del villaggio senza rischiare di diventarlo, offrendoci esempi illustri di Puffette in carne e ossa: dalle veline a Valeria Marini.
Ebbene, è inutile cercare di negare la somiglianza di queste note figure dello showbiz nazionale con l’unica femmina tra i Puffi. Tuttavia, non mi trovo del tutto d’accordo con l’affermazione racchiusa nel sottotitolo. Stupido è chi lo stupido fa diceva il saggio Forrest Gump e io l’ho ritenuta da sempre una verità di vita. Comunque addentrandomi nella lettura ho scoperto un misunderstanding alla base. In effetti non avrei mai classificato Puffetta come la scema del villaggio: le ho sempre riconosciuto un ruolo materno e la sua prorompente femminilità unita alla sua delicatezza erano utili a controbilanciare il maschilismo predominante nel villaggio dei Puffi

Seguire la moda, desiderare l’impossibile, spendere e spandere, ostentare la propria bellezza, sfruttare il proprio fascino per far carriera non significa essere stupide, anzi! La storia odierna dimostra assolutamente il contrario: il nostro Paese assomiglia un po’ al villaggio dei Puffi.

Con una serie di consigli racchiusi in 10 comandamenti la Pingitore mostra alle lettrici la perfetta strada da seguire per ottenere successi nella vita sociale, lavorativa e privata. “Non desiderare la roba d’altre (se non puoi permettertela), fa che loro desiderino la tua”.. è da sempre il mio motto e non avrei saputo esprimerlo meglio! E se anche a volte mi rodo dentro per l’invidia, la diretta interessata non verrà mai a saperlo.

Insomma, riconosco la furbizia di Puffetta, perché essere l’unica donna in un villaggio di uomini è già una cosa scaltra.  

"Il conte di Montecristo": un classico senza tempo

Stefano Billi
ROMA – Sovente, parlando dei “classici”, cioè di quei libri che rappresentano la storia della letteratura, la mente associa questa categoria all’immagine del “mattone”: un testo che si compone di centinaia e centinaia di pagine in cui si avviluppa una trama sicuramente complicata (per non dire addirittura contorta), dai contorni noiosi e difficili da seguire.

Insomma, spesso si è portati a pensare che questi libri abbiano, come unico compito, quello di riempire le biblioteche, e oltretutto non quelle domestiche – riservate ai romanzi di ben più bassa levatura – ma quelle, ad esempio, comunali o universitarie.
Invece, è giunto il tempo di riappropriarsi di un patrimonio dell’umanità che, anziché essere lasciato alla mercé di topi e tarme della carta, merita di essere assaporato dalla prima all’ultima pagina.
Perché sono questi capolavori, elaborati dai grandi scrittori di tutte le epoche storiche, che possono permettere alla società di progredire.
Uno di questi libri, che nutre la mente come pochissimi altri racconti sanno fare, è proprio “Il conte di Montecristo”, scritto da Alexandre Dumas (padre) nel 1844.

La trama di questo meraviglioso pilastro della letteratura mondiale è tutta incentrata sulla figura di Edmond Dantès, giovane marinaio che dovrà combattere contro un destino spietato, frutto dell’invidia amorosa di un miserabile invaghitosi della dolce metà del protagonista: tuttavia il fato si rivela, infine, anche sorprendente e difatti l’inaspettata conoscenza dell’abate Faria sconvolge la vita di Edmond, un dono provvidenziale che il Dantès saprà abilmente cogliere.
Pur nelle sue millecinquecento pagine circa, la lettura de “Il conte di Montecristo” è scorrevolissima: lo stile di Alexandre Dumas è affascinante per la sua linearità e semplicità, aspetti che entrambi dimostrano al contempo l’eleganza della penna dello scrittore, che in quest’opera tocca il suo apice narrativo.
Inoltre, va assolutamente rilevata la maestria, impareggiabile, dello scrittore nel costruire un’impalcatura degli eventi che porta il lettore a non voler mai smettere di leggere, quasi che il romanzo fosse stregato; in realtà, non si tratta di un’opera magica, ma piuttosto di una creazione davvero perfetta, come se la sua origine, più che umana, fosse divina.
All’interno del libro l’autore sa mirabilmente descrivere ogni sentimento dell’uomo, dalla rabbia all’ammirazione, dal desiderio di vendetta al perdono.
Ogni parola illumina gli animi dei protagonisti e permette così di svelarne la vera identità.
Dumas sembra dunque assumere le vesti di un ottocentesco Virgilio che disvela a chi legge le reali fattezze emozionali di ogni persona.
“Il conte di Montecristo” è un romanzo che merita di essere letto per la sua infinita bellezza, perché racchiude una storia magnifica che penetra irreversibilmente nell’animo del lettore, ma soprattutto perché permette di innalzare il proprio pensiero e sfiorare le imponenti vette artistiche della letteratura senza tempo.
Una volta letto il libro, però, si rimane pervasi anzitutto da una sensazione di sconforto, non solo perché il testo è giunto al termine, ma anche perché si resta consapevoli di come soltanto pochissime altre opere letterarie siano così stupefacenti come questa creata dal Dumas.

Allora, l’unico antidoto possibile contro questo profondo senso di amarezza sta nel rileggere ancora e ancora “Il conte di Montecristo”, un romanzo che davvero cambia la nostra vita.

"Deviazione": la donna fascista che non credeva alla banalità del male.

Giulio Gasperini
ROMA –
Molto è stato scritto sui lager nazisti, e molto è stato letto. Forse, però, poco è stato capito. Troppi processi di rimozione, di auto-assoluzioni, aggiunti al desiderio di non assumersi nessuna responsabilità (soprattutto quella morale) hanno condizionato la ricezione delle immagini, l’accettazione e la comprensione delle testimonianze. Luce d’Eramo fu spettatrice; anzi, fu attrice. E scrisse un diario, la cui gestazione durò trent’anni, completato e pubblicato soltanto nel 1979, presso Mondadori: “Deviazione”.


Di certo furon poche le persone che scelsero volontariamente la condanna dei lager. Luce d’Eramo (all’epoca ancora Lucette Mangione) fu una di queste: lei, una fascista convinta che non credeva alla banalità del male e volle verificare, di persona – come San Tommaso affondare il dito nella ferita d’un abbrutimento umano che non conosceva fine; né speranza. Fu una Freiarbeiter, una lavoratrice volontaria, in quell’inferno che furono i lager tedeschi. Andava più d’accordo coi russi che coi francesi e gli italiani, perché questi ultimi la consideravan una privilegiata: a lei, figlia di un gerarca della Repubblica di Salò, eran affidati i compiti più leggeri, quelli meno faticosi, quelli meno feroci. E nonostante anche lei si trovasse nel lager, era come se fosse tutelata e protetta dagli stessi tedeschi.
Il diario è, senza dubbio, un feroce resoconto di spietato autobiografismo, in cui l’io narrante (e l’io vivente) si beano d’un morboso egotismo. Deviazione s’edifica monumento hardcore a un io ipertrofico, che non conosce distrazioni né disattenzioni. In alcuni punti persino irrispettoso nei confronti di coloro che, non certo volontari, furono condannati alle stesse violenze, allo stesso massacrante lavoro, al feroce destino. La volontarietà alla sofferenza va studiata, ma con la dovuta attenzione, senza dimenticarsi che il dolore è cosa seria, che deve conoscere il rispetto di tutti, la deferenza necessaria affinché assuma il valore catartico per il quale è utile e necessario.
C’è però un sospetto, un dubbio quasi fastidioso: che il tutto si sublimi in un tentativo di innalzare la propria pulita coscienza, dimenticando di assumersi le inevitabili responsabilità. Come se, scrivendo e rivivendo quest’avventura anomala si sublimi il proprio livello di evoluzione, e ci si dimentichi che, in realtà, codesto destino fu, appunto, volontario, e sempre protetto dal nome borghese, dal giogo (da cui lei tentò, invano, di “deviare”) della famiglia e dalla sicurezza che, in qualsiasi momento, si sarebbe potuto interrompere; con l’indiscussa e assoluta certezza (che tanti e tanti altri non avevano) del ritorno.

"Il quaderno dei dolci del Mondo", ogni giorno un gusto diverso

ROMA – Di che dolce hai voglia oggi? Esotico, speziato o classico? Con “Il quaderno dei dolci del Mondo” di Gabriella Pecchia pubblicato da Kellermann, puoi scegliere quale dolce portare in tavola tra quelli di tutto il mondo. Golosità che raccontano le tradizioni dei posti dove sono nati, da qualche mese sono raccolti in un unico e pratico “quaderno”.
Paese che vai, dolce che trovi…. In effetti questo nuovo quaderno festeggia i sapori e le golosità di altri Paesi. Le ricette che Gabriella Pecchia ha trascritto e interpretato raccogliendole direttamente dalle persone che quei dolci conoscono e apprezzano (e anche realizzano) ci portano in un viaggio ideale in giro per il mondo.
Scopriremo le classiche torte americane di mele o quelle esotiche provenienti da oltre oceano; i dolci del Nord per scaldarsi in inverno e quelli del Sud per sognare i caldi mari.

Abbasso Cenerentola!

Alessia Sità
ROMA – Se avete amato follemente Rebecca Bloomwood, la bizzarra protagonista di “I love Shopping”, o la lunatica e goffa Bridget Jones, non potete fare a meno di provare la stessa simpatia anche per Giulia Caputi, la protagonista di “Abbasso Cenerentola”, il romanzo di Lucia Resta pubblicato da Boopen LED.
Pagina dopo pagina, le divertenti e tragicomiche avventure di questa giovane giornalista, precaria, distratta e pasticciona, riusciranno a conquistare tutti gli amanti del genere chick lit.
Dopo mille peripezie e incontri di ogni tipo, nel disperato tentativo di trovare il fantomatico Principe Azzurro, Giulia decide di dire basta, una volta per tutte alle favole e di pensare esclusivamente alla carriera. Il suo nuovo motto diventa: “Abbasso Cenerentola!” E certa di questa sua nuova convinzione, tenta di far guarire dalla “cenerentolite” anche le sue amiche. 

L’incontro con nuovi personaggi e in particolar modo con lo smadrappo Gino, daranno una svolta inaspettata alla vita della nostra simpatica eroina che, suo malgrado, continuerà a cacciarsi in una serie interminabile di guai.
Quello scritto da Lucia Resta è un romanzo dedicato alle cenerentole moderne, che fra un impegno e l’altro, continuano a sperare di trovare il Principe azzurro, ma senza rinunciare necessariamente alla propria indipendenza.
“Abbasso Cenerentola” è una piacevole lettura che, fra humour e sentimento, offre anche qualche spunto di riflessione sui giovani di oggi e sulla loro visione dell’amore.

"Il vino a Roma", un guida utile e indispensabile per tutti

Marianna Abbate
ROMA – Ci capite di vini? No? Bene, credo che siamo rimasti solo io e voi. “Capirci di vini” è diventato un must negli ultimi anni. Un sine qua non nelle cene tra amici, nelle discussioni di lavoro e persino nei pettegolezzi tra commari: “Hai visto Giovanna ha portato quel finto Barolo, l’avrà pagato due euro”, “Certo che Luca è proprio un uomo di classe, che figurone con quel – Chianti!”.

Persino io, che di vini ci capisco poco, partecipo con grande faccia tosta a queste disquisizioni: “Ma vi pare? E’ antico pensare che con il pesce si abbini bene solo un bianco!” Citando quelle frasi fatte originale a Decanter, la trasmissione cult di Radio2.
Volete fare anche voi la figura di chi sa di cosa sta parlando? E’ qui che entra in scena la guida “Il vino a Roma – guida alle migliori aziende vinicole del Lazio e ai locali in cui bere bene nella capitale” edita da Castelvecchi e scritta con maestrìa e chiarezza da Slawka G. Scarso.

Innanzitutto sfaterà il mito che nel Lazio non si faccia del buon vino, e già questa è un’informazione da esperti nel campo. Ma in più, se siete romani, vi tirerà su il morale, perchè dovreste essere davvero ciechi e sordi per non conoscere almeno un paio delle aziende citate. Io,ad esempio, otre alla commercialissima cantina Bernabei che fornisce alcolici a tutta la città, conoscevo l’azienda vinicola Cavalieri. Ma devo rivelare un trucco: sono i medesimi proprietari della famosa pasticceria Napoleoni di via Appia.
Dite che non è abbastanza per autoproclamarsi sommelier? Allora aspettate un attimo, mi lascerò ancora guidare dalle guide!

"La casa sull’altura", da Orecchio Acerbo una poesia lontana per lettori di tutte le età

Giulia Siena
ROMA – La casa editrice Orecchio Acerbo porta in libreria dal prossimo 26 gennaio, “La casa sull’altura”, di Nino De Vita con le illustrazioni di Simone Massi. Il racconto stringato di una poesia “necessaria” lascia che le immagini trapelino con forza tra le sillabe. Le forme che Simone Massi disegna, avvolgono in un unica miscela di colore la parola e il protagonista della penna di Nino De Vita. Quest’ultimo, poeta siciliano, lascia che il suo racconto racchiuda tutte le terre, faccia rivivere animali, storie e sensazioni che sembrano immutate nel tempo e nei luoghi.
Goffredo Fofi, nella postfazione dell’opera, ben spiega l’unione di queste due creatività, la commistione delle parole del poeta con le tavole dell’illustratore: “La casa sull’altura nasce dall’incontro di due sensibilità che, nonostante la distanza geografica che separa la Sicilia dalle Marche [terra di Massi ndr], hanno molto in comune”. “La casa sull’altura” è il simbolo di una crescita imminente, è una storia semplice di scoperta, amicizia e libertà. E’ la storia – in poesia – di un ragazzo che comincia la scoperta dei suoi luoghi. Quei luoghi che prima gli erano preclusi, quelle piccole scoperte che illuminano di entusiasmo le giornate, quelle esperienze fanciullesche che poi ti portano lontano. Colori e curiosità che ben si intuiscono attraverso la facilità dei versi e l’intensità delle immagini.

Anteprima: leggi il primo capitolo di "Radiance", il nuovo libro di Alyson Noël

ROMA – In anteprima su ChronicaLibri il primo capitolo di “Radiance”, il nuovissimo libro di Alyson Noël in uscita a fine gennaio per Fanucci Editore. “Radiance” è il primo volume della serie Gli Immortali ed è incentrata su Riley Bloom, la sorellina dell’eroina Ever. Riley, accompagnata dal suo cane, deve attraversare il ponte verso l’Oltre; qui incontrerà i genitori, i nonni e con la morte scoprirà alcuni magici poteri. Una storia tutta da scoprire…

1

La maggior parte delle persone crede che la morte sia la fine.
La fine della vita… dei bei tempi… la fine di, be’, più o meno
di tutto.
Ma quelle persone si sbagliano.
Si sbagliano di grosso.
E io lo so bene. Sono morta all’incirca un anno fa.

2
La cosa più strana del morire è che in realtà non cambia
niente.
Voglio dire, vi aspettereste un grande cambiamento, giusto?
Perché morire… be’, diciamocelo, è una cosa abbastanza
drammatica. Sull’argomento hanno scritto canzoni, libri,
e anche sceneggiature. Accidenti, è persino uno dei temi
principali nei cartoni animati del sabato mattina. Ma la questione
invece non ha niente a che fare con quello che si vede
in tv.
Nemmeno un po’.
Prendete me, per esempio. Io sono viva, ehm, perciò considerate
che è sicuro… come la morte, che la morte non è poi
così diversa. O almeno, non all’inizio. E almeno, non in senso
negativo come probabilmente voi credete.
Perché a dire il vero, nel momento in cui sono morta mi sono
sentita più viva che mai. Potevo saltare più in alto… correre
più veloce… potevo persino attraversare i muri se volevo.
Ed è stato soprattutto questo l’elemento rivelatore.
Il fatto di attraversare i muri.
Visto che non è che potessi fare una cosa del genere prima,
è così che ho capito che qualcosa era successo.
Qualcosa d’importante.
Ma fino ad allora, era sembrata una fantastica gitarella in
macchina. Cioè, mio padre decise tutt’a un tratto, inaspettatamente,
di cambiare direzione.
Un minuto prima filava sulla strada sinuosa, mentre io
cantavo seguendo l’iPod, con la testa del mio cane Buttercup
appoggiata sulle ginocchia, facendo del mio meglio per
ignorare quella prepotente di Ever, mia sorella maggiore,
che in pratica vive per tormentarmi. E la cosa successiva che
ricordo è che eravamo completamente da un’altra parte.
Non più sulla superstrada, non più nell’Oregon, non so
come eravamo atterrati nel bel mezzo di questo magnifico
campo che splendeva, pieno di alberi pulsanti di luce e di fiori
vibranti. E quando i miei genitori andarono in una direzione
e mia sorella in un’altra, io me ne restai lì, con la testa che
mi girava da matti, indecisa su chi seguire.
Una parte di me mi incitava: ‘Attraversa il ponte con mamma
e papà e Buttercup… loro sanno cos’è meglio!’»
Mentre l’altra parte insisteva: ‘Non fare la santarellina… se
Ever vede qualcosa di strabiliante e tu te lo perdi, te ne pentirai
per sempre!’
E quando alla fine decisi di seguire mia sorella, ci avevo
messo così tanto tempo che se n’era già andata.
Semplicemente… scomparsa.
Nella nebbia fluttuante.
Era tornata lì, sulla Terra.
Ed è così che sono rimasta intrappolata. Intrappolata fra
due mondi.
Finché non sono riuscita ad arrivare Qui.
È così che lo chiamano: ‘Qui.’


E se sei tanto scemo da chiedere che ora è, ti risponderanno:
‘Ora.’
Probabilmente perché Qui il tempo non esiste, il che significa
che tutto accade, be’, nell’istante in cui accade, che è sempre…
ora
Quindi, credo che si potrebbe dire che vivo Qui e Ora.
Stranamente, non è così diverso da dove vivevo prima, lì
a Eugene, nell’Oregon.
Eccetto che per il tempo, che non esiste. E naturalmente,
per quel piccolo particolare di poter attraversare i muri e via
dicendo.
Ma a parte questo, e il fatto che posso fare apparire qualsiasi
cosa io voglia – tipo case e automobili e vestiti, persino
animali e spiagge – semplicemente immaginandola, è tutto
più o meno uguale.
I miei genitori sono Qui. I miei nonni pure. Persino il mio
dolce labrador color miele, Buttercup, ce l’ha fatta. E anche
se potremmo vivere ovunque vogliamo, in qualsiasi tipo di
casa si possa desiderare, la cosa divertente è che il nuovo
quartiere è una copia quasi perfetta del mio vecchio quartiere
nell’Oregon.
È tutto identico, addirittura i vestiti appesi nell’armadio,
le calze stipate nei cassetti, e i poster attaccati alle pareti della
mia stanza. L’unica cosa diversa, l’unica cosa che in qualche
modo mi scoccia, è il fatto che tutte le altre case nei paraggi
sono vuote. Principalmente per il fatto che tutti i miei
vecchi vicini e amici sono vivi e in salute, e ancora lì sulla Terra
(be’, per ora almeno!). Ma ripeto, eccetto questo, è esattamente
come lo ricordo.
Esattamente come lo desideravo.
Vorrei solo avere degli amici con cui godermelo.

3
Quando mi sono svegliata stamattina… Oh, questa è un’altra
cosa… Probabilmente pensavate che non avessi bisogno di
dormire, giusto? Be’, all’inizio è quello che ho pensato anch’io.
Ma per come me l’hanno spiegata i miei genitori, siamo, in un
certo senso, più vivi che mai, siamo fatti di energia nella sua
forma più pura. E dopo una lunga giornata di creazioni e apparizioni
e, be’, qualsiasi altra attività le persone Qui scelgano
di svolgere, la nostra energia ha bisogno di una piccola sosta,
un sonnellino per riposare, per recuperare e rigenerarsi… il
che, di nuovo, non è diverso dalla vita sulla Terra.
Insomma, quando mi sono svegliata stamattina con Buttercup
che scodinzolava e mi leccava la faccia, nonostante sia una
maniera abbastanza piacevole di svegliarsi, l’ho spinto via, tirandomi
la coperta sulla testa, e rigirandomi così da dargli le
spalle. I miei occhi si sono stretti al massimo e ho tentato di immergermi
di nuovo nel mio sogno mentre Buttercup continuava
a mugolare e guaire e toccarmi con la zampa.
E proprio quando stavo per cacciarlo via di nuovo, ecco
che mi sono ricordata: Buttercup era eccitato per me.

Tutti erano eccitati per me.
Da quando ero arrivata Qui, ero stata quasi sempre impegnata
ad abituarmi alla mia nuova vita, integrandomi di nuovo
nella mia famiglia, e fondamentalmente cercando di imparare
come funzionano le cose in questo posto. E ora che mi
ero ambientata, era arrivato il momento del mio primo giorno
di scuola (sì, abbiamo la scuola Qui… non è tutto rose e fiori,
sapete), e visto che tutti si mostravano così eccitati al riguardo,
mi è sembrato doveroso mostrarmi eccitata anch’io.
 Abbastanza eccitata da alzarmi dal letto, prepararmi, e
avere il tempo di far apparire qualcosa di carino da mettermi,
così potevo, almeno secondo i miei genitori, andare in un
posto dove avrei: ‘Incontrato nuovi amici, imparato nuove
cose, e in men che non si dica mi sarei ritrovata a riprendere
dal punto esatto in cui avevo interrotto a casa!’
E per quanto non ne fossi convinta, per quanto fossi pronta
a scommettere qualsiasi cosa che non si sarebbe rivelato
nemmeno lontanamente vero, mi sono limitata a sorridere e
assentire. Volevo che pensassero che ero impaziente quanto,
evidentemente, lo erano loro.
Non volevo che sapessero quanto mi mancava la mia vecchia
vita laggiù a casa – mi mancava così tanto che ormai era
una specie di dolore costante dentro di me –, e nemmeno che
ero praticamente strasicura che questa scuola, non importa
quanto fosse favolosa secondo loro, non avrebbe mai potuto
competere con quella che mi ero lasciata alle spalle.
Così, dopo essermi gustata una frugale colazione con
mamma e papà (e no, in realtà non abbiamo più bisogno di
mangiare, ma rinuncereste al piacere dei cereali con dentro le
toffolette se non foste costretti?), mi sono messa in cammino.
All’inizio indossavo la classica uniforme da college: camicia
bianca, gonna a quadri, giacca blu, calze bianche e scarpe ca-
rine, visto che ho sempre desiderato frequentare una scuola
che richiedesse l’uniforme, ma poi per strada ci ho ripensato
e l’ho sostituita con un paio di jeans aderenti, ballerine e un
soffice lanuginoso cardigan blu indossato sopra un top con il
logo del mio gruppo preferito.
Sul serio, far apparire le cose è davvero facile… o almeno lo
è Qui. Basta pensare a quello che vuoi, qualsiasi cosa, stampartelo
bene in mente… e voilà… come per magia, ce l’hai!
Comunque, ho continuato a procedere così, cambiando e
ricambiando, avanti e indietro, i due look. Facevo due passi
come una ragazza da college, e altri due vestita come una dodicenne
superstilosa. Calcolavo che sarei rimasta coi vestiti
che avevo addosso nel momento in cui avrei raggiunto il
campus, sapendo che potevo sempre cambiarmi in un istante
se quella si fosse rivelata la scelta sbagliata.
Poi, a un certo punto della strada, l’ho visto.
L’Osservatorio.
Il posto su cui i miei genitori mi avevano messo in guardia.
Ripetevano che non avrebbe portato a niente di buono. Che
mi sarei fissata di nuovo, mentre invece avevo bisogno di raccogliere
le energie per andare avanti, ambientarmi, e accettare
il fatto che, mi piaccia o no, adesso sono ufficialmente un’abitante
di Qui e Ora. Sostenevano che era giunta l’ora di voltare
le spalle alla vecchia vita e impegnarmi ad accettare la vita dopo
la morte.
«Ti sei trattenuta sulla Terra abbastanza» aveva detto mio
padre, rivolgendomi il solito sguardo comprensivo e allo
stesso tempo preoccupato.
Mentre mia mamma assisteva, occhi socchiusi e braccia
conserte, senza lasciarsi incantare nemmeno un secondo
dalla scusa della ‘pura e semplice curiosità’. «Tua sorella ha
la sua lezione da imparare, il suo destino da compiere, e non
spetta a te interferire» aveva detto, rifiutandosi di essere accondiscendente
o anche solo guardare le cose dal mio punto
di vista.
Ma anche se le loro intenzioni erano buone, vedete, loro
non conoscevano affatto mia sorella bene quanto me. Non sapevano
che lei aveva bisogno di me in un modo che loro non
avrebbero mai potuto capire. Oltretutto, se è vero che il tempo
non esiste più, allora non c’è pericolo di fare tardi a scuola,
giusto? Perciò andiamo, che cosa potrebbe succedere nella
peggiore delle ipotesi?
Più che convinta, ho fatto una piccola deviazione e mi sono
infilata dentro, agguantando un biglietto dal distributore
sul muro prima di accodarmi a una lunghissima fila. Circondata
da un bel mucchio di teste grigie, in brodo di giuggiole
al pensiero dei nipoti che non vedevano l’ora di guardare. Infine
sullo schermo in alto ha lampeggiato il mio numero e io
ho marciato dritta dentro il cubicolo appena liberato, ho chiuso
la tenda alle mie spalle, mi sono accomodata sul duro sgabello
di metallo e ho digitato la destinazione desiderata, esaminando
attentamente lo schermo finché non l’ho trovata.
Ever.
Mia sorella.
Capelli biondi, occhi azzurri, mia sorella mi assomiglia un
sacco, tranne che per il naso. È stata così fortunata da prendere
il naso perfettamente dritto di nostra madre… mentre io
ho preso quello, ehm, più tozzo di mio padre.
«Un naso che ha carattere» amava dire mio padre. «Non
ce n’è un altro così, da nessuna parte… tranne che sulla tua
faccia!» diceva, acchiappandolo con uno di quei pizzicotti
che riescono sempre a farmi ridere.
Ma anche se avevo l’impressione di fissare lo schermo da
un bel po’ di tempo, non è che stessi vedendo poi così tanto.
O perlomeno, niente d’importante in ogni caso. Niente che
potesse definirsi da infarto (e no, il mio cuore in realtà non batte
più, è tanto per dire). In sostanza quello che vedevo era una
ragazza che si muoveva, cercando in ogni modo di far credere
a chiunque attorno a lei di essere una persona perfettamente
normale, che viveva una vita perfettamente normale, quando
la verità è, lo so per certo, che era tutto tranne che questo.
Eppure, non potevo smettere di guardare. Non potevo impedire
a quella vecchia sensazione di riavvolgermi.
Una sensazione per cui il cuore mi si gonfiava così tanto che,
ne ero certa, sarebbe scoppiato scavandomi un grande buco
proprio in pieno petto.
Una sensazione per cui la gola mi andava in fiamme e
m’impediva di parlare, gli occhi incominciavano a lacrimare,
e io mi riempivo di nostalgia, uno struggimento così soffocante
che avrei dato qualunque cosa per tornare indietro.
Indietro sulla Terra.
Nel posto a cui appartenevo veramente.
Perché a dire il vero, per quanto mi stessi sforzando di fare
la coraggiosa e di far credere a tutti che mi stavo ambientando
bene e che stavo imparando sul serio ad amare la mia
nuova vita Qui… il fatto è che non era vero.
Non mi stavo ambientando.
Non stavo imparando ad amare un bel niente.
No. Per niente.
In effetti, avendone la possibilità, avrei fatto qualunque cosa
per trovare di nuovo quel ponte e attraversarlo di corsa
senza voltarmi indietro nemmeno una volta.
Avrei fatto qualunque cosa per tornare a casa, alla mia vera
casa, e vivere di nuovo accanto a mia sorella.
E non c’è voluto troppo tempo davanti allo schermo per capire
che Ever si sentiva come me. Perché non solo le manca-
vo, ma era anche piuttosto evidente che aveva bisogno di me
quanto io ne avevo di lei.
Ed è bastato questo per convincermi di aver fatto la cosa
giusta.
È bastato per non sentire l’ultimo pizzico di rimorso per
aver deluso i miei genitori ed essermi infilata di nascosto nell’Osservatorio.
Perché a dire il vero mi sentivo giustificata.
Avolte devi semplicemente agire per conto tuo.
Avolte devi fare quello che dentro di te sai che è giusto.
Fanucci Editore, tutti i diritti riservati.

“Radiance”, Alyson Noël , Roma, Fanucci Editore, collana Tweens, 2011.
Età consigliata: 9-13 anni..

Alfredo Lavarini ci racconta la Fanucci Editore

Giulia Siena
ROMA – Quando un progetto comincia con la passione, i risultati non si faranno attendere. Forse questa frase potrebbe racchiudere il mondo di Fanucci Editore. Nata negli anni Settanta a Roma, oggi la casa editrice guidata da Sergio Fanucci è una realtà attenta ai bosogni dei lettori e fedele alla sua passione per i buoni libri. Per conoscerne motivazioni, libri e scaffali, ChronicaLibri ha intervistato Alfredo Lavarini, direttore editoriale della Fanucci Editore.

Qual è la linea editoriale Fanucci?
Accanto a fantasy e fantascienza, generi per cui Fanucci si è fatto da sempre conoscere e apprezzare, la casa editrice è alla continua ricerca di nuovi spunti che arricchiscano la letteratura fantastica. Accanto a Philip K. Dick Brandon Sanderson, Terry Goodkind, Robin Hobb, Robert Jordan, spiccano Silvana De Mari, Jeaniene Frost, Patricia Briggs, Sherrilyn Kenyon, Rachel Caine.

La collana Teens e la nuovissima Tweens esplorano il mondo dell’adolescenza in maniera profonda, costante e innovativa. Fanucci è stato infatti il primo a pensare e costruire, in modo programmatico, sistematico e con un progetto specifico alle spalle, una collana dedicata ai giovani. La collana Teens, nata nel 2005, ha già venduto più di un milione di copie. Negli anni ha dato vita a fenomeni editoriali che hanno oltrepassato le 350.000 copie vendute, come Valentina F., già tradotta in Germania, Spagna, Francia e di cui sono già stati acquistati i diritti cinematografici. Tra gli autori della collana spicca poi la coppia di successo Frescura-Tomatis, di cui abbiamo pubblicato una quindicina di titoli. Il catalogo attualmente si compone di più di 50 titoli. La collana Tweens invece è dedicata a lettori più giovani (9-12 anni) e si propone gli stessi obiettivi di sistematicità e coerenza che ci hanno permesso di ottenere ottimi risultati con la collana Teens. Ha all’attivo titoli che hanno ottenuto importanti riconoscimenti dalla critica, come Bambini nel bosco di Beatrice Masini, entrato nella rosa dei 12 finalisti del Premio Strega 2010, o Il gatto dagli occhi d’oro di Silvana De Mari, che ha già venduto ventimila copie; entrambi tradotti all’estero in diverse lingue.
Fanucci pubblica inoltre grandi autori come Richard Matheson, Jim Thompson, Chris Abani, Robert Littell, Daniel Woodrell, Joe Lansdale, Jim Nisbet, Dave Zeltserman, con l’obiettivo di far conoscere questi importanti nomi della letteratura internazionale.

Un catalogo ricco di tanti libri di generi diversi, ma quale pubblico volete raggiungere?
Il catalogo Fanucci si compone di varie collane, atte a soddisfare le esigenze di un pubblico dai gusti variegati.
· Teens (13-18 anni)
· Ragazzi (Tweens, Junior)
· Thriller e noir (Collane Vintage, Tif Extra, Gli aceri)
· Narrativa (Vintage)
· Fantasy e avventura (Collezione Fantasy, Tif Extra)
· Fantascienza (Collezione Dick, Tif Extra)
· Rosacrime (Gli Aceri)
Sempre nell’ottica di offrire ai propri lettori la più ampia gamma di scelta per quanto riguarda i generi letterari, Fanucci ha recentemente deciso di investire in un nuovo progetto, interamente dedicato al mondo femminile. Leggereditore, nuova casa editrice che ha mosso i primi passi nell’aprile 2010, nasce dalla consapevolezza che lo zoccolo duro dei lettori è composto in gran parte da donne. Il progetto editoriale è chiaro e semplice: fiction e non fiction per un pubblico femminile dai 25 ai 60 anni. Al progetto hanno già aderito autrici del calibro di Nora Roberts, Karen Rose, Iris Johansen, Lara Adrian, Kresley Cole, Alyson Noel, Jane Borodale, Heather Gudenkauf, Karen Robards, Kay Hooper, Kathryn Fox, Isabel Wolff, voci già note al pubblico internazionale e da anni al vertice delle classifiche più prestigiose. Ci proponiamo di affrontare un grande ventaglio di generi e sottogeneri, sempre ricordandone l’unicità, il valore, la dignità: dallo storico all’erotico, passando per il paranormal, l’avventura, l’urban fantasy, il romance puro, il chick-lit, sempre nel segno della qualità di storie indimenticabili che facciano sognare, amare, desiderare e riflettere le nostre lettrici. Non dimenticheremo neanche le grandi storie che coniugano un ottimo livello letterario con un appeal commerciale altrettanto forte, dando dunque il giusto spazio alla women’s fiction e all’up-market. La non fiction, ossia la varia, pubblicherà manualistica raffinata e intelligente. Gli autori saranno italiani e stranieri con un obiettivo non vincolante ma centrale: pubblicare (quasi) esclusivamente libri scritti da donne.
Un esperimento innovativo per il panorama italiano, nel quale molte lettrici sono condannate a fare acquisti soprattutto in edicola, costrette ad accontentarsi spesso di una fattura di qualità scadente, di traduzioni censurate e a vergognarsi addirittura di leggere determinati tipi di libri, sia per le copertine esplicite o poco decorose, sia per la scarsa considerazione che nel nostro Paese viene dedicata alla letteratura di genere, al romance e alle sue varianti. Siamo dunque contenti di poter dire che le lettrici “leggere” (come loro stesse si sono già definite in rete) non dovranno vergognarsi di curiosare in nessun tipo di genere letterario, dato che daremo la stessa dignità, e la medesima importanza a ciascuno di essi.

Da poche settimane è nata la seconda libreria Fanucci. Per quale motivo si è scelto di portare il libro dalla produzione allo scaffale?
In un periodo in cui le librerie indipendenti faticano a sopravvivere in un mercato controllato per la maggior parte da catene, forti ma senza un’anima, Fanucci editore ha deciso di aprire la sua seconda libreria con lo scopo di ripristinare il fondamentale rapporto di fiducia che da sempre esiste tra lettore e libraio. Quel rapporto che sta andando perdendosi in questi discount del libro, che offrono prezzi vantaggiosi a scapito della qualità di un servizio, di un mestiere che è fatto di passione, dedizione, amore per i libri.