"Le ricette di casa Clerici"- gustare con moderazione

Marianna Abbate
ROMA – L’indiscutibile simpatia di Antonella l’ha portata nel tempo a diventare una delle presentatrici più amate d’Italia. La sua semplicità e il suo calore “casalingo” sono gli ingredienti fondamentali del suo successo. Ingredienti che non mancano nel suo libro “Le ricette di casa Clerici” edito da Rizzoli, per lungo tempo dominatore delle classifiche di vendita. 
Perché la Clerici è una donna di successo. Dietro la sua dolcezza si nasconde una donna piena di temperamento, che ha saputo speziare la sua vita con un’immensa varietà di sapori.

Tutto questo dovrebbe bastare per acquistare il suo ricettario. Ma attenzione! Chi ha seguito almeno qualche volta “La prova del cuoco” sa che i gusti della Clerici non sono proprio sanissimi, e che la sua dieta non si può di certo consigliare a chi ha problemi di colesterolo. Basti pensare che il burro è l’ingrediente fondamentale di molte delle sue ricette, come per le famose “cotolette alla milanese” che non si possono di certo friggere sull’olio. Oppure per i suoi adorati risotti che misurano quasi più burro che riso. Bè, non si può certo darle torto, la sua cucina è saporita e nutriente. Dopo un pasto “alla Clerici” potrete tranquillamente arare dieci ettari di terreno.
Ma sfogliando attentamente il ricettario scopriremo anche sfiziose insalate che, se non si esagera nel condimento, potrebbero quasi compensare i grassi del piatto principale.
Sicuramente tra le duecentocinquanta ricette del libro sarà facile trovare qualcosa di adatto a tutta la famiglia. Ricette semplici di assicurato successo che Antonella ha raccolto tra consigli di parenti e amici, come dai grandi cuochi che partecipano alla sua trasmissione.
E se vi sentite un po’ pigri, tirate fuori quello che avete nel surgelatore e guardatevi le belle foto di casa Clerici.

Oggi scopri la ricetta del giorno di Chronache Culinarie su Chronica

"Pensieri di un terzino sinistro", quando il calcio diventa una "cosa seria".

Giulio Gasperini

ROMA – Nei 90 minuti di una partita di calcio ciascuno di noi (o almeno il tifoso) assiste all’azione, si entusiasma per i gol, si dispera per un’azione soffocata, per un palo centrato, per un cartellino rosso sollevato. In quei 90 minuti contempliamo una competizione, una gara che, spesso, assume i contorni d’una lotta: le declinazione contemporanea della guerra. Ma cosa succede, in quei 90 minuti, a un giocatore? Cosa pensa? Come si equilibra tra vita e gioco, tra esistenza e azione? Remo Carulli, giovane psicologo sportivo, sgrana una partita, come ce ne potrebbero essere tante, minuto dopo minuto, dirigendo il riflettore su un giocatore in particolare. I “Pensieri di un terzino sinistro” (Zona, 2009) diventano, dunque, declinazione di una figura che, oggi, ha assunto i contorni mitici dell’eroe post-moderno, del condottiero che guida le proprie truppe all’assalto d’una fortezza. E se non la espugna sono guai.
Remo Carulli ha il grande merito (soprattutto agli occhi di coloro ai quali il calcio, più che uno sport, è soltanto una fastidiosa manifestazione di delirio collettivo) di sublimare lo sport nel senso più stretto del termine e di renderlo significativa metafora della vita, dei movimenti e dei fraintendimenti, delle casualità e degli autolesionismi che, intrecciati tutti insieme, creano la Vita, quella con la V maiuscola. Sicché capiamo tutte le altre sentenze che son pronunciate dai giocatori, che siano portieri o attaccanti; capiamo il processo di indagine e di scoperta personale che il terzino compie nei confronti di sé stesso, relazionandosi non soltanto coi compagni ma anche coi rivali, anch’essi personaggi mitici che, di volta in volta, assumono contorni e tinte sempre diverse. Capiamo anche l’ironia (anche quando declinata nella sua forma estrema, ovvero il sarcasmo) con la quale Carulli, in una divertita architettura, sostiene il racconto: la capiamo perché è la stessa che, per sopravvivere, dovremmo applicare al racconto della Vita, quella vera.
Remo Carulli ha il merito di aver tentato di motivare il calcio, di presentarcelo come se fosse una “cosa seria”. Da parte nostra, noi, abituati alla contemporaneità (e alla realtà delle prime pagine dei quotidiani), potremmo anche riuscire a farci cullare dall’illusione.
Non sveliamo il risultato della partita; ché in realtà, di importanza, non ne ha molta. Parafrasando Kavafis, non è tanto importante la mèta, quanto piuttosto la strada che siamo costretti a percorrere per raggiungerla.

Hans Blumenberg e la sua "Teoria dell’inconcettualità"

Silvia Notarangelo
ROMA – La collana Terrain vague della :duepunti Edizioni si è recentemente arricchita dell’opera postuma di Hans Blumenberg, “Teoria dell’inconcettualità”, destinata a rappresentare il testamento spirituale del noto filosofo tedesco. Il testo, nato da inedite carte d’archivio raccolte da Anselm Haverkamp, sebbene ancora allo stadio di progetto, delinea, tuttavia, i fondamenti della prassi metaforologica, già espressi non solo all’interno di una serie di lavori preparatori, ma anche nel corso di una lezione accademica tenuta dal filosofo nel 1975.
Il saggio parte dalla definizione di concetto in quanto insieme di contrassegni mediante i quali è possibile selezionare quali rappresentazioni appartengano o meno ad un oggetto.

Esso possiede, quindi, un proprio campo di applicazione e si configura come il risultato di quella necessità, tipicamente umana, di operare con una certa “distanza spaziale e temporale”, nasce, in altre parole, dall’esigenza di dover rappresentare non tanto il presente, quanto “l’assente, il distante, il passato o il futuro”. Pur essendo un prodotto della ragione, il concetto non coincide con essa, dal momento che non riesce a realizzare tutto ciò che la ragione richiede. Tale lacuna viene colmata, secondo Blumenberg, dalle metafore, le quali, pur essendo già insite nel concetto, sono chiamate a supplire alla sua inadeguatezza, alla sue carenze, ai suoi limiti. La loro capacità di produrre qualcosa in più rispetto alla mera descrizione di uno stato di fatto, fa sì che riescano a coniugare “l’abito linguistico primario del riferimento alla realtà con quello secondario del riferimento alla possibilità”.

La metaforologia non può, dunque, limitarsi a considerare la metafora come un semplice ausilio alla costruzione di concetti ma deve inserirla all’interno di una più complessa teoria dell’inconcettualità, che il filosofo si augura riesca a ricostruire quegli orizzonti dai quali sono scaturiti gli “atteggiamenti e le costruzioni concettuali”.

"Sincopato tricolore": come i ritmi afroamericani riuscirono a conquistare il paese del melodramma.

Alessia Sità

ROMA – Anche questa settimana ChronicaLibri dedica una lettura per ricordare i ‘150 anni dell’Unità d’Italia’ e lo fa con Sincopato tricolore. C’era una volta il jazz italiano 1900-1960’ di Guido Michelone, edito da Effequ, nella collana Saggi pop.
In poco più di cento pagine è condensata la storia della musica e del costume italiano; in modo particolare, ci si sofferma sull’arrivo del Jazz, che da New Orleans giunge anche in Italia, e sulle novità da esso portate gradualmente in tutta Europa.
L’autore sonda gli anni pionieristici del cosiddetto ‘ritmo sincopato’, quando inizialmente venne accolto con molto stupore dal pubblico borghese, poi esaltato dalle avanguardie futuriste, in seguito censurato e additato come ‘selvaggio e negroide’ dal regime fascista e, infine, portato alle stelle con la Liberazione. Il tutto arricchito dalle interviste inedite a tre musicisti, che hanno lasciato un segno indelebile sulla scena jazzistica: Lino Patruno, Franco Cerri e Giorgio Gaslini.

‘Insomma, ciò che potrebbe definirsi sincopato tricolore simboleggia via via la pruriginosa curiosità della belle époque verso i suoni esotici (…)’.
Guido Michelone ci regala un piacevole documento che racconta gli anni del miracolo economico, attraverso la storia della musica, dei gruppi, delle orchestre, dei solisti e dei locali più chic dell’epoca.
Sincopato tricolore’ è un manuale essenziale che ci racconta, attraverso una bibliografia e una discografia dettagliata, come i ritmi afroamericani riuscirono a conquistare anche il paese dei melodrammi.

"Quelcheconta", un protagonista stravagante per le letture dei piccoli

ROMA “Quelcheconta” di Ruth Vilar con le illustrazioni di Arnal Ballester, è il  il novantanovesimo libro di Orecchio Acerbo Editore e arriva dal 23 febbraio in libreria per tutti i giovani lettori appassionati di numeri. Un postino innamorato dei numeri. Conta i campanelli che suona, le cassette della posta, le lettere che imbuca,  il numero dei francobolli… Tutti lo chiamano “Quelcheconta”. È un tipo estroso e stravagante. Come la sua bicicletta a nove ruote con la quale va a consegnare la posta in dieci paesi, lavorando undici ore al giorno, dodici giorni alla settimana per tredici mesi all’anno.

Orologio, calendario, contratto di lavoro sono per lui cose assolutamente secondarie.
Prima di tutto viene l’aritmetica! L’ordinata, sicura e rassicurante sequenza dei numeri.
Su di lei puoi fare conto, all’infinito e per sempre. In salita come in discesa.
Ma -consegnate ventidue lettere di licenziamento a ventuno famiglie rassegnate dopo i venti inutili ricorsi presentati, e vista la trepidante attesa  nella quale diciannove ragazze di diciotto anni si consumano aspettando le diciassette lettere  dei loro sedici  innamorati- si accorge che i conti non sempre tornano.
Perciò, riflettendo anche sul suo soprannome, si convice che, imparato a contare, bisogna imparare anche quel che conta.
E così, quando tre stupende principesse gli propongono di esaudire due dei suoi desideri, si accontenta di uno solamente: un mondo felice.
Un libro per giocare con i numeri. E per ricordare che le persone non sono numeri.
(Scheda libro a cura di Orecchio Acerbo Editore)

Arkadia Editore, amore e libertà nei libri

Giulia Siena
ROMA “Per noi il libro è un atto d’amore, un luogo di libertà, il punto finale di differenti professionalità che concorrono alla creazione di un contesto cartaceo che deve rispondere a precisi requisiti: bellezza, armonia, profondità, capacità di penetrazione nel mercato.  L’Arkadia Editore, giovane casa editrice sarda dalle forti basi professionali, guarda alla pubblicazione di un libro come al risultato a cui si arriva dopo tanto lavoro ma, allo stesso tempo, sa che è il punto dal quale si parte per arrivare al pubblico. Per conoscere meglio la proposta editoriale “Arkadia”, i loro libri e il loro pubblico, abbiamo intervistato l’editore, Riccardo Mostallino Murgia.

Qual è la proposta editoriale di Arkadia Editore?
Arkadia Editore cerca di proporre al pubblico un’ampia gamma di prodotti editoriali. Andiamo quindi dalla narrativa classica al libro per ragazzi, dalla saggistica storica a quella di inchiesta, passando per i pamphlet politici, i saggi di carattere etnico-antropologico, i libri di cinema e quelli turistici. Essendo una realtà nata solo nel 2009 ovviamente abbiamo cercato di selezionare il più possibile le nostre scelte, umane ed editoriali, seguendo il nostro fiuto – i professionisti di Arkadia lavorano a vario titolo nel mondo dei libri da parecchio – ma anche il nostro gusto. Al momento, con circa 50 titoli editi, Arkadia cerca di affermarsi non solo a livello locale ma, attraverso le librerie fiduciarie e i distributori regionali, anche in realtà differenti dalla propria. Non ci nascondiamo che l’impresa è tutt’altro che facile, ma siamo convinti di poter proporre “prodotti” di qualità che alla lunga daranno i loro frutti. Inoltre non siamo editori a pagamento e questo per noi è un vanto. Sarà anche per questo che in redazione, ogni giorno, arrivano decine e decine di proposte di pubblicazione!


Romanzi,saggi e libri per bambini: una casa editrice per tutti i gusti letterari?
Come dicevo la nostra forza sta forse proprio nella varietà di interessi che cerchiamo di soddisfare. Siamo partiti con l’intenzione di produrre libri di narrativa, spaziando nei diversi generi, per poi ritagliarci anche una fetta di mercato con libri turistici e per ragazzi. Ma senza strafare. Sappiamo di non essere colossi e che i passi vanno affrontati uno dopo l’altro. Siamo però contenti che una collana come Eclypse, di narrativa, sia già arrivata a undici titoli editi, tra i quali alcuni veramente molto belli a nostro avviso, come ad esempio Buenos Aires troppo tardi, di Paolo Maccioni, o Dalla scura terra, di Antonello Pellegrino. Certo, siamo affezionati anche ad altri “fanciulli” del nostro catalogo, ma questi ultimi due sono, diciamo un evoluzione del nostro modo di pensare la letteratura, più aperta verso certe tematiche. Ed infatti, la scelta dei titoli, avviene anche in base a sensazioni, a “pulsioni” che ci permettono di riflettere meglio su quella che è l’evoluzione della società. Libri come Diversamente come te o Boati di solitudine, ambientati nel mondo degli handicap o dei giovani disadattati, sono stati non solo forieri di un giusto riconoscimento da parte del pubblico, ma anche occasione per l’apertura di dibattiti, di conferenze, di momenti in cui riflettere.

Come mai la scelta di investire sugli autori emergenti?

Scommettere sugli autori emergenti è una sfida. Un po’ però lo impone anche il mercato. Stretti come siamo, noi piccoli editori, tra i grandi gruppi, trovare scrittori affermati che abbiano voglia di rimettersi in gioco è un’impresa abbastanza difficile. Mi sono sempre chiesto anche quale fosse la differenza tra uno scrittore noto e uno meno noto a parità di bravura. E la risposta è stata solo questa: il pubblico più numeroso. Per un piccolo editore investire nella comunicazione, farsi conoscere dai lettori, incentivare le vendite proponendo libri apprezzabili, è sempre più difficile. La grande firma non ti garantisce un successo di vendite. Né la qualità del prodotto, che comunque deve essere sempre sotto la responsabilità dell’editore. Tutti gli autori che fino ad oggi abbiamo pubblicato però, tranne rari casi, non erano proprio inediti nel vero senso della parola. Parliamo comunque di scrittori che si sono fatti le ossa “in provincia” e che sono capaci ad ogni modo di dire la loro. Asquer, Pellegrino, Aschieri, Maccioni, possono anche risultare poco conosciuti al grande pubblico, ma con la dedizione e la costanza, siamo sicuri che prima o poi riusciranno ad emergere. Il nostro compito è accompagnarli. Certo poi, quando ti capita di pubblicare Michela Murgia (premio Campiello) o Sandrone Dazieri o Buonanno o Abate (mi riferisco all’antologia di racconti Nyx), allora la visibilità aumenta… ma questa è una conseguenza del lavoro precedente. Crediamo infatti che non esistano figli (leggi autori affermati) di serie A e figli (leggi scrittori emergenti) di serie B. Sono tutti sullo stesso piano, capaci di esprimere emozioni, di caricarci l’anima con le loro parole… questo poi, alla fine dei conti, è il bello di questo mestiere. Una parentesi di fantasia tra un evento e l’altro della quotidianità.

Sempre meno libri venduti, sempre più case editrici: Arkadia Editore come vive questa continua “lotta”?
Questo è vero. Ed aggiungerei: forse meno lettori. Intendiamoci, lo zoccolo duro c’è e resiste… ma occorre anche salvaguardarlo. Fare in modo, prima di tutto, che i libri siano più accessibili e meno costosi. Non credo molto – forse perché ex libraio – all’ebook, anche se prima o poi sfonderà. Amo il piacere delle pagine che scorrono fra le dita e il loro profumo, però mi rendo conto che nel 2000 un libro di media grandezza costava 17.000 lire, ora un libricino di 100 pagine costa 12 euro (24,000 lire), una follia. Ma non è solo colpa degli editori. Diciamo che nel gioco rientrano tutti quei costi accessori che, purtroppo fanno levitare i prezzi: costi di stampa, di distribuzione, costi fissi etc. Tornando alla domanda però è vero anche che le case editrici sono tante. Però mi chiedo, quelle vere, quante sono? Quante sono quelle che fanno vera editoria, vera ricerca, vero editing, vero pressing letterario? Se parliamo dei piccoli ci sono tante belle realtà già affermate, altre che diligentemente si collocano nel loro mercato. I furbi invece. fortunatamente, prima o poi vengono smascherati e i loro cataloghi si riempiono di opere a pagamento che nessuno compra (tranne i parenti degli autori). Vede, io non sono a priori contro l’editoria finanziata, ma ci deve essere un limite. Se un libro è brutto, tale resta, anche se lo pubblica Mondadori o Feltrinelli (e recentemente se ne sono visti parecchi in giro, non necessariamente editi dai due colossi citati poc’anzi). Quindi diciamo che se il mercato non fosse drogato da questi pseudo editori, sicuramente avverrebbe una scrematura naturale. Perché alla fine dei conti è il mercato (ovvero il pubblico) che decreta il tuo successo. Resta il fatto che i piccoli approdano raramente alla grande ribalta… insomma pochi se li filano. Arkadia, ad esempio, ha pagato e in parte paga questo handicap. I nostri libri non vengono recensiti quasi mai nelle grandi testate giornalistiche nazionali… e le nostre pubblicazioni non sono ovunque. Ma questo è sì un cruccio, ma non un problema. Il tempo è galantuomo e riuscirà, ne sono sicuro, a dare il giusto valore ai nostri sforzi. D’altronde le critiche che riceviamo per i nostri libri sono sempre molto positive. Quindi siamo oltremodo fiduciosi di poter dire, molto presto, la nostra anche in ambiti più ampi.
 

"San Valentino dei fessi", storie per ogni tipo di amore

Giulia Siena
ROMA “Milla detesta i cliché, le feste (tele)comandate e i sentimenti in fiera. Se mai esistesse un patrono dell’ipocrisia, non potrebbere essere che lui, il Valentino dei fessi.” Oggi, 14 febbraio, fessi o non fessi, in molti festeggiano il giorno dell’amore secondo la tradizione e il calendario. Per loro e per tutti 80144 Edizioni porta in libreria “San Valentino dei fessi. Perché ti amavo ieri e ti amerò domani”. Diciassette scrittori per altrettante storie che mettono l’amore al centro di gioie, disguidi, sofferenze, tradimenti, ricordi e qualche frainteso. Ma la casa editrice romana non ha pensato solo agli innamorati… infatti “San Valentino dei fessi” raccoglie racconti talmente divertenti e dissacranti che, anche coloro che sopravvivono a questo giorno di febbraio senza sdolcinatezze e festeggiamenti possono trovare con questo libro qualcosa di buono nella festività più chiacchierata dell’anno.
E chi è solo, sta bene da solo e non pensa neanche lontanamente a brindare per San Valentino o per il collega single San Faustino? La giusta dose di ironia, trasporto e veridicità contenuta nei racconti dei talentuosi narratori, saprà catturare anche loro!

I 10 Libri di San Valentino

ROMA ChronicaLibri aveva pensato di accompagnarvi al giorno più romantico dell’anno facendovi “gustare” quotidianamente brevi chicche di alcuni importanti romanzi. Oggi vi sveliamo i titoli dei nostri 10 libri di San Valentino… voi potete leggerli, regalarli e consigliarli!

1. Sull’amore, Hermann Hesse
2. Undici minuti, Paolo Coelho
3. Una passione sinistra, Chiara Gamberale
4. Il conte di Montecristo, Alexandre Dumas (padre)
5. Un uomo, Oriana Fallaci
6. Dell’amore e di altri demoni, Gabriel García Marquez
7. D’amore e ombra, Isabelle Allende
8. Dieci inverni, Valerio Mieli
9. L’amante di Lady Chatterley, David Herbert Lawrence
10. I love you, goodbye, Cynthia Rogerson

E per i prossimi 10 libri che tematica suggerite?

150 anni di Libri d’Italia: Chi non ha amato "Cuore"?

Marianna Abbate
ROMALa recensione di oggi di “Cuore”, un classico della letteratura, non rientra solamente nella rubrica Vintage delle nostre letture, ma apre la sezione dei Libri per i 150 anni dell’Unità d’Italia. Infatti, ogni settimana, ChronicaLibri vi parlerà di testi e personaggi che attraverso la letteratura hanno “costruito” il Risorgimento italiano. 

Chi non è stato in classe con un Nobis figlio di papà arrogante, un Derossi bello, bravo e studioso, un Garrone tanto grande quanto buono e generoso? Chi, infine, non si è sentito un po’ come Enrico Bottini – la voce narrante di “Cuore. Libro per ragazzi” (Treves 1886 – Mondadori 2001) – preso dai mille dilemmi quotidiani che ogni bambino deve affrontare, sconfiggendo le proprie debolezze? 

Ho letto questo libro da bambina e l’ho amato. Ho amato la Maestrina dalla Penna Rossa e quella Piccola Vedetta Lombarda che ha dato la vita per la Patria. Li ho ammirati, nella mia ingenuità, per la loro purezza e per il loro coraggio. Ho sognato di diventare come loro. Di lasciare una traccia nel cuore di chi resta. 
Recentemente ho scoperto, invece che Edmundo de Amicis, autore nel 1886 del libro “Cuore”, era un manipolatore. Che il suo romanzo doveva educare i nuovi bambini italiani, inculcando loro subdolamente le virtù civili. Ho letto commenti severi, come le parole di Benedetto Croce, che bollavano l’autore Non artista puro, ma scrittore moralista.
E poi ho riletto il libro.
Ho pianto di nuovo per il Nelli e per il Crossi, per il tamburino sardo e durante tutto l’interminabile viaggio dagli Appennini alle Ande. E ho pensato che le intenzioni dell’autore potevano pur essere sbagliate, ma non per questo il suo è un brutto libro. Che, in fin dei conti, non c’è nulla di male nelle virtù civili: l’amore per la patria, il rispetto per le autorità e per i genitori, lo spirito di sacrificio, l’eroismo, la carità, la pietà, l’obbedienza e la sopportazione delle difficoltà che si presentano nella vita di ogni giorno. Valori fin troppo attuali, che ormai sono sconosciuti a bambini e adulti, che andrebbero riesumati per riuscire a ricordare cosa significa la parola “Italia”.
E quindi armatevi di fazzoletti e andate a cercare nella Vostra biblioteca: c’è un libro che Vi aspetta con il Cuore.


"Bread&Kids. Fare il pane in casa con i più piccoli", storia e ricette da forno

ROMA “Il pane è così semplice che si fa con soli tre ingredienti: il lievito, che lo fa gonfiare come una spugna e gli dà sapore, la farina di grano che gli dà sostanza nutritiva, l’acqua che gli dà forma e morbidezza. E poi ci vuole il calore del fuoco, il quarto ingrediente che non si mangia, ma che mette d’accordo gli altri tre.” Di una semplicità così sorprendente e allo stesso tempo misteriosa, la ricetta del pane porta con sé il fascino della tradizione. Ed è questa storia che si cerca di trasmettere anche ai giovanissimi apprendisti cuochi nel volume di Roberta Ferraris, “Bread&Kids. Fare il pane in casa con i più piccoli”. Pubblicato da Terre di Mezzo Editore, il libro racconta agilmente come il grano possa diventare un piatto, un pasto e una materia in continua evoluzione.
Infatti, è lo stesso grano che, diventando farina, si unisce all’acqua per fermentare e regalare all’impasto volume e sapore. Così il lievito garantisce morbidezza a quel semplice impasto che arriva in tavola sotto varie forme e con diversi sapori: pane all’olio, focaccia, pane alle castagne, treccia e bambola di pane, oltre che tante altre idee per impastare insieme ai più piccoli.
“Bread&Kids” (contiene un completo ricettario) racconta il pane, fa scoprire “la saggezza di questo alimento” ai più piccoli, ti spinge a miscelare farina, acqua e lievito e, naturalmente, vuole che anche i bambini si cimentino con le mani in pasta!

Oggi scopri la ricetta del giorno di Chronache Culinarie su Chronica