"D’amore e ombra", un classico di Isabel Allende

Alessia Sità
ROMA – Pensando alla Lettura vintage di questa settimana, ho riscoperto la bellezza di uno dei romanzi di Isabel Allende: “D’amore e ombra”, edito da Feltrinelli, nella collana Universale economica. La scrittrice cilena compose l’opera nel 1984, durante il suo esilio in Venezuela. Fra finzione e realtà, l’Allende ci racconta un’epoca che lei stessa definisce ‘di somma ingiustizia’.
Sullo sfondo di un Cile devastato dalla dittatura, portata nel 1973 da un Golpe militare guidato dal generale Pinochet, si snoda la vicenda dei tre protagonisti. Tre storie diverse accomunate da uno stesso destino.

La vita di Irene, una giornalista di buona famiglia, cambia subito dopo l’incontro con Francisco, un giovane appassionato di fotografia. I due lavorano su un’inchiesta giornalistica incentrata su Evangelina, una ragazzina dotata di poteri soprannaturali, scomparsa misteriosamente dopo aver messo in ridicolo un ufficiale. L’indagine condotta coraggiosamente dai due giovani porterà ad un terribile scandalo, le cui conseguenze saranno particolarmente dolorose.
Ancora una volta Isabel Allende riesce a coinvolgere il lettore in una narrazione ricca di particolari, di avvenimenti e di personaggi.
La vicenda – probabilmente frutto di una reale esperienza vissuta da alcuni amici della scrittrice – commuove, indigna, ma allo stesso tempo fa anche sperare.
“D’amore e ombra” è una splendida storia d’amore che non risulta mai banale o leziosa, ma soprattutto è un racconto che tiene col fiato sospeso fino alla fine.

"Fritto e mangiato", libro e dvd per ottime preparazioni

ROMA Centosessanta pagine di buona cucina sono quelle del libro “Fritto e mangiato”di Annalisa Barbagli e Stefania Barzini pubblicato da Giunti. Una collana innovativa – curata da Stefano Bonilli – che si propone di insegnare, in maniera accessibile anche ai principianti, regole e metodi del cucinare, proponendo le migliori ricette della cucina tradizionale e quelle della cucina moderna. Il linguaggio e il modo di spiegare le ricette sono attualissimi e di grande attendibilità.
L’intero progetto si propone come raffinato nella grafica, nello stile fotografico e nelle riprese, unito a una capacità divulgativa che coinvolge anche chi vuole usare questa scuola come primo approccio, ma rivolto agli appassionati già esperti per il tipo di ricette selezionate e per la qualità dei risultati ottenibili. 35 ricette con tutto quello che si può friggere, dal pane alla carne, dal pesce alle verdure ai dolci, per trasformare i più svariati ingredienti in deliziose polpette, crocchette, tempura e frittelle, secondo le ricette tradizionali e innovative italiane e del mondo. Nel DVD allegato Massimiliano Mariola vi prenderà per mano e vi insegnarà a preparare 10 gustosissime ricette: Bignè di gamberi con salsa agrodolce; Bomboloni; Falafel di ceci; Fish and chips; Frittura di triglie e zucchine a julienne; Mozzarella in carrozza; Pollo fritto alla toscana; Polpettine di pesce spada alla salsa di menta; Supplì alla romana; Tempura. Giornalista, inventore e fondatore nel 1986 del “Gambero Rosso” (da cui recentemente si è separato), Stefano Bonilli è uno dei maggiori “opinion leader” nel settore enogastronomico. Il suo nome è notissimo sia tra gli addetti ai lavori sia presso il grande pubblico, che oggi trova nel suo blog (http://blog.paperogiallo.net/) un punto di riferimento imprescindibile per aggiornarsi in un mondo in continua evoluzione.

Ogni sabato leggi la ricetta di “Chronache Culinarie” su Chronica

Ammaniti ritorna a emozionare con il suo nuovo romanzo, "Io e te"

Stefano Billi
Roma – Diffidate, o lettori, da quei presunti esponenti di una non meglio definita “intellighenzia” che etichettano i libricini come meri prodotti commerciali, oppure come esemplari mal riusciti di storie che in realtà meritavano ampio spazio.
In realtà, dietro questi libelli molto spesso si celano storie commoventi e toccanti, come ad esempio quella narrata in “Io e te”, il nuovo romanzo di Niccolò Ammaniti edito da Einaudi.
La trama di quest’opera presenta caratteri davvero peculiari ed interessanti: Lorenzo, il protagonista della vicenda, si rifugia per una settimana intera all’interno di uno scantinato con l’intenzione di evadere dalla realtà di un carattere – rectius, di una caratterialità – che lo rende introverso e chiuso verso il mondo che lo circonda.

Ammaniti tratteggia in maniera originale, ma anche sincera e schietta, la problematicità di un adolescente che fatica ad avere relazioni con i suoi coetanei e che tuttavia dovrà poi cercare di aprire le porte del suo cuore ad un’inaspettata intrusa, la quale arrecherà forte scompiglio alla volontaria detenzione che Lorenzo si era procurato.
In questo libro scritto dall’Ammaniti, riecheggiano quei tratti interessanti che avevano caratterizzato l’opera prima dell’autore (intitolata “Branchie” ed edita anch’essa da Einaudi); c’è da sottolineare, però, che “Io e te” presenta inoltre molti spunti che fanno intuire come in tutti questi anni la penna dell’autore sia evoluta e maturata.
Infatti, in questo suo nuovo romanzo, Ammaniti abbandona quel modus scrivendi talvolta eccessivamente licenzioso che era presente in “Branchie” per dedicarsi invece alla creazione di una nuova storia che è capace di stringere il cuore.
Ci sono sentimenti particolari, nella vita, che riescono a creare legami con persone che abbiamo conosciuto per poco tempo, quasi di sfuggita; ma, talvolta, proprio queste occasioni strappate al destino riescono a incidere le pieghe della memoria e così quelle avventure che si presentano prima facie come situazioni indesirate e moleste, poi ci portano a scoprire la ricchezza presente nell’altro.
Verrebbe da ricordare quelle righe poetiche scritte da John Donne, dove si afferma che nessun uomo è un’isola oppure quegli ideali sani ed eterni sull’importanza del confronto come fonte di crescita interiore e spirituale.
Altro aspetto di assoluto rilievo di questo libro dell’Ammaniti, consiste nel richiamo fatto dallo scrittore alla drammaticità della tossicodipendenza, tematica ancora attuale e che troppo spesso viene analizzata come una piaga del passato, di una generazione alla deriva nel mare di un contesto culturale (come quello a partire dagli anni Sessanta) dove la droga era rifugio e scappatoia ai problemi della vita.
Un centinaio di pagine, quelle di “Io e te”, che condensano una vicenda tenera e originale, a cavallo tra una gioventù che deve ancora sbocciare e una maturità inesorabilmente smarrita.
Ammanititi conferma il suo originalissimo talento in un nuovo romanzo da leggere tutto d’un fiato, da assaporare sino all’epilogo, riflesso di una vicenda che sa intenerire davvero.

Anteprima: leggi un estratto de "Il letto di rose", il nuovo romanzo di Nora Roberts (Leggereditore)

ROMA – In anteprima su ChronicaLibri un estratto del nuovissimo romanzo scritto da Nora Roberts e pubblicato da Leggere Editore. “Il letto di rose” è il secondo episodio della serie Il quartetto della sposa, che ha già conquistato il cuore di centinaia di migliaia di lettrici nel mondo.
1
I dettagli le affollavano la mente, molti in modo confuso,
Emma controllò l’agenda degli appuntamenti mentre prendeva
la prima tazza di caffè. Le consulenze consecutive le davano
la stessa carica della forte miscela zuccherata. Assaporandola, si appoggiò allo schienale della sedia nel comodo ufficio per leggere le annotazioni che aveva aggiunto a margine dei dati di ogni cliente.

Nella sua esperienza, la personalità della coppia – o spesso, più precisamente, della sposa – la aiutava a determinare il tono della consulenza, la direzione che avrebbero seguito.
Secondo la concezione di Emma, i fiori erano il cuore del matrimonio.
Che fossero eleganti o divertenti, ricercati o semplici, i fiori rappresentavano il romanticismo.
Il suo lavoro era dare ai clienti tutto il cuore e il romanticismo che desideravano.
Sospirò, si stiracchiò, poi sorrise al vaso di roselline sulla
scrivania. La primavera, pensò, era il meglio. La stagione dei
matrimoni entrava nel vivo… Il che significava giornate indaffarate
e lunghe notti a progettare, disporre, creare, non solo
per i matrimoni di questa primavera, ma anche per la successiva.
Amava la continuità quanto il lavoro stesso.
Ecco quel che Promesse aveva dato a lei e alle sue tre migliori
amiche. Continuità, un lavoro gratificante e quel senso
di realizzazione personale. E lei era finita a giocare con i fiori,
a vivere con i fiori, praticamente a immergersi tra i fiori ogni giorno.
Pensierosa, si osservò le mani, esaminando i piccoli graffi
e i tagli minuscoli. In certi giorni li considerava cicatrici fatte
sul campo di battaglia, in altri medaglie al valore. Quella mattina
desiderò soltanto di essersi ricordata di prenotare una manicure.
Diede uno sguardo all’ora, fece due calcoli. Di nuovo carica,
balzò in piedi. Facendo una deviazione in camera, prese
una felpa scarlatta col cappuccio e la infilò sopra il pigiama.
C’era abbastanza tempo per passare dall’edificio principale
prima di vestirsi e prepararsi per la giornata. Lì la signora Grady
avrebbe preparato la colazione, così Emma non avrebbe
dovuto frugare in tutta casa per cucinarsi qualcosa da sola.
La sua vita, pensò mentre scendeva le scale saltellando, era piena di squisiti privilegi.
Attraversò il soggiorno che utilizzava come reception e sala
di consulenza e si guardò rapidamente attorno mentre si
dirigeva alla porta. Avrebbe cambiato l’acqua ai fiori in esposizione
in tempo per il primo appuntamento della giornata,
ma oh, quei Lilium orientalis non si erano aperti meravigliosamente?
Uscì da quello che era stato l’alloggio per gli ospiti di villa
Brown e che ora era la sua casa e la base operativa di Bouquet,
la sezione di Promesse gestita da lei.
Respirò a fondo l’aria primaverile. E tremò.
Accidenti, perché non poteva fare un po’ più caldo? Era
aprile, per l’amor di dio. Era il tempo delle giunchiglie. Com’erano
allegre le viole del pensiero che aveva piantato nei
vasi. Si rifiutava di permettere a una giornata gelida – e, okay, a dirla tutta stava cominciando anche a piovigginare – di rovinarle l’umore.
Si strinse nella felpa, infilò la mano che non reggeva la tazza
di caffè in tasca e cominciò a camminare in direzione dell’edificio principale.
Le cose stavano tornando a prendere vita intorno a lei, ricordò a sé stessa. Se si guardava attentamente, si riusciva a scorgere la promessa del verde sugli alberi, l’indizio della delicata
fioritura del corniolo e del ciliegio. Quelle giunchiglie
volevano sbocciare, e i fiori di zafferano selvatico lo avevano
già fatto. Forse ci sarebbe stata un’altra nevicata primaverile,
ma il peggio era passato.
Presto sarebbe giunto il momento di sporcarsi le mani, di
portare alcune delle sue meraviglie fuori dalla serra e metterle
in mostra. Lei si occupava di bouquet, festoni e ghirlande,
ma niente superava madre natura nel fornire il più struggente
scenario per un matrimonio.
E niente, secondo lei, batteva villa Brown nel valorizzare tale scenario.

I giardini, il pezzo forte persino adesso, presto sarebbero
esplosi di colori, boccioli, profumi, invitando le persone a gironzolare
per i sentieri sinuosi e a sedersi su una panchina, a
rilassarsi al sole o all’ombra. Parker aveva incaricato lei – così
come dava incarichi a chiunque altro – di occuparsene,
quindi ogni anno si trovava a giocare, a piantare qualcosa di
nuovo, o a supervisionare la squadra di tecnici del paesaggio.
Le terrazze e i patii creavano dei deliziosi spazi utili all’aperto,
perfetti per matrimoni ed eventi… ricevimenti in piscina,
ricevimenti in terrazza, cerimonie nel roseto o sotto il
pergolato, o magari vicino al laghetto all’ombra di un salice.
Abbiamo ogni possibilità, pensò.
E la casa? C’era qualcosa di più elegante, di più bello? Il
meraviglioso blu tenue, quei caldi tocchi di giallo e crema,
tutti i vari profili del tetto, le finestre ad arco, le balconate in ferro battuto contribuivano a creare quel fascino raffinato. E poi il portico d’entrata sembrava fatto apposta per essere affollato
da vegetazione lussureggiante o da tessuti e colori complessi.
Da bambina aveva sempre pensato a quel posto come al
regno delle fate, con tanto di castello.
Ora era casa sua.
Girò in direzione della dépendance accanto alla piscina dove
la sua socia Mac viveva e gestiva il proprio studio fotografico.
Proprio mentre stava per afferrare la maniglia, la porta si
aprì. Emma sorrise, fece un cenno all’uomo allampanato con
i capelli spettinati e la giacca di tweed che stava uscendo.
«Buongiorno, Carter!»
«Ciao, Emma.»
La famiglia di Carter e la sua si frequentavano da che aveva
memoria. Ora Carter Maguire, ex docente di Yale e insegnate
di letteratura inglese nel liceo che avevano frequentato
da ragazzi, era fidanzato con una delle migliori amiche che avesse al mondo.
La vita non era semplicemente bella, pensò Emma. Era un dannato letto di rose.
Con quel pensiero in mente, non poté far altro che raggiungere
Carter a passo di danza, tirarlo per i risvolti della giacca
mentre si alzava in punta di piedi per dargli un sonoro bacio.
«Wow» disse lui, arrossendo leggermente.
«Ehi.» Mackensie, gli occhi assonnati, la massa di capelli
rossi luminosi nell’oscurità, si appoggiò allo stipite della porta.
«Ci stai provando con il mio ragazzo?»
«Magari. Te lo ruberei, ma tu l’hai sedotto e ammaliato.»
«Hai assolutamente ragione.»
«Bene.» Carter offrì a entrambe un sorriso confuso. «Questo
è davvero un ottimo inizio per la mia giornata. La riunione
dei docenti cui devo partecipare non sarà divertente nemmeno la metà di così.»
«Datti malato.» Mac abbassò il tono della voce con fare seduttivo.
«Ti darò io qualcosa di divertente.»
«Ah. Bene. Comunque… ciao.»
Emma sorrise guardandolo precipitarsi verso la macchina.
«È così carino
«Proprio così.»
«Ma guardati, Ragazza Felice.»
«Fidanzata Felice. Vuoi vedere di nuovo il mio anello?»
«Oooh» fece d’obbligo Emma mentre Mac sventolava le dita. «Aaah.»
«Stai andando a fare colazione?»
«Questo è il mio piano.»
«Aspetta.» Mac entrò un attimo, prese una giacca, poi si
chiuse la porta alle spalle. «Non ho nient’altro di pronto a parte il caffè, quindi…» Mentre scendevano insieme i gradini,
Mac aggrottò la fronte. «Quella è la mia tazza.»
«La vuoi indietro adesso?»
«Io lo so perché sono felice in questa merdosa mattina, ed
è la stessa ragione per cui non ho avuto tempo di fare colazione.
Si chiama ‘facciamo la doccia insieme’.»
«Ragazza Felice e anche Stronza Fanfarona.»
«E ne sono orgogliosa. Perché sei così allegra? Hai un uomo in casa?»
«Purtroppo no. Ma ho cinque consulenze questa mattina.
Il che è un modo grandioso di iniziare la settimana, e segue la scia della deliziosa conclusione della settimana scorsa, con il tè della cerimonia di ieri.»
«La nostra coppia di sessantenni che si è scambiata le promesse e ha festeggiato circondata dai figli di lui, quelli di lei e i nipotini. Non è stato solo dolce, ma rassicurante. Era la seconda
volta per entrambi, eppure eccoli lì, pronti a farlo di nuovo, spinti dal desiderio di condivisione e unione. Ho fatto degli scatti davvero belli. Comunque, credo che quei pazzerelli
ce la faranno.»
«Aproposito di pazzerelli, dobbiamo davvero cominciare
a parlare dei fiori per te. Dicembre sarà anche lontano,» disse rabbrividendo «ma arriverà in un baleno, come ben sai.»
«Non ho nemmeno deciso il tono della foto di fidanzamento.
Né dato un’occhiata ai vestiti, o scelto i colori.»
«Io sono fantastica nei toni delle pietre preziose» disse Emma con uno sfarfallio delle ciglia.
«Tu sei fantastica anche con addosso un sacco. Aproposito
di stronze fanfarone.» Mac aprì la porta che dava nello spogliatoio
e, poiché la signora Grady era tornata dalla sua vacanza invernale, ricordò di pulirsi i piedi. «Non appena troverò il vestito, discuteremo di tutto il resto.»
«Sei la prima tra noi a sposarsi. E a celebrare il matrimonio qui.»
«Già. Sarà interessante vedere come faremo a occuparci
del matrimonio e a parteciparvi allo stesso tempo.»
«Sai che puoi contare su Parker per la logistica. Se c’è qualcuno
che può far andare tutto liscio, quella è Parker.»
Entrarono in cucina, e nel bel mezzo del caos.
Mentre la sempre equilibrata Maureen Grady lavorava ai
fornelli, con movimenti efficienti e viso sereno, Parker e Laurel
si affrontavano da una parte all’altra della stanza.
«Bisogna fare così» insisté Parker.
«Stronzate, stronzate, stronzate.»
«Laurel, questi sono affari. Negli affari bisogna servire i clienti.»
«Lascia che ti dica cosa vorrei servire alla cliente.»
«Adesso smettila.» Parker, i folti capelli castani raccolti in
una coda, indossava già un completo blu notte in previsione
dell’incontro con i clienti. «Ascolta, ho già compilato una lista
con le sue scelte, il numero degli invitati, i suoi colori, le selezioni
floreali. Non dovrai neanche parlarle. Farò io da intermediario.»
«Adesso lascia che ti dica cosa puoi farci con la tua lista.»
«La sposa…»
«La sposa è una testa di cazzo. La sposa è un’idiota, una
stronzetta piagnucolosa che ha fatto ben presente quasi un
anno fa che non avrebbe avuto né il bisogno né il desiderio di
servirsi dei miei particolari servigi. La sposa può baciarmi le
chiappe, che saranno tutto ciò che di mio avvicinerà alla bocca,
perché non mangerà niente preparato da me ora che si è
resa conto della propria stupidità.»
Con addosso pantaloni di cotone e canottiera che usava
per dormire, i capelli ancora spettinati, Laurel si lasciò cadere
su una sedia nell’angolo della colazione.
«Devi calmarti adesso.» Parker si chinò per prendere una
cartellina. Probabilmente gettata a terra da Laurel, pensò Emma.
«Tutto quello che ti serve è qui.» Parker posò la cartellina
sul tavolo. «Ho già assicurato alla sposa che esaudiremo le
sue richieste, quindi…»
«Quindi disegnerai e preparerai una torta di nozze di quattro
strati tra adesso e sabato, e una torta dello sposo, e una selezione
di dessert. Per duecento persone. E lo farai senza esserti
preparata in precedenza e con tre eventi nel week-end e
un evento serale nel giro di tre giorni.»
Con il viso mutato in un’espressione ribelle, Laurel prese la
cartellina e la fece scivolare deliberatamente sul pavimento.
«Adesso ti stai comportando come una bambina.»
«Bene. Sono una bambina.»
«Ragazze, le vostre amichette sono venute a giocare» cantilenò
la signora Grady, in tono eccessivamente dolce, gli occhi che ridevano.
«Oh, sento la mamma che mi chiama» disse Emma e fece per uscire dalla stanza.
«No, non ci provare!» Laurel scattò in piedi. «Senti questa.
Il matrimonio Folk-Harrigan. Sabato, evento serale. Ricorderai,
ne sono certa, come la sposa abbia storto il naso al solo
pensiero che Delizie di Promesse provvedesse alla torta o a
uno qualsiasi dei dessert. Come ha schernito me e i miei suggerimenti e ha ribadito che sua cugina, chef pasticcere a New York che ha studiato a Parigi e ha disegnato torte per occasioni
importanti
«Ti ricordi cosa mi ha detto?»
«Ah.» Emma si spostò leggermente perché il dito di Laurel
puntava dritto al suo cuore. «Non le parole esatte.»
«Be’, io sì. Ha detto che era sicura – e lo ha detto con quel
tono di scherno – che era sicura che potessi occuparmi discretamente
della maggior parte delle occasioni, ma che lei voleva
il meglio per il proprio matrimonio. Me lo ha detto in faccia.»
«Scortese da parte sua, senza dubbio» cominciò Parker.
«Non ho finito» disse Laurel a denti stretti. «Ora, all’ultimo
momento, sembra che la geniale cugina sia scappata con
uno dei propri clienti. Scandalo, scandalo, visto che il suddetto
cliente le aveva commissionato la torta per il suo fidanzamento.
Adesso questi due sono spariti e la sposa vuole che
subentri io e salvi il suo grande giorno.»
«Il che è quello che faremo. Laurel…»
«Non lo sto chiedendo a te.» Le dita puntate su Parker si spostarono
a indicare Mac ed Emma. «Lo sto chiedendo a loro.»
«Che? Hai detto qualcosa?» Mac offrì un sorriso tutto denti.
«Scusa, dev’essermi rimasta dell’acqua nelle orecchie dopo la doccia. Non ho sentito una parola.»
«Vigliacca. Em?»
«Colazione!» La signora Grady girò un dito per aria. «Tutte a tavola. Omelette di chiare d’uovo su pane di segale tostato. Sedete, su. Mangiate.»
«Non mangerò finché…»
«Sediamoci.» Interrompendo l’ennesima filippica di Laurel,
Emma cercò un tono conciliante. «Dammi un minuto per pensare. Sediamoci tutte quante e… oh, signora G, sembra favoloso.» Afferrò due piatti, usandoli come scudi si diresse di
corsa verso l’angolo della colazione. «Ricordiamoci che siamo una squadra» esordì.
«Non sei tu quella insultata e sommersa di lavoro.»
«In realtà, sì. O almeno lo sono stata. Whitney Folk è il primo
esemplare certificato di Spozilla della storia. Potrei riferirvi
gli incubi personali che ho avuto con lei. Ma questa è una storia per un altro giorno.»
«Ne ho qualcuna anch’io» si inserì Mac.
«Così hai riacquistato l’udito» borbottò Laurel.
«È scortese, pretenziosa, viziata, difficile e sgradevole»
continuò Emma. «Di solito quando pianifichiamo un evento,
persino con i problemi che possono insorgere e le comuni
stranezze di certe coppie, mi piace pensare che li stiamo aiutando
a delineare un giorno che darà inizio al loro ‘per sempre
felici e contenti’. Con questa qui? Mi sorprenderei se durasse
due anni. È stata scortese con te, e non credo si trattasse
di scherno, ma di compiacimento. Non mi piace.»
Ovviamente inorgoglita dal sostegno ricevuto, Laurel mostrò
la propria soddisfazione a Parker, poi cominciò a mangiare.
«Detto questo, siamo una squadra. E i clienti, anche le stronzette
compiaciute, devono essere serviti. Questi sono buoni
motivi per farlo» disse Emma mentre Laurel le metteva il broncio.
«Ma ce n’è uno più importante. Farai vedere a quel suo culo
piatto, secco, scortese e compiaciuto cosa può fare uno chef
pasticcere davvero geniale, e per di più sotto pressione.»
«Questa l’ha già usata Parker.»
«Oh.» Emma tagliò una fettina sottile della propria omelette.
«Be’, è la verità.»
«Potrei cuocermi al forno anche quella mangiauomini di sua cugina.»
«Senza dubbio. Personalmente, credo che dovrebbe strisciare, almeno un po’.»
«Se strisciasse mi andrebbe bene» considerò Laurel. «E anche se implorasse.»
«Dovrei essere in grado di fornire un po’di entrambe le cose.» Parker sollevò il proprio caffè. «Inoltre l’ho informata che per soddisfarla con così poco preavviso dovremmo applicare
una penale. Le ho aggiunto il venticinque percento. Ha accettato
come se si trattasse di un’ancora di salvezza, e in realtà ha pianto di gratitudine.»
Una nuova luce balenò negli occhi viola di Laurel. «Ha pianto?»
Parker piegò il capo e alzò un sopracciglio rivolta a Laurel.
«Allora?»
«Anche se la storia del pianto mi scalda il cuore, dovrà comunque
accettare quello che le darò e farselo piacere.»
«Assolutamente.»
«Devi solo informarmi di cosa decidi o quando lo decidi»
le disse Emma. «Preparerò i fiori e le decorazioni per la tavola.»
Diede un’occhiata comprensiva a Parker. «Ache ora ti ha chiamato per dirti tutto questo?»
«Stanotte alle tre e venti.»

Laurel diede un buffetto sulla mano di Parker. «Scusami.»
«Questa è la parte di lavoro che spetta a me. Ce la faremo. Ce la facciamo sempre.»
Ce la facevano sempre, pensò Emma mentre cambiava
l’acqua ai fiori nel soggiorno. Era certa che sarebbe sempre
stato così. Diede uno sguardo alla foto che conservava in una
semplice cornice bianca, e che ritraeva tre bambine che giocavano
a ‘Matrimonio’ in un giardino d’estate. Quel giorno aveva fatto la sposa e aveva tenuto il bouquet di erbacce e fiori selvatici, aveva indossato il velo di pizzo. Ed era stata incantata
e deliziata quanto le amiche quando la farfalla blu si
era posata sul dente di leone del suo bouquet.
Anche Mac era lì, naturalmente. Dietro la macchina fotografica,
a immortalare quel momento. Considerava un miracolo
non da poco che avessero trasformato il fantasioso gioco
della loro infanzia in una florida società.
Niente più denti di leone adesso, pensò mentre sprimacciava
i cuscini. Ma quante volte aveva visto lo stesso sguardo
deliziato e incantato sul viso di una sposa quando le offriva
un bouquet studiato appositamente per lei. Solo per lei.
Sperò che l’incontro che stava per iniziare alla fine si risolvesse
la primavera successiva con lo stesso sguardo incantato
sul volto della sposa.
Sistemò le sue cartelline, i suoi album, i suoi libri, poi si diresse
allo specchio per controllare capelli, trucco e la linea del
completo pantalone che aveva indossato.
La presentazione, pensò, è una priorità per Promesse.
Si allontanò dallo specchio per rispondere al telefono:
«Bouquet di Promesse. Sì, ciao, Roseanne, certo che mi ricordo
di te. Matrimonio in ottobre, giusto? No, non è troppo presto per prendere queste decisioni.»
Mentre parlava, Emma prese l’agenda dalla scrivania e la
aprì. «Possiamo organizzare una consulenza la prossima settimana,
se per te va bene. Puoi portare una foto del vestito?
Grandioso. E hai già scelto gli abiti per le damigelle, o i loro colori?
Mmh-mmh. Ti aiuterò io per ogni cosa. Che ne dici di lunedì alle due?»
Segnò l’appuntamento, poi guardò sopra la propria spalla quando sentì l’auto avvicinarsi.
Una cliente al telefono, un’altra alla porta.
Quanto amava la primavera!
Emma mostrò all’ultima cliente della giornata l’area di
esposizione in cui teneva composizioni con la seta e bouquet,
insieme ad altri modelli sui tavoli e sugli scaffali.
«Questo l’ho preparato quando mi hai mandato l’email
con la foto del tuo abito e l’idea base dei tuoi colori e fiori preferiti.
So che mi avevi detto che preferivi un grande bouquet a cascata, ma…»
Emma prese dallo scaffale il bouquet di rose e lilium legato con un nastro di seta bianco tempestato di perle. «Volevo soltanto che vedessi questo prima di prendere una decisione
definitiva.»
«È bellissimo, e in più sono i miei fiori preferiti. Ma non sembra, non so, grande abbastanza.»
«Con la foggia del tuo vestito, la linea della gonna e la
splendida decorazione di perline del corpetto, il bouquet più
contemporaneo potrebbe stridere un po’. Voglio che tu abbia
esattamente ciò che desideri, Miranda. Questo modello è più
vicino a quello che avevi in mente.»
Emma prese un bouquet a cascata dallo scaffale.
«Oh, è come un giardino!»
«Sì, è vero. Lascia che ti mostri un paio di foto.» Aprì il raccoglitore
sul bancone, ne tirò fuori due.
«È il mio vestito! Con i due bouquet.»
«La mia socia, Mac, fa magie con Photoshop. Queste ti
danno un’idea piuttosto precisa di come ogni stile risulti con
il tuo abito. Non c’è una scelta sbagliata. È il tuo giorno, e ogni
dettaglio deve essere esattamente come desideri.»
«Però hai ragione tu, vero?» Miranda studiò entrambe le
foto. «Quello grande in un certo senso, be’, mette in ombra il
vestito. Ma l’altro, sembra proprio fatto apposta. È raffinato,
ma pur sempre romantico. È romantico, no?»
«Direi di sì. I lilium, con quel tocco di rosa, contrastano con
le rose bianche e il pizzico di verde chiaro. La trama del nastro
bianco, il bagliore delle perle. Ho pensato, se la cosa ti piace,
che potremmo usare solo i lilium per le tue damigelle, forse
con il nastro rosa.»
«Credo…» Miranda portò il modello di bouquet davanti allo
specchio orientabile vecchio stile posizionato nell’angolo
della stanza. Il sorriso le sbocciò come un fiore sul viso mentre
studiava la propria immagine. «Credo che sembri fatto da
una fata davvero molto creativa. E lo adoro.»
Emma ne prese nota sul suo taccuino. «Ne sono lieta. Lavoreremo a partire dai bouquet. Metterò dei vasi trasparenti sul tavolo principale, così i bouquet non solo resteranno freschi,
ma serviranno anche come elemento decorativo durante
il ricevimento. Ora, per il lancio del bouquet stavo pensando
alle sole rose bianche, in formato più piccolo di questo.»
Emma prese un altro modello. «Legate con nastri bianchi e rosa.»
«Sarebbe perfetto. Si sta rivelando tutto più semplice di
quanto pensassi.»
Compiaciuta, Emma prese un altro appunto. «I fiori sono
importanti, ma devono anche essere divertenti. Non ci sono
scelte sbagliate, ricordalo. Da tutto quello che mi hai detto, vedo
‘romantico moderno’come stile del matrimonio.»
«Sì, è esattamente quello che cerco.»
«La tua nipotina, la prima damigella, ha cinque anni, giusto?»
«Li ha compiuti proprio il mese scorso. È davvero eccitata
al pensiero di spargere i petali di rosa lungo la navata.»
«Ci scommetto.» Emma cancellò dalla propria lista mentale
l’idea di un pomander. «Potremmo usare questo cesto stilizzato,
rivestito di satin bianco, decorato con roselline, circondato
anch’esso di nastri rosa e bianchi. Potremmo farle
un’aureola, sempre di roselline bianche e rosa. Dipende dal
vestitino, e da quello che ti piace, possiamo mantenerlo sul
semplice oppure potremmo far scendere dei nastri lungo la schiena.»
«I nastri, assolutamente. È proprio civettuola. Sarà elettrizzata
all’idea.» Miranda prese l’aureola che Emma le stava porgendo.
«Oh, Emma. Sembra una coroncina! Da principessa.»
«Esattamente.» Quando Miranda la sollevò per metterla
sulla propria testa, Emma rise. «Una bambina di cinque anni
sarà in estasi. E tu sarai per sempre la sua zia preferita.»
«Sarà un amore. Sì, sì, a tutto. Cesto, aureola, nastri, rose, colori.»
«Grandioso. Mi stai rendendo facile il lavoro. Ora pensiamo alle madri e alle nonne. Potremmo fare dei corsage, al polso o appuntati su una spalla, usando rose o lilium o entrambi. Ma…»
Sorridendo, Miranda posò di nuovo l’aureola. «Ogni volta
che dici ‘ma’si tratta di un’idea fantastica. Quindi, ma?»
«Pensavo che potremmo rispolverare il classico tussymussy.»
«Non ho idea di cosa sia.»
«È un piccolo bouquet, come questo, inserito in un piccolo
contenitore per mantenere i fiori freschi. Potremmo sistemare
dei sostegni ai loro tavoli, sempre a scopo decorativo,
solo un po’ più degli altri. Potremmo usare lilium e rose, in
miniatura, ma forse invertendo i colori. Rose rosa, lilium
bianchi, il solito tocco verde chiaro. Oppure, se non si accompagnano
ai loro vestiti, tutto bianco. Piccoli, non troppo delicati.
Io userei qualcosa come questo in argento, niente di troppo
elaborato. Poi potremmo farli incidere con la data delle
nozze, o i vostri nomi, i loro nomi.»
«È come se avessero i loro bouquet. Come se fossero una
miniatura del mio. Mia madre…»
Quando gli occhi di Miranda si inumidirono, Emma si
sporse per prendere la scatola di fazzolettini che teneva a portata
di mano.
«Grazie. Li voglio. Devo pensare ai monogrammi. Mi piacerebbe
discuterne con Brian.»
«Abbiamo tutto il tempo.»
«Ma li voglio. Il contrario del mio, credo, perché così sono
più personali. Resterò seduta qui per un minuto.»
Emma andò a sedersi con lei, mise i fazzoletti in un punto
accessibile per Miranda. «Sarà bellissimo.»
«Lo so. Lo vedo. Riesco già a vederlo, e non abbiamo ancora
cominciato con le decorazioni e i centrotavola e, oh, tutto
il resto. Ma riesco a vederlo. Devo dirti una cosa.»
«Certamente.»
«Mia sorella, la mia… damigella d’onore? Mi ha davvero
fatto pressione perché ci affidassimo a Felfoot. È sempre stato
il
«È favoloso, e fanno sempre un ottimo lavoro.»
«Ma Brian e io ci siamo innamorati di questo posto. L’aspetto,
l’atmosfera, il modo in cui voi quattro lavorate insieme. Ci
è sembrato adatto a noi. Ogni volta che vengo qui, o che incontro
una di voi, so che avevamo ragione. Avremo il più
splendido dei matrimoni. Mi dispiace» disse, asciugandosi di
nuovo gli occhi.
«Non devi.» Emma prese un fazzolettino per sé. «Sono lusingata,
e niente mi rende più felice dell’avere una sposa seduta
qui a piangere lacrime di gioia. Che ne dici di un bicchiere
di champagne per alleggerire un po’ le cose prima di
cominciare con le boutonnière?»
«Davvero? Emmaline, se non fossi innamorata pazza di
Brian, chiederei a te di sposarmi.»
Con una risata, Emma si alzò. «Torno subito.»
Più tardi, Emma salutò l’eccitatissima sposa e, moderatamente
esausta, si sistemò nel proprio ufficio con un bricco di
caffè. Miranda aveva ragione, pensò mentre registrava tutti i
dettagli. Avrebbe avuto il più splendido dei matrimoni. Una
marea di fiori, un’atmosfera contemporanea con tocchi di romanticismo.
Candele e lo splendore, e il luccichio di nastri e
velo. Rosa e bianco con una punta di blu e verde a fare da contrasto.
Argento brillante e vetro trasparente per dare risalto.
Linee lunghe e la stravaganza delle luci.
Mentre preparava un contratto particolareggiato, si congratulò
con sé stessa per la giornata molto produttiva. E poiché
avrebbe trascorso la maggior parte di quella successiva
lavorando ai preparativi del loro evento serale di metà settimana,
considerò l’idea di andare a letto presto.
Avrebbe resistito alla tentazione di andare a vedere cos’aveva cucinato per cena la signora G, si sarebbe preparata un’insalata, magari un po’di pasta. Si sarebbe accoccolata sul
divano con un film o una pila di riviste, avrebbe chiamato sua
madre. Sarebbe riuscita a fare tutto, a trascorrere una serata
rilassante e a essere a letto per le undici.
Mentre correggeva la bozza del contratto, il telefono emise
i due squilli ravvicinati che segnalavano la sua linea personale.
Controllò il display, sorrise.
«Ciao, Sam.»
«Ciao, bellissima. Che ci fai a casa quando dovresti essere
fuori con me?»
«Sto lavorando.»
«Sono le sei passate. Molla tutto, tesoro. Adam e Vicki danno
una festa. Potremmo mangiare qualcosa insieme prima.
Ti passo a prendere tra un’ora.»
«Ehi, calma. Ho detto a Vicki che questa sera proprio non
mi andava bene. Ho avuto una giornata piena oggi, e ne avrò
ancora per un’ora prima di…»
«Dovrai pur mangiare, no? E se hai lavorato tutto il giorno,
meriti un po’di svago. Vieni a divertirti con me.»
«È carino da parte tua, ma…»
«Non farmi andare alla festa da solo. Facciamo un salto lì,
beviamo qualcosa, un paio di risate, ce ne andiamo quando
ci pare. Non spezzarmi il cuore, Emma.»
Gettò uno sguardo al soffitto e vide il suo piano per una serata
di relax andare in fumo. «Non ce la faccio per cena, ma
possiamo vederci lì per le otto.»
«Ti passo a prendere alle otto.»
E poi farai di tutto per entrare quando mi riaccompagnerai
a casa, pensò. E questo non succederà. «Ci vediamo là. Così
se io me ne devo andare e tu vuoi restare a divertirti, puoi
farlo.»
«Se questo è il massimo che riesco a ottenere, ci sto. Ci vediamo là.»
posto a Greenwich, lo sai, ed è bellissimo.»
, si sarebbe occupata di tutti i dolci.

"In viaggio con Kapuściński", dialogo sull’arte di partire

Silvia Notarangelo

ROMA – Nasce da una profonda e sincera ammirazione, unita ad una passione condivisa per il viaggio, il breve profilo che il giornalista Andrea Semplici dedica a Ryszard Kapuściński, reporter polacco scomparso nel 2007.
“In viaggio con Kapuściński”, pubblicato da Terre di Mezzo Editore (collana I singoli), attraverso rapidi flash sulla vita e sugli scritti del reporter, offre una riflessione sulla condizione del viaggiatore, di colui che sceglie di farsi guidare dalla curiosità per scoprire e conoscere nuovi territori.
Semplici racconta al lettore il “suo” Kapuściński, o meglio Kapu, come amava farsi chiamare. Un uomo che ha rifiutato la qualifica di giornalista sentendosi più vicino ad un “interprete”, impegnato a tradurre “da una cultura ad un’altra”.

Il suo desiderio di varcare quelle frontiere dove regnano “silenzio e mistero”, la sua irrefrenabile sete di conoscere l’ignoto “che sta oltre la linea dell’orizzonte” lo portarono, complici una serie di fortunate casualità, ad intraprendere un viaggio durato una vita intera. La prima, inaspettata meta del giovane inviato è stata l’India, seguita dall’Africa, e da dieci lunghi anni trascorsi a raccontare le sue drammatiche rivoluzioni.
Fra i tanti paesi visitati da Kapu non è mancata l’Italia, dove ha avuto modo di intrattenersi, per qualche giorno, proprio in compagnia di Semplici.
Dell’incontro, tanto atteso, il giornalista italiano ricorda la timidezza e la curiosità del collega, la sua capacità di restare nell’ombra, di mimetizzarsi tra le persone che incontrava mostrando, per tutti, grandissimo rispetto, perché senza gli altri “non ci sarebbero storie da raccontare”. Un uomo che ha fatto del nomadismo la sua ragione di vita, che ha preferito indossare le ali e non piantare più facili radici, che si è sforzato di diventare parte di quel mondo che voleva descrivere, perché un viaggio ha senso solo quando diventa “territorio di incontri, saperi e conoscenze”.

"Risorgimento… Da tante italie a una Italia", 150 anni di storia per bambini

ROMA “Risorgimento… Da tante italie a una Italia” pubblicato da Talmus-Art, è il libro di Vincenza Musardo Talò rivolto a tutti i ragazzi. Abbiamo scelto questa lettura per ricordare i 150 anni dell’Unità d’Italia nella nostra rubrica Leggendo Crescendo. Questo agile volume – che si impianta su quaranta minitemi di storia dell’Unità – offre un panorama ampio e diversificato di quel che è stato il Risorgimento, senza dover seguire un percorso obbligato di lettura. Ogni pagina può essere la prima o l’ultima da leggere, ogni pagina è un pezzo accattivante di Storia che si apre e si chiude, con una raffigurazione a colori, opera unica di artisti contemporanei, che hanno ideato quasi una storia per immagini.


È così che gli ideali e i valori, i protagonisti e gli eventi dell’Unità, accompagnano il lettore nel fascinoso e suggestivo viaggio nel tempo, partendo dal Congresso di Vienna, per giungere alla proclamazione di Roma, capitale d’Italia. Questo lavoro è un dono a ogni italiano, per accostarsi alla conoscenza delle più belle testimonianze del Risorgimento, il cui fine ultimo fu quello di far nascere, in noi italiani, la coscienza nazionale e il nobile sentimento della italianità.

"Se si cerca la verità non esiste luogo peggiore della letteratura": ChronicaLibri intervista Remo Carulli

Giulio Gasperini
ROMA –
Ho conosciuto Remo Carulli qualche estate fa, sotto altri cieli, in terre lontane. Lui mi consigliò che mète andare a visitare nel mio vagabondaggio, io gli parlavo di libri e si discuteva di vita, in ogni declinazione. A quel tempo stava finendo di studiare: psicologia; e non sapeva ancora che strada prendere. Adesso è diventato psicologo sportivo. Sicché si capisce la profondità del romanzo che ha scritto, “Pensieri di un terzino sinistro”, che non potrebbe esser stato – per motivi chiari a chi l’ha letto o leggerà – scritto da un estraneo all’argomento. È stato un piacere ritrovare Remo in quest’occasione, dandogli la possibilità di argomentarsi, con le sue risposte; e di dare, a noi, qualcosa in più.

Remo, dal tuo romanzo si evince che il calcio “è cosa seria”. La prima domanda, ahimè, inevitabile, è come si possa armonizzare l’interiorità splendida del tuo terzino eroe con gli scandali che, da anni, pubblici o privati, stanno martoriando il mondo del calcio “made-in-italy”.In realtà non è necessaria alcuna armonizzazione. La differenza tra i calciatori che invadono le nostre cronache e il mio terzino non è rintracciabile nell’etica o nei valori che animano le rispettive condotte, bensì nel livello di consapevolezza di se stessi. Il protagonista del romanzo, come qualsiasi calciatore reale, è egoista, scorretto, meschino, e allo stesso tempo capace di slanci di generosità e compassione. Semplicemente, egli non nasconde la propria complessità dietro il paravento di ideali che non riuscirà mai a incarnare, e ha il coraggio di dichiarare le proprie contraddizioni, invece di rinnegarle e svilire se stesso. Forse la premessa alla tua domanda va rovesciata. Forse il problema è che il mondo del calcio si prende troppo sul serio…

Quando ti è venuto in mente che il calcio potesse essere considerato come grande metafora di Vita e, ancor più strabiliante, come campo stesso d’applicazione della complessità della retorica?Credo che chiunque ami il calcio abbia riscontrato come molte scelte che la vita di tutti i giorni propone siano rappresentabili dalle specifiche situazioni di una partita. Io ho provato, per gioco, a estendere il parallelismo anche all’insorgenza delle emozioni, alle relazioni che le persone stringono tra loro, e alle forze, istintuali e sociali, che dilaniano ogni uomo. Mi sono reso conto in fretta dei vantaggi che questa struttura mi avrebbe fornito: i limiti spaziali e temporali presupposti dal racconto di una singola partita sono rassicuranti per chi si affaccia per la prima volta alla narrativa, e diminuiscono il rischio di perdersi per strada; il ricorso alla retorica garantisce possibilità di analisi estremamente sofisticate; il rigore metodologico sopperisce alle proprie mancanze espressive. E così, da un giorno all’altro, ho intrapreso questa avventura.
Se noi non ci siamo ancora riusciti a concedere questo valore al calcio, questo significato di più ampia metafora, doppiamo imputare la colpa ai calciatori che affollano (e flagellano) i canali di comunicazione? O a cos’altro?Io credo vada imputata al fatto che la parola “calcio” evoca le sequenze che passano in tv, i dibattiti incivili, la consapevolezza delle cifre disumane che arricchiscono personaggi privi di cultura, l’invidia e lo sdegno che questo determina. Se invece l’abitudine portasse ad associare questa parola allo sport che si pratica nei campi di periferia, con passione e disinteresse, probabilmente le sue possibilità narrative sarebbero più facilmente riconosciute.


Il tuo romanzo è denso di sentenze, dirette e ironiche, intense ma spesso spietate. Sentenze che contornano la figura del terzino e, parallelamente, quella degli altri giocatori e degli altri uomini. Sei veramente convinto che siano così inderogabilmente applicabili anche alla Vita, oppure rappresentano una sorta di artificio narrativo per meglio motivare e tarare la penetrazione intima del terzino?Certo, ne sono convintissimo! O meglio, sono applicabili alla vita nella misura in cui lo sono al calcio. È sulla liceità di entrambe le operazioni che si potrebbe discutere: Paul Valery asseriva che “categorizzare impedisce di conoscere”; Adorno affermava che “la comunicazione è il tradimento dell’oggetto della comunicazione”; Miguel de Unamuno provocatoriamente – ma non troppo – diceva che ogni riflessione che l’uomo fa su se stesso è in realtà un modo per alimentare l’illusione che esista qualcosa oltre il puro istinto. Dedicarsi alla scrittura significa dedicarsi all’artificio, all’arbitrarietà, indipendentemente dall’oggetto che si sceglie. Se si cerca la verità, qualunque essa sia, non esiste luogo peggiore della letteratura.


Remo, adesso una domanda che noi di ChronicaLibri rivolgiamo spesso agli scrittori: quali sono le tue tre parole preferite?Domanda difficilissima: beh, onomatopeico, perché da piccolo, prima di conoscerne davvero il significato (fu una delusione tremenda), rappresentava per me il mistero e la bellezza arcana della lingua; immondizia; e poi follia.

"Senza tacchi", ma neanche in punta di piedi

Marianna Abbate
ROMA – Fare la modella è il sogno di migliaia di ragazzine. Sfilare con quegli abiti meravigliosi e fluttuanti, occupare tutti i manifesti della città, sorridere ai fotografi e firmare autografi. Inutile ripetere che questa è solo una faccia della medaglia e che dall’altra parte ci sono umiliazioni, sofferenze diete interminabili e malsana competizione. Ce lo racconta da vicino Francesca Lancini, supermodella, nel suo esordio letterario “Senza tacchi” edito da Bompiani.

Sono stata attirata alla lettura di questo libro dal nostro direttore, che conosce bene la mia debolezza per i romanzi rosa, consumati in quantità industriale a qualunque ora del giorno e della notte. Ebbene , cara direttrice, questo non è un romanzo rosa, come potrebbero indurci erroneamente queste lunghe gambe nude in copertina. Questo romanzo è più simile a un horror psicologico, a una storia di guerra oppure, se proprio vogliamo a una commedia nera all’inglese. Perchè il mondo che vediamo, e che impariamo a conoscere dalle pagine del libro, fa paura. Inquieta e terrorizza, delude e rattrista. Un libro consigliabile a tutte le mamme che spingono le loro figlie a cominciare queste improbabili carriere, sostenendole con impegno in diete massacranti, pagando interventi estetici inutili se non dannosi. Perchè sono proprio così i genitori del libro: assenti e assenteisti, confidano nel denaro più che nell’Amore e nel successo più che nella Felicità.
La consolazione sta nel fatto che la protagonista, una ragazza abbastanza sveglia, riesce a liberarsi da questo vortice di autodistruzione, grazie ad una visione lucida di quanto la circonda. Non saprei definire quanto di autobiografico l’autrice abbia voluto condividere con i lettori; ma se pensiamo che da una carriera di successo, che l’ha portata come valletta a Sanremo nel 2006, si è dedicata alla scrittura possiamo immaginare che la realtà si distingua ben poco dalla fantasia. Le faccio i miei migliori auguri per questo cambiamento.

"La poesia è di casa": a Roma la poesia unisce l’altro e l’altrove.

ROMA – La poesia riesce a unire sempre l’altro e l’altrove: è la sua caratteristica peculiare, la sua potenza, la sua autorevolezza. L’ha detto anche Benigni, l’altra sera al Festival di Sanremo: è stato il momento più dolce, più affascinante in un momento come questo, in cui la crisi offre l’alibi per i tagli; e i tagli infieriscono, ovviamente, sulla cultura, perché pare che non “renda”, che non sia utile, che non sia voce attiva della bilancia commerciale.
Fortunatamente, ogni tanto, qualche azione coraggiosa viene intentata: come quella che, a Roma, ha permesso l’organizzazione di nove incontri di poesia, in tre luoghi diversi, in tre altrove: La poesia è di casa sarà una vera e propria festa della poesia, che riguarderà momenti e atteggiamenti diversi, dai grandi dell’epos di tutti i tempi ai nuovi poeti contemporanei, che con grande difficoltà stanno affermandosi sulla scena della poesia italiana.

Nella Sala Santa Rita (www.salasantarita.culturaroma.it), in Via Montanara 8 (vicino a Piazza Campitelli), si tiene un ciclo di incontri dal titolo Il flusso di parole, in cui verranno letti e riscoperti autori classici della letteratura italiana. Un incontro è già stato fatto, il 10 febbraio: Novecento italiano, in cui son stati letti i versi di poeti come Dino Campana e Cristina Campo. Il prossimo sarà il 10 marzo (h 17:30): Ritorno di Cima, incontro che servirà a celebrare la rima del verso italiano, la musicalità che produce, la dolcezza che lascia sulla lingua. L’ultimo incontro, il 20 aprile (h 17:30), sarà dedicato ai Nuovi poeti del flusso della parola e della visione interiore.
Alla Casa della memoria e della storia (www.casadellamemoria.culturaroma.it), in via San Francesco di Sales 5, invece, la poesia celebra l’Unità d’Italia con tre incontri, il primo dei quali si è già tenuto il 17 febbraio, con la serata Rapsodie garibaldine, in cui son state riscoperte poesie e rime di autori (come Ippolito Nievo) che celebravano, nella spensieratezza dell’ideale, gli animi eroici e i coraggiosi cuori di quei giovani, così poco famosi. Il 24 marzo (h 17:30) sarà la volta di Cecco Bilecco filastrocche e canzoni popolari mentre il 14 aprile (h 17:30) verrà lasciato spazio ai Nuovi poeti popolari.
L’ultimo luogo è la Casa dei teatri (www.casadeiteatri.culturaroma.it, Largo 3 giugno 1849, nella Villa Doria Pamphilj), dove i tre incontri celebreranno la poesia quando si converte in spettacolo: Dall’epos al ludus. Il primo incontro si terrà il 19 marzo (h 11:30), L’epos, in cui saranno recuperati, da Virgilio a Tasso, gli esempi più splendidi e meravigliosi dell’epica. Il 9 aprile (h 11:30), invece, toccherà al Ludus giocare i suoi assi, presentando poesia di Rodari, Orengo e Carpi. L’ultimo incontro si terrà il 14 maggio (h 11:30), con lo spazio dedicato ai Nuovi poeti ludici.
L’ingresso è libero fino a esaurimento dei posti disponibili. Per avere più informazioni ci si può collegare al sito www.culturaroma.it
Buon divertimento!

Solcate l’avventura tra le pagine straordinarie di "Moby Dick"

Stefano Billi

Roma – La terraferma per l’uomo è essenziale, quasi quanto l’aria: tuttavia, anche l’acqua è un elemento indispensabile per l’essere umano, così come è indispensabile leggere, rileggere e leggere ancora “Moby Dick”, il più bel romanzo di Herman Melville.
Di sicuro, questo è uno dei libri più affascinanti che l’umanità abbia mai conosciuto; la sua bellezza si dipana anche attraverso la preziosa, attenta e poetica traduzione del testo realizzata da Cesare Pavese e pubblicata da Adelphi nel 1941.
Tra le pagine di quest’opera non si scandagliano solo le acque più profonde degli oceani, ma anche le emozioni più recondite dell’animo umano; ecco, nella navigazione ardua della vita serve proprio una “carta” per orientarsi tra tutte quelle sensazioni che scuotono l’Io di ogni individuo e così “Moby Dick” rappresenta – in maniera sublime – una stella polare per quel lettore intento a scoprire (come canta un eccentrico artista italiano) “come è profondo il mare”.
Ciò che tuttavia rende questo romanzo una pietra miliare della letteratura mondiale è la mirabile caratterizzazione dei personaggi.
Ad esempio, “Peep”, descritto come un pazzo tra i pazzi, si rivela piuttosto in talune occasioni un profeta tra gli stolti, perché quel suo distacco dalla realtà gli rende forse più nitida, rispetto agli altri, la trama oscura e terribile del destino che attende i marinai del Pecoq (ovvero il vascello adibito alla caccia della balena).
Poi c’è “Acab”, il capitano maledetto di questa storia, che cerca di riprendersi un orgoglio inghiottito da un cetaceo quasi sovrannaturale dotato di un perfido raziocinio che lo porterebbe, a detta dello stesso capitano, a pianificare meticolosamente gli attacchi all’equipaggio, quasi si trattasse di un’entità demoniaca.
Infine, tra tutte le figure generate dal genio di Melville, c’è Ismaele: avventuriero al contempo in cerca e in fuga da se stesso, imbarcato in un bastimento che, ahimè, è guidato da uno scellerato ed iracondo capitano la cui unica ragione di vita è la sete di vendetta, non solo verso la balena, ma anche nei confronti della natura.
In sottofondo all’opera, l’autore lascia lo spazio necessario a interessanti descrizioni sull’ambiente marinaresco dell’epoca o sui luoghi solcati dal Pecoq, ma soprattutto egli intesse profonde e sensibili considerazioni sulla condizione umana di fronte alla sconfitta, al dolore e alla perdita.
Tutto questo è poi certamente impreziosito dall’aura mistica di cui sono pervase le pagine, quasi non si stesse leggendo un romanzo d’avventura bensì un trattato religioso.
Naufragate nel dolce mare di questa lettura: sentirete soffiare un’indimenticabile brezza di passione tra le pieghe dell’anima.