"La rivoluzione delle api". Serge Quadruppani per VerdeNero


Silvia Notarangelo
Roma “La rivoluzione delle api” è il titolo del nuovo  libro di Serge Quadruppani, pubblicato nella collana  noir di ecomafia di VerdeNero (Edizioni Ambiente): un romanzo dalla prosa scorrevole, in cui il lettore viene catturato non solo dalle immancabili indagini investigative ma anche da interessanti spunti di riflessione sul progresso scientifico e sulle sue, talvolta inquietanti, conseguenze.

Nella tranquilla Val Pellice un ingegnere e un apicoltore sono uccisi. Dietro entrambi gli omicidi una stessa, misteriosa firma “la rivoluzione delle api”. Che cosa hanno in comune? E, soprattutto, c’è un legame con lo sconvolgente disgregamento delle colonie di api?

A fornire una risposta a questi interrogativi ci pensa il commissario capo Simona Tavianello, persuasa a trattenersi in Piemonte dalla convinzione che, tra quelle montagne, “sta succedendo qualcosa di importante”. Determinata e dotata di notevole intuito, è lei a dare ascolto ai vari personaggi che, in misura diversa, contribuiscono a ricostruire il movente e a dare un nome all’assassino.
Tra gli indiziati, l’attenzione si concentra su un comitato di apicoltori spaventati dagli effetti devastanti dei pesticidi, e su una multinazionale, la Sacropiano, la cui attività di ricerca sulle nanotecnologie non passa inosservata.
In un susseguirsi di informazioni e foto rubate, telefonate segrete, interessi politici smascherati, la verità riuscirà a venire alla luce.
Se la rivoluzione delle api è cominciata ed è quindi “arrivato il momento di dire basta con l’apologia della supertecnologia”, forse, non resta altro che sperare in “una nuova forma di alleanza fra gli esseri viventi in cui l’uomo non sarà più al centro di tutto, ma una componente in mezzo alle altre”.

"Che intellettuale sei?" La figura dell’intellettuale di ieri e di oggi

Alessia Sità
ROMA – “Gli intellettuali sono sempre stati in competizione con i preti. Mentre i preti ti vengono incontro con il sorriso paternalistico di chi ha Dio in tasca e te ne offre un po’ a condizione che tu gli offra obbedienza, così gli intellettuali laici moderni si presentano al mondo come coloro che dicono la verità e difendono la libertà.”
Questo è quanto scrive Alfonso Berardinelli nel suo nuovo libro “Che intellettuale sei?”edito nel 2011 da Nottetempo, nella collana Gransasso.
L’autore tiene subito a precisare che ‘gli intellettuali non sono un gruppo, né un partito della verità: sono qua e là, non hanno potere, e se lo cercano si mettono al servizio di chi lo ha”. Schierarsi da una parte piuttosto che dall’altra, però, sarebbe un controsenso, sarebbe come snaturarsi e perdere la misura di ciò che si è.
Berardinelli passa in rassegna ben tre tipi di intellettuali: il Metafisico, il Tecnico e il Critico. I primi ‘si credono e si vogliono Critici’; i secondi ‘a loro volta si sentono massimamente critici, realistici, concreti e privi e di pregiudizi (…)’ ; gli ultimi ‘nutrono infine la presunzione di essere criticamente i più coerenti, dato che non credono né di credere né di sapere (…)’.
L’analisi prosegue tenendo in considerazione anche i rapporti morali e letterari con la politica, ‘per il sociologo e il politico gli intellettuali sono una categoria, una serie di corporazioni e di gruppi di pressione’. Esiste, però, anche una sorta di contraddizione fra Cultura e Società, che già dall’Illuminismo ha contribuito ad alimentare l’immagine dell’intellettuale misantropo, ovvero ‘un individuo indocile alle buone regole della socievolezza’. Insomma, il dibattito affrontato dal critico letterario non sembra essere di facile soluzione, da una parte vi è l’idea di intellettuali intesi come ‘artisti del pensare e del sapere’ e dall’altra vi è l’immagine di misantropia che pare appartenere a questa pseudo ‘categoria di professionisti’.
Con una certa vena umoristica, dietro la quale sembra paventarsi anche una nota polemica, Bernardelli affronta un quesito culturale particolarmente interessante, descrivendo l’intellettuale di ieri e di oggi con tutti i suoi paradossi.

"Fortunatamente" di Remy Charlip è il centesimo libro targato Orecchio Acerbo

Giulia Siena
Roma Orecchio Acerbo Editore festeggia i suoi primi dieci anni e il suo centesimo libro regalandosi e regalando al pubblico una grande chicca editoriale, “Fortunatamente” di Remy Charlip. L’artista statunitense al centro di “Minimondi” Festival di Letteratura e Illustrazione per ragazzi di scena a Parma, scrisse – o meglio illustrò – “Fortunatamente” con parole ricche di coraggio e speranza, colorate dai tratti decisi e rassicuranti dei propri disegni.  Immagini nitide nelle quali le difficoltà di ogni giorno vengono malleate fino quasi a diventare scommessa continua per l’alba successiva.
E’ così che Ned, il protagonista, da quando viene invitato a una festa si ritrova a dover gestire delle avventure che si susseguono con un ritmo incalzante e cadenzato.

"Minimondi" Festival di Letteratura e Illustrazione per ragazzi

                                        Giulia Siena
PARMA “Il libro è una serie di pagine tenute insieme lungo un bordo, e queste pagine possono essere mosse sui loro perni come una porta scorrevole. Possono anche essere delle mezze porte, come dei pieghevoli, porte con accessori, pop-up, tessuti o porte mobili, porte modellate.” Si è aperta sabato 12 marzo negli spazi della Galleria San Ludovico di Parma l’undicesima edizione di “Minimondi”, il Festival di Letteratura e Illustrazione per ragazzi diretto da Silvia Barbagallo. Tanti eventi coinvolgono bambini e scuole nella provincia parmense che nei tanti luoghi della città ducale. Qui ampio spazio sarà dedicato alla Mostra “Remy Charlip danzare il mio libro” incentrata sulla figura dell’eclettico artista statunitense, famoso come illustratore di libri per bambini, coreografo e ballerino. Disegni originali, corrispondenze, libri e piccoli laboratori per bambini sono esposti a racchiudere il grande genio di Remy Charlip.
La sua opera oggi è rappresentata da una trentina di titoli per ragazzi (in Italia alcuni sono stati pubblicati dalla casa editrice Orecchio Acerbo),  nelle quali la parola diviene accessoria a un racconto per immagini che si alimenta attraverso la spontaneità e la fantasia. Questa sua teoria è dimostrata da”ReadingDance”, il libro pubblicato  per l’occasione da Minimondi. “ReadingDance” raccoglie le annotazioni coreografiche destinate a una eleborazione a distanza da parte degli amici che ricevevano via posta da Charlip questi suggerimenti . Ciò dimostra come per Charlip esiste un forte e indissolubile legame tra le coreografie e i libri per immagini poiché in entrambi gli ambiti le due creatività possono essere organizzate come rielaborazione.  

Terre di Mezzo Editore si racconta a ChronicaLibri

Giulia Siena

ROMA – Libri che non sono oggetti, ma spazi che contengono storie vive e autentiche: questa è l’editoria secondo Terre di Mezzo. La casa editrice milanese, nata “per strada” attraverso un giornale di poche pagine distribuito in quartieri “difficili”, oggi si racconta a ChronicaLibri con le parole del suo editor, Davide Musso.


Qual è la proposta editoriale di Terre di mezzo Editore?

Terre di mezzo Editore pubblica libri su consumo critico e stili di vita sostenibili, guide di turismo alternativo (dal cammino di Santiago a piedi ai consigli per sopravvivere alle vacanze con i figli), guide ai ristoranti etnici, ma anche narrativa di qualità, con un occhio particolare per gli esordienti italiani, e libri illustrati per bambini, con un’attenzione per quelle “storie nascoste” che troppo spesso non fanno notizia.

Romanzi, saggi e libri di viaggio: una casa editrice per tutti i gusti letterari?

Se non per tutti, di certo per molti: cerchiamo di offrire un ampio ventaglio di titoli in modo che tutti possano trovare il libro più adatto a loro.

Come mai la scelta di investire sugli autori emergenti?

Perché (anche se per fortuna sempre meno rispetto al passato) sono quelli che hanno maggiori difficoltà a entrare nel magico mondo dell’editoria. Terre di mezzo è un buon trampolino di lancio per i giovani autori. E poi investire sugli emergenti, qui come in altri campi, significa investire sul nostro futuro.

Sempre meno libri venduti, sempre più case editrici: Terre di mezzo Editore come vive questa continua “lotta”?

Cercando di pubblicare libri di qualità, cercando di interpretare le inquietudini e le esigenze del presente attraverso titoli che, spesso, si sono rivelati lungimiranti. Ciò non toglie che per farsi spazio in libreria bisogna sgomitare, e il più delle volte un piccolo editore non ha vita facile.

"E’ tutto normale"

Marianna Abbate
ROMA – Ho avuto un approccio distratto a questo libro. La sua copertina era tranquillizzante nei suoi colori pastello e nella sua fluttuante plasticità. Il titolo poi, mi ha del tutto rilassata “E’ tutto normale” mi ha detto di celeste Luciano Pagano, pubblicato da Lupo Editore
Eppure avrei dovuto insospettirmi: se tutto è normale perché ricordarmelo? Perché sottolinearlo in prima pagina? E cosa c’è di normale in una bambina che cammina sott’acqua tenendo all’amo un pesce?
Invece niente: non mi ha sfiorata il minimo sospetto.
Poi ho scoperto il segreto, poi un altro e un altro ancora. Finché il quadro non si è fatto completo, ma solo intorno a pagina 200.

Una coppia gay attende il ritorno del loro figlio Marco dalla seduta di laurea. E fino a qui tutto abbastanza normale, o perlomeno niente a cui non abbiamo mai pensato o immaginato potesse accadere. Deve portare a casa la sua anima gemella, maschio o femmina che sia. Kris.
Un nome che potrebbe significare tutto e niente. E’ tutto normale.
Riceverà in regalo una Porche. E’ tutto normale. Kris è una femmina. E’ tutto normale. La madre è morta poco dopo la nascita di Marco. La madre ha avuto una relazione con entrambi i suoi padri. La madre ha scelto di avere il figlio nonostante la malattia terminale che l’avrebbe portata alla morte. E’ tutto normale. 
Marco non è il figlio naturale di quello che crede essere suo padre ma del suo compagno.
Continua a convincerti che è tutto normale.
Se poi aggiungi che Kris proviene da una famiglia omofoba, tutto il tuo castello di carta della normalità potrà finalmente frantumarsi tirando un sospiro di sollievo. 
Perché se è vero che ogni famiglia ha i suoi segreti, il sottotitolo di questo libro potrebbe tranquillamente ispirarsi a un link di facebook: “E’ tutto normale. S’o dici te…”
E se qualcuno teme che gli abbia rovinato il libro non si preoccupi, ho lasciato intatto il colpo di scena finale.

"Garibaldi fu sfruttato": dove sta il vero personaggio?

Giulio Gasperini

ROMA – Garibaldi è stato sulla bocca di tutti: ciascuno di noi avrà pronunciato il suo nome milioni di volte, nelle più disparate occasioni, persino modulato in un canto popolare (onestamente, un po’ irriverente e bruttino), quello che fa “Garibaldi fu ferito, fu ferito ad una gamba…” Garibaldi è ovunque, intorno a noi: teatri, cinema, vie, larghi, piazze, busti e controbusti, targhe commemorative, lungomari e lungolaghi. Tutti, confusamente, ne conosciamo finanche la vita: la sua voglia di combattere, il suo essere sempre in terre di scontri, il suo aver persino guerreggiato in una guerra nell’altro emisfero terrestre. Ma quanti, in realtà, lo conoscono sul serio? Quanti conoscono lui e il suo pensiero?
L’agevole “saggio pop” pubblicato dalle effequ, “Garibaldi fu sfruttato” è un interessante chiave – direi propedeutica – per avvicinarsi a capire chi fu, veramente, l’eroe-dei-due-mondi, nato in una terra che da italiana diventò francese (e da qui, si narra, la sua avversione per Cavour).

, dottore di ricerca in Pensiero politico e comunicazione nella storia, già autrice di interessanti saggi, ha schematizzato, in chiave appunto “pop”, non tanto la figura del condottiero stesso, presentandocelo (grazie anche a un attento e puntale apparato di note) attraverso la sua vita e le sue imprese leggendarie, ma calibrandolo nelle vari riletture (e nell’abuso) che della sua figura furono fornite da qualsiasi partito o corrente politica, da qualsiasi teorico o politico della storia dell’Italia contemporanea. Garibaldi fu il condottiero amante della guerra che si cercò di presentare per giustificare la politica d’inverventismo nel 1914 o fu il Garibaldi delle Brigate che parteciparono alla Guerra di Spagna contro Franco e gli eserciti fascisti? Fu il Garibaldi amante della terra che, con le proprie mani, fece dar frutto alla pietraia solitaria di Caprera o fu il Garibaldi latin lover, anzitempo vitellone, che faceva cadere ai suoi piedi, come pere cotte, tutte le donne che incontrava (qualcuna finanche spingendola ad abbracciare la sua causa guerriera e a partecipare attivamente alle sue azioni)? L’argomento è stato sviscerato in pagine e pagine rilegate e pressate, in fiumi d’inchiostro e di ipotesi, in stravaganze di teorie.
Ma un dubbio permane, al di là di tutto. Ovvero che Garibaldi fosse, in definitiva, soltanto un uomo; un uomo con le sue idee (travisate) e coi suoi caratteri (ignorati). Un uomo che, con assoluta certezza, credé in qualcosa: e par essere questo un sufficiente merito.

Patrizia Laurano 

"Fuori e dentro il borgo", la straordinaria opera prima di Luciano Ligabue

Stefano Billi

Roma – In questa domenica di marzo ricorre il compleanno di Luciano Ligabue, grande cantautore rock italiano, ma anche affermato scrittore e celebre regista.
Per festeggiare questo artista emiliano viene bene ricordare il suo primo libro, intitolato “Fuori e dentro il borgo” (edito Baldini e Castoldi).
Quest’opera prima consiste in una raccolta di storie tutte accomunate dalla circostanza di essere capitate proprio nel borgo (cioè Correggio, il paese dove vive tutt’ora Ligabue): e così prendono vita affascinanti descrizioni di personaggi che, con i loro caratteri peculiari ed assolutamente stravaganti, sembrano essere frutto della più fervida immaginazione ma che, invece, rispecchiano la quotidianità di una cittadina piccola eppure vivace.

Lo stile della narrazione è assolutamente originale e riflette il modus scrivendi del cantautore nel comporre le sue canzoni: frasi chiare e lineari prendono il lettore per mano e lo spingono nelle profondità del borgo per conoscere da vicino quella realtà.
Tutto ciò accompagnato da una straordinaria abilità, da parte dell’autore, nel veicolare il proprio messaggio in maniera sincera, priva di oziosi artifici letterari.
Allora, Luciano diviene come un moderno Virgilio, che aiuta a comprendere i tratti caratteristici di un mondo – il suo – così entusiasmante, che ognuno vorrebbe aver vissuto proprio là.
Non a caso da questo libro è stato poi realizzata “Radiofreccia”, la prima pellicola in cui Ligabue appare come regista: questo film, assolutamente interessante, si occupa di tematiche scottanti, come quella dell’uso di eroina negli anni ’70, e di aspetti di costume, come il fenomeno delle cosiddette “radio libere”.
Da segnalare, in merito, l’emozionante colonna sonora del film creata per l’occasione dallo stesso artista, che riesce a commuovere sin dalle prime note.
“Fuori e dentro il borgo” rappresenta lo strumento ideale per tutti coloro che vogliono apprezzare l’affermato musicista emiliano non soltanto attraverso le sue canzoni.
Perché Luciano Ligabue è davvero un artista a trecentosessanta gradi, così poliedrico ed esuberante nella sua creatività che riesce a conquistare intere generazioni di ascoltatori.
Questo libro ha un’anima rock, e tra le righe il lettore può percepire nitidamente tutta l’energia di quelle storie che hanno caratterizzato la vita di una cittadina emiliana, rendendola frizzante come un Lambrusco d’annata che viene buono tirar fuori nelle occasioni migliori, come del resto oggi che è il compleanno del Liga.
Buon compleanno, Luciano!

"Garam Masala": quando cucinando si raccontan le favole.

Giulio Gasperini

ROMA – “Non c’è posto al mondo che io ami più della cucina”. Banana Yoshimoto principiò così il suo primo romanzo, il suo capolavoro, Kitchen: uno degli incipit più sfolgoranti della letteratura di tutti i tempi. Ma anche una suprema verità: perché, in genere, non c’è luogo, in una casa, più accogliente della cucina. O, almeno, non c’era. Perché era il luogo del calore umano, delle padelle che sfrigolavano, delle bottiglie di vino che si stappavano, delle confessioni che si confessavano; quando magari i ritmi di vita eran più lenti, certo; quando si aveva tempo di fermarsi e di non costringersi a una corsa perenne.
In alcune società del mondo continua, la cucina, a rivestire questo ruolo di centro umano, di connettore di umanità.
E questo romanzo, pubblicato da una casa editrice milanese che ha fatto dell’Asia, delle sue storie e dei suoi scrittori (e scrittrici) la sua coraggiosa vocazione editoriale, la ObarraO edizioni, ne è un esempio. “Garam Masala” è una miscela indiana di spezie: perché questo romanzo, di Bulbul Sharma (2011), è, in realtà, una sorta di Decameron indiano, un rosario di novelle, di fiabe, inserite in una più ampia cornice. Alcune donne si ritrovano per cucinare in occasione di un funerale e, a turno, raccontano delle storie che le riguardano, o che riguardano persone a loro vicine, loro conoscenti.
Sono tutte storie che riguardano le donne e il cibo, le donne e le loro magie culinarie, le donne e le loro sapienza dosatrici d’ingredienti. Perché niente è speziato come la vita, tanto che in un racconto la protagonista ne prepara ben dei varianti, una per ogni tipo, perché ognuno ha i suoi gusti, ha le sue peculiarità da difendere. L’India è speziata, è sapida e saporita, è un magico e colorato calderone: se ne ritrovano tante, di Indie, in questo romanzo, ognuna declinata seguendo il percorso privato e personale di una donna, che sia la madre che vede tornare, dopo anni d’assenza, il figlio emigrato negli Stati Uniti per vivere più dignitosamente, sia quella che, consapevolmente, uccide col cibo il proprio marito, colpevole d’esser stato succube della madre. E mentre i preparativi per il pranzo del funerale vanno avanti, scanditi dalle varie azioni che si devono eseguire per pulire il riso, lavare e tagliere le verdure, le storie si dipanano, sollecitate dalla curiosità femminile, e rese più dolci e fragranti dalla confidenza che il rimestare ai fornelli magicamente sa concretare in ogni occasione.Tutte le vicende, insomma, son rese sapide dalle spezie, dal cibo, che dà vita e gioia; ma che, con le sue seduzioni e le sue esuberanze, può anche arrivare a uccidere.