"I promessi conviventi", la storia di un amore storico nel XXI secolo

Giulia Siena
ROMA
“Ora dovete sapere che nella sua attività di agente immobiliare, don Gongolondio aveva in progetto di far firmare un contratto di locazione a una giovane coppia che aspirava, una volta affittata la casa, a convivere: oggi infatti non va più di moda sposarsi, ci si limita a stare sotto lo stesso tetto, come se la famiglia potesse essere sostituita da articoli e norme sulla coabitazione. Si trattava di due giovani di buona morale, Renzo Travaglino e Lucia Mondina.”
“I Promessi Conviventi”, recentemente pubblicato dalle Edizioni Il Ciliegio , è la rivisitazione de “I Promessi Sposi” dall’irriverente penna di Roberto Bianchi. I personaggi del romanzo storico di Alessandro Manzoni, vengono attualizzati: trasportati nel XXI secolo, Renzo e Lucia devono combattere contro le difficoltà della vita quotidiana, i caotici ruoli sociali e le prepotenze dei “nuovi ricchi”. Allora procedendo nella lettura incontriamo l’opposizione di don Cattivigo, gli ostacoli burocratici dei due innamorati, le vendette di Gongolondio, le manifestazioni di Renzo e le difficoltà lavorative ed economiche dell’attuale società.
Con uno stile acuto, satirico e un po’ amaro, Roberto Bianchi racconta l’amore ai tempi degli imprenditori e delle star televisive, senza dimenticare la sostanza che ha reso immortale il romanzo storico più conosciuto al mondo.
Sicuramente una favola reale, ma forse un po’ troppo complicata per bambini dai 9 anni; aspettiamo almeno gli 11 anni per far conoscere ai giovani lettori “I Promessi Conviventi”.

"Corde dell’Anima 2011", a Cremona musica e letteratura dividono un’essenza

CREMONA – La citta’ di Stradivari e delle liuterie per il secondo anno capitale della letteratura e della musica: da venerdì 3 a domenica 5 giugno si rinnova a Cremona l’appuntamento con il festival LE CORDE DELL’ANIMA, full immersion di incontri, reading d’autore, novita’ editoriali, spettacoli, performance e laboratori, scanditi nel centro storico cittadino dall’intreccio fra musica e letteratura. Realizzato su direzione scientifica del critico e giornalista Anna Folli, con la consulenza di Nicoletta Polla-Mattiot per letteratura e di Vittorio Cosma per la musica, LE CORDE DELL’ANIMA 2011 è organizzato da PubliAEventi e promosso dal Comune di Cremona con il Patrocinio di Ministero per i Beni e le Attività Culturali, Regione Lombardia e Provincia di Cremona. Mercedes Meloni firma l’immagine del festival, Filippo Centenari il progetto artistico. Anche quest’anno al festival faranno tappa un centinaio di ospiti per quaranta eventi e tre giornate dense di appuntamenti, anteprime e novità: come per i nuovi romanzi della scrittrice indiana Namita Devidayal, “Dolceamaro a Bombay”, e dell’autrice inglese Beatrice Colin, “New York 1916”, entrambi editi Neri Pozza. Sarà il pubblico di Cremona a poterli scoprire in anteprima, in occasione degli incontri di questa edizione 2011 condotti da Enrico Reggiani: per l’occasione Namita Devidayal offrirà un saggio della sua abilità musicale al tanpura, e Beatrice Colin sarà accompagnata da musiche di Gershwin (al pianoforte Paola Girardi, al flauto Raffaele Trevisani). Prima presentazione assoluta anche per il nuovo romanzo dello scrittore olandese Jan Brokken (Iperborea) “La casa del poeta”, presentato nella conversazione con lo scrittore e saggista Luca Scarlini, commentata dal pianista Marcel Worms. Fra le novità di spicco anche il nuovo lavoro dello scrittore e critico Roberto Cotroneo, il libro-dedica “E nemmeno un rimpianto. “Il segreto di Chet Baker” (Mondadori) che l’autore presenterà, in una divertente inversione di ruolo, accompagnando al pianoforte i racconti di Elio (delle Storie Tese). Momento di particolare emozione arriverà con l’incontro – omaggio a “Lelio Luttazzi scrittore”: in anteprima assoluta al festival di Cremona i tratti inediti della creatività letteraria del grande compositore e jazzman triestino, che fu anche autore di racconti e romanzi in via di pubblicazione. 
Di questa straordinaria poliedricità parleranno per la prima volta al pubblico la moglie di Lelio, Rossana Luttazzi- Presidente della Fondazione Luttazzi – con il critico musicale Dario Salvatori e la scrittrice Camilla Baresani che leggerà un racconto inedito di Lelio Luttazzi. A celebrare l’estro musicale del Maestro sarà un artista particolarmente caro al grande pubblico, il pianista Stefano Bollani.

A inaugurare il festival, venerdì 3 giugno (ore 17.00) nella splendida cornice di Piazza Duomo, sarà l’incontro con il cantautore Eugenio Finardi, che presenta il nuovissimo libro autobiografico “Spostare l’orizzonte” in un dialogo condotto da Matteo Bordone. A Cremona anche un artista che ha imboccato con decisione la strada della scrittura, Enrico Ruggeri, fresco autore del romanzo “Che giorno sarà”, la sua settima fatica letteraria. E ancora altri artisti che da sempre viaggiano fra musica e parola, come il cantautore Max Gazzè, chiamato a sperimentare il ritmo del giallo con gli scrittori Marco Malvaldi e Luca Crovi. Morgan sarà, invece, tra i protagonisti dell’evento speciale “Le canzoni che hanno fatto l’Italia”: una cavalcata di 150 anni di musica classica e pop. Accompagnato dal pianoforte di Morgan, Paolo Prati presenta il suo libro “La musica italiana. Una storia sociale dall’Unità a oggi” con il conduttore radiofonico e scrittore Luca Bianchini (autore di Siamo solo amici). Figlia d’arte – e figlia di una straordinaria gloria della città di Cremona, la cantante Mina – Benedetta Mazzini sarà impegnata in una conversazione con lo scrittore Matteo Pelli, che presenta il nuovo romanzo “Non invitarmi al tuo matrimonio”, su musiche live di Bassi Maestro.
A Cremona lo scrittore Andrea De Carlo sarà protagonista, fra note e parole, di un reading con performance polistrumentale a chitarra, pianoforte e mandolino, accompagnato da contrabbasso, violino, percussioni e ukulele. Molti altri nomi familiari al grande pubblico sono attesi al festival: come Federico Moccia, che ha da poco dato alle stampe l’ennesimo ‘cult’ del mercato editoriale italiano, “L’uomo che non voleva amare”; come l’ultima vincitrice del Premio Calvino Mariapia Veladiano, e come Andrea Vitali, impegnato nell’”Angolo del giallo” con gli autori Alessia Gazzola e Victor Gishler, nella conversazione coordinata da Luca Crovi. Sul palco, le note del thriller con i musicisti più amati da Dario Argento: i Goblin.

Michele Monina parla ai lettori di ChronicaLibri

Stefano Billi

Roma – Michele Monina, autore di “Eros Ramazzotti”, la biografia pubblicata da Leggereditore e da noi recensita qualche settimana fa, svela ai lettori di ChronicaLibri alcune curiosità sulla sua opera.

Nelle prime pagine del libro afferma che ha nutrito un particolare interesse in Eros Ramazzotti – e asserisce che ciò, per certi versi, è la ragione per cui ha scritto questa biografia – vedendolo esibire in un concerto.
Dunque, facendo riferimento all’intero profilo artistico del Ramazzotti, Lei predilige il cantante romano più in versione “live”, oppure più in versione “studio”?
Come ho cercato di chiarire nel corso della mia biografia, in realtà non mi sarei mai avvicanato alla biografia di Ramazzotti se non mi fosse capitato di vederlo dal vivo. Non perché avessi preconcetti nei suoi confronti, ma solo perché, onestamente, non ho mai guardato alla sua musica con eccessivo interesse. Ho però sempre seguito il suo personaggio, trovandolo sicuramente uno dei più singolari nel nostro panorama pop. Quindi, dal mio personalissimo punto di vista, l’energia vista sul palco batte quella espressa su cd in maniera abbastanza netta.

Come biografo, quale ritiene essere l’ingrediente fondamentale del successo di Eros Ramazzotti?
Difficile trovare il segreto di un successo, perché altrimenti sarebbe possibile anche costruirli a tavolino, con buona pace di quanti arrivano in vetta solo grazie alla gavetta e al duro lavoro (come Eros, del resto). Io penso che il suo principale pregio sia quello di aver trovato una lingua, un modo di comunicare diretto, senza filtri. Un modo di comunicare, magari, non rivolto e me, ma che non per questo non riconosco. Il pop, in fondo, è questo. Un linguaggio trasversale che non ha bisogno di traduzioni o di spiegazioni.

Per Leggereditore, Lei si è occupato non soltanto di redigere una biografia su Eros Ramazzotti, ma anche di narrare le storie e le vite di altri artisti, quali Vasco Rossi e Laura Pausini.
Ha mai pensato di raccontare la carriera musicale di una band, anziché di un musicista singolo?
Io da anni sto lavorando alla mappatura di quella che è la cultura popolare italiana e non solo, in modo particolare musicale. Ho scritto di popstar come Vasco, la Pausini, Eros, ma anche di Valentino Rossi, Michael Stipe, Lady Gaga, Mondo Marcio, Malika Ayane, Caparezza, Milito, Ibrahimovic, e a breve usciranno lavori su Lucio Dalla, Elisa, Cristina Donà e Fabri Fibra. In questa mia mappatura, ovviamente, rientrano anche alcuni gruppi, di cui presto dovrei andarmi a occupare. Ma tra il mio analizzare il mondo culturale pop e la pubblicazione di un libro deve scattare anche la volontà dell’editore. Io vivo di scrittura, e i miei studi si concentrano su un personaggio in maniera più stringente solo quando il mio studio diventerà un libro, cioè quando l’editore si farà avanti in maniera decisa. Al momento, quindi, non è di imminente uscita nessuna biografia di una band, ma prima o poi succederà…

Dopo aver scritto una biografia su un artista, Lei rimane molto appassionato del musicista in questione, diventandone un fan accanito, oppure al termine della redazione della biografia riprende i suoi gusti musicali tradizionali, lasciati appositamente “incontaminati” dal suo lavoro?
Io non tendo a diventare mai un fan accanito degli artisti di cui scrivo. E qui magari rispondo anche alla domanda successiva. Sono uno scrittore e un critico musicale, scrivo per mestiere, oltre che per passione. I miei libri, credo, hanno trovato un certo successo nel mercato editoriale proprio perché non avevano il tipico taglio del libro scritto dal fan, una sorta di santino del personaggio trattato. Io scrivo ovviamente quello che è il mio punto di vista, ma cerco di rimanere sempre obiettivo, incensando quando c’è da incensare, ma anche criticando quando c’è da criticare. L’essere distaccato, e quindi non un fan, è fondamentale. Anche per questo, per scelta, non scrivo mai di quelli che sono i miei reali gusti musicali. O raramente, come nel caso di Cristina Donà.

Perché i nostri lettori dovrebbero leggere il suo libro?
Quando una decina di anni fa ho cominciato a scrivere biografie di cantanti, i grandi editori, come la Mondadori, la Rizzoli e altri, dicevano che in Italia le biografie non avrebbero mai funzionato, perché i lettori italiani volevano le autobiografie. Dieci anni dopo, e oltre seicentomila copie vendute dopo, credo che questa faccenda sia archiviata per sempre. L’imminente uscita di Semplicemente Elisa, proprio per Mondadori, lo dimostra. Credo che, non stando a me parlare dei miei libri, un buon argomento potrebbe essere il fatto che i lettori, comprandoli e parlandone, hanno reso possibile l’inizio, anche in Italia, di un nuovo genere, “le biografie pop”. Non fidatevi di me, ché sarei poco obiettivo, fidatevi dei lettori…

"Ieri è un altro giorno", un romanzo di passione e vivacità sentimentale

Agnese Cerroni
Roma – Edito da Ugo Mursia nel 2011, “Ieri è un altro giorno” è la più recente delle fatiche di Pasquale Intonti, docente di Comunicazione d’Impresa presso l’Università La Sapienza di Roma e individual coaching per Executive e Manager di aziende di primaria importanza. Quarantanovenne, separato e senza figli, Michele Resi da anni ricopre il ruolo di Direttore delle risorse umane presso la CINFOS, una multinazionale operante nel settore dell’informatica e dei call center. È un dirigente affermato e stimato da tutti che svolge il proprio lavoro con orgoglio e piena soddisfazione, mediando i rapporti, non sempre facilissimi, tra gli impiegati “disseminati in gran parte negli uffici di un moderno mini-grattacelo” e i piani alti. Le azioni si svolgono sullo sfondo di rivendicazioni sindacali, delicati licenziamenti e tentativi di scacco ai danni di Michele, il quale dovrà tentare di rimanere a galla in una lotta al potere fatta di colpi bassi, calunnie, deresponsabilizzazione. A movimentare il quadro, la vivace vita sentimentale del protagonista, che in un turbinio di microstorie a singhiozzi diventa uomo-oggetto del desiderio di procaci segretarie in via di divorzio, conturbanti amiche e ballerine scatenate con cui condividere senza impegno attimi di effimera felicità. Saranno gli inaspettati risvolti di una fosca vicenda lavorativa a indicare la donna con la quale intraprendere un rapporto a tempo indeterminato, una con cui, suo malgrado, Michele ha già una love story iniziata. “Davvero Direttore? E da quando”.”Da ieri.” 
“Che bello!Ieri è un altro giorno…”

A cavallo di diverse identità, leggendo "Il fu Mattia Pascal"

Stefano Billi
Roma – Talvolta, nella vita di ognuno, capita di trovarsi di fronte a quei momenti difficili in cui verrebbe voglia di lasciare la propria esistenza per costruirsene una nuova.
Dare un taglio netto a ciò che si è per dar luce ad un nuovo io, che si caratterizzi per non avere problemi né preoccupazioni di alcun genere. Ed ecco allora che si ricorre a viaggi con un solo biglietto di andata per mete tropicali, meglio ancora se atolli sconosciuti, dove una misera somma che qui in Italia servirebbe solo a sopravvivere, là può costituire un vero e proprio patrimonio.
In realtà, l’ideale di rifarsi una vita accantonando la propria identità precedente, specie se sommersa da innumerevoli fastidi terreni, non è poi così invitante come sembra.
A ricordarcelo è “Il fu Mattia Pascal”, un appassionante romanzo di Luigi Pirandello pubblicato per la prima volta nel 1904 a puntate sulla rivista “Nuova Antologia” che, sebbene risalga alla prima decade dello scorso secolo, rivela una modernità sorprendente.
La trama del racconto può agevolmente riassumersi nel tentativo del protagonista, Mattia Pascal, di fuggire dalla propria esistenza problematica e irta di difficoltà.
Oppresso da un matrimonio ormai fallimentare, da debiti che incombono sul suo capo come una spada di Damocle, il Pascal scappa dalla sua terra, la Sicilia, sino ad arrivare a Montecarlo: il grimaldello all’evasione da un mondo che gli offre solo asfittiche prospettive sarà una lauta vincita al gioco d’azzardo, che, apparentemente, gli avrebbe permesso di risolvere tutti i suoi guai. Tuttavia, un destino beffardo lo porta a scoprire che, durante la sua assenza, egli è stato creduto morto, e perciò tale condizione di defunto lo porta a doversi ricostruire una nuova vita. Prende forma così Adriano Meis, un homo novus che nasce per sostituire lo sciagurato Mattia Pascal, ma che in realtà si dimostra essere una fragile maschera di cartapesta.
Adriano Meis, infatti, sebbene costituisca la chance per Mattia Pascal di riscattarsi dalla sua esistenza, sarà sempre una finzione, e come tale perciò non troverà corrispondenza alcuna nel mondo reale. Meis non esiste, se non nella dimensione inventata dal Pascal. Allora, a poco a poco, il protagonista comprende come questa sua invenzione debba addivenire ad una conclusione, e perciò anche l’identità – questa sì, irreale – del Meis viene abbandonata, per ritornare nei panni di Mattia Pascal.
Purtroppo però questa nuova immedesimazione nella propria vita originaria non può ristabilire lo status quo precedente alla fuga monegasca, e così il personaggio chiave della vicenda si trova costretto a far ritorno in una terra dove ormai, per gli altri abitanti, lui è solo un defunto.
L’opera pirandelliana è tutta protesa alla divulgazione del messaggio inerente la struttura ontologica dell’uomo, la cui identità consiste nell’attribuzione di un ruolo, che ad ognuno viene assegnato dal contesto sociale in cui ci si trova a vivere.
Ognuno è un figurante, in scena quotidianamente sul proprio palcoscenico: oltre il sipario, lontano dai riflettori e dalla propria parte da recitare, c’è la perdita di se stessi e l’allontanamento irreversibile dal proprio io.
“Il fu Mattia Pascal” è un libro irrinunciabile proprio perché ci dimostra che occorre essere ciò che si è chiamati ad essere, non soltanto ciò che si vorrebbe apparire.

“Ore 13: pausa pranzo. Sopravvivere al lavoro mangiando bene” , il pratico ricettario proposto da Gribaudo editore

Alessia Sità
ROMA – Se siete stanchi di mangiare ogni giorno il solito panino al bar o se la ricerca di piatti light ha messo a dura prova la vostra pazienza, leggete “Ore 13: pausa pranzo. Sopravvivere al lavoro mangiando bene” di Daniela Guaiti, edito da Gribaudo nel 2011, nella collana Fornelli. Questo pratico ricettario permetterà di trasformare la solita pausa pranzo in un momento di piacere per tutti i palati, anche per quelli più esigenti.
Il pasto principale della nostra giornata dovrebbe essere un momento di condivisione con colleghi e amici, per staccare la spina dallo stress del lavoro; pertanto, questo “rituale” esige una particolare cura in ogni piccolo dettaglio.


Nonostante l’offerta di ristoranti e tavole calde sia cresciuta e si sia differenziata nel corso degli anni, la filosofia del fast food non sembra aver trovato molti seguaci. Infatti, la classica “schiscetta”– termine milanese con cui si era soliti definire, al tempo dell’industrializzazione, un pentolino con chiusura ermetica – sembra essere tornata di moda. Il numero di coloro che decidono di preparare il pranzo la sera prima, per degustarlo comodamente restando in ufficio o magari all’aria aperta, è aumentato notevolmente.
Daniela Guaiti ci offre molti spunti e deliziose ricette – accompagnate dalle originali illustrazioni di Chiara Raineri- per sfoderare ogni giorno “manicaretti tradizionali o alla moda, energetici o leggeri”. Tante soluzioni per preparare in modo semplice e con poco dispendio di tempo e di energie, tutto quello che più si gradisce o che si adatta alle nostre abitudini.
“Ore 13: pausa pranzo” propone le idee più stravaganti per creare con estro i piatti più gustosi o tradizionali, senza il rischio di ingrassare o di appesantirsi troppo.

10 Libri sul Nucleare, per capirne di pù aprite un libro

ROMA – Nucleare: risorse, rischi, dibattiti, vantaggi e pericoli. Ogni giorno si parla di nucleare e ogni giorno emergono contrasti, supposizioni e paure. Ma cosa c’è dietro la fiducia o la sfiducia verso questa forma di energia? A nostro avviso, per capire realmente la situazione, l’ideale è aprire un libro. ChronicaLibri ha scelto 10 volumi, tra saggi e romanzi, che potete consultare per crearvi un’idea che vada oltre le fumose opinioni. I 10 Libri sul Nucleare:
1. Spegniamo il nucelare. Manuale di sopravvivenza alle balle atomiche, di  Grillo.
2. Perché sì al nucleare di  Festuccia
3. Bidone nucleare di Rossi
4. Nucleare. A chi conviene? Le tecnologie, i rischi, i costi di Mattioli e Scalia
5. Il gran sole di Hiroshima di Bruckner
6. Il paese delle nevi di Kawabata
7. Fattore N. Tutto quello che c’è da sapere sul nucleare di Moncalda Lo Giudice e Asdrubali
8. SCRAM ovvero la fine del nucleare di Baracca e Ferrari Ruffino
9. Il miraggio nucleare. Perché l’energia nucleare non è la soluzione ma parte del problema di Coderch e Almiron
10. L’energia nucleare. Costi e benefici di una tecnologia controversa di De Paoli

"Al limite della notte": siete proprio sicuri che la Bellezza salverà il mondo?

Giulio Gasperini
ROMA –
È proprio certo che la Bellezza, quella con la “B” maiuscola, quella che non lascia spazio a dubbi e fraintendimenti, salverà il mondo? Che ci farà varcare i confini di quella notte sul cui limite sempre tentenniamo e perdiamo l’equilibrio? Peter Harris è un gallerista, che porta avanti il suo lavoro coraggiosamente, in tempi di recessione e crisi economica: chi meglio di lui potrebbe esser certo che il Bello, anzi: la Bellezza, può – senz’ombra di dubbio – innalzare l’animo umano sopra la barbarie dei tempi moderni?
Michael Cunningham esplora, in “Al limite della notte” (pubblicato da Bompiani nella collana Narratori stranieri), le anse mentali d’un esponente (in estinzione) d’un terziario che, dopo aver garantito soldi e potere, si ritrae di fronte alla crisi economica mondiale. Quasi ammirevole quest’adesione impietosa al contesto sociale ed economico, che evidenzia ancora di più la crudele e spietata analisi alla quale il personaggio, un po’ involontariamente (e sadicamente) si sottopone, con una sicurezza quasi granitica nella sua capacità, alla fine, di saper risolvere il sé stesso perplesso e dolorante.

Il mestiere di gallerista è, per Cunningham, uno status (come non ricordare, inoltre, Charlotte York, una delle quattro “stelle guerriere” di Sex and the City, che, per l’appunto, svolgeva codesta professione?) della scintillante ma passata New York City. Adesso, negli Anni Zero, è uno dei pretesti per accelerare narrativamente la crisi del protagonista, e sviluppare la conturbante e rapsodica messa a fuoco dei suoi interiori disastri. Peter conosce la Bellezza, sa quantificarla e mercificarla, la sa vendere e appendere; la sa anche rinnegare (per la dittatura del dollaro). Però, quando si trova di fronte alla perfetta bellezza classica (da scultura marmorea) del complicato fratello della moglie, smarrisce ogni sua difesa, abbandona ogni veglia e asseconda la sua crisi, rispondendo con sempre più partecipazione al presunto richiamo della Bellezza. Ma la Bellezza si rivelerà per quella che è veramente: un’entità che gioca sporco e non ti concede mai l’occasione per riscattarti.
Michael Cunningham ci ha abituato, ahimè, a ben altri capolavori. Ma anche in questo romanzo sentiamo la presenza dei suoi percorsi mentali, delle sua architetture narrative che così affascinano, per la loro arditezza e il loro rumoroso respiro. Per tutto il romanzo ricerchiamo, nell’accelerazione d’un’apnea, una risposta alla domanda. Alla fine, siamo solo certi che
la Bellezza tradisce; e che, ancor peggio, indisturbata ricatta.

TEA: L’amore secondo Torben Guldberg

Silvia Notarangelo

Roma“Tutti i miei viaggi nascevano dallo stesso desiderio. Tutte le storie che andavo raccogliendo le scovavo nel tentativo di trovare una risposta alla stessa domanda”. Queste parole sono di un cantastorie, un cantastorie immortale ma ormai stanco, dalle rughe profonde, che decide di fermarsi, perché è arrivato il momento di smettere di raccontare per cominciare ad ascoltare. Inizia con questa confessione “Tesi sull’esistenza dell’amore”, il romanzo d’esordio di Torben Guldberg, pubblicato da TEA. L’interrogativo che tormenta da sempre il protagonista è uno solo: capire che cos’è l’amore, come si manifesta, quali sono, se ci sono, delle leggi in grado di svelarne gli impenetrabili meccanismi. Cinque secoli di storia sono ripercorsi mediante il racconto di altrettante vicende, intimamente legate, eppure profondamente diverse l’una dall’altra.

Nel Cinquecento l’amore si esprime nella melodia di Frans e Amelie, nel suono della straziante nostalgia evocata dai due innamorati lontani, poi, nel secolo successivo, prende vita nei quadri di Gregarius, uno stravagante avventuriero stregato da un “angelo”, la bellissima Mari, ma incapace di resistere al richiamo del mare. Il desiderio di conoscere è irrefrenabile anche nel giovane Hans, capace di intuire una metafora suggestiva quanto fatale per la sua vita. L’amore è, per lui, come la luce, “invisibile mentre si muove” ma capace di farsi “sentire quando colpisce”. Filosofia, momenti di felicità difficili da decifrare e impossibili da trattenere, uno squallido scambio economico: sono queste le forme assunte dall’amore nelle storie degli ultimi due secoli. Henrik, il protagonista del Novecento, persegue un suo, personalissimo obiettivo, dimostrare che l’amore, al pari di tutte le cose, si può comprare e che il suo prezzo non è una “questione sentimentale”, ma è determinato da semplici e oculati investimenti. Una storia amara, priva di illusioni e senza lieto fine, che sembra prospettare un futuro tutt’altro che roseo.
Al termine di questo incredibile viaggio, i dubbi del vecchio cantastorie non sono ancora sciolti: magari è la domanda ad essere sbagliata, se si chiede cos’è l’amore, si presuppone che esista. Ma forse, come gli suggerisce l’amico Baldur, la risposta è proprio nella domanda, perché è nel momento stesso in cui sorge l’interrogativo che l’idea di amore è già lì, presente in ognuno.