Due giorni per innamorarsi di Erri

Marianna Abbate

Varsavia – Nella hall dell’albergo io e Silvia, la mia compagna di stage all’Istituto Italiano di Cultura a Varsavia, siamo entrambe imbarazzatissime. Erri de Luca arriva tranquillo e cortese come sempre, ma della fila di taxi davanti all’albergo nemmeno l’ombra. Ecco, penso, il primo disguido della serata! Appena saliti sul taxi già fiumi di parole scorrono dalla mia bocca, un po’ per curiosità e un po’ per l’emozione. Lui risponde pacato, tranquillo- questo aggettivo ricorrerà spesso nel mio racconto. Durante la cena ho l’occasione di scambiarci due parole, ma cerco di rimanere nell’ombra per non stressarlo troppo. Si stanca presto e lo riaccompagno all’albergo in taxi, emozionata più che mai. Lui è sempre gentile e mi saluta.
Il giorno dopo è pienissimo, lo aspettano mille interviste.

Il direttore dell’Istituto ci dice di accompagnarlo a pranzo, e io e Silvia ci avviamo sempre più agitate. Ordina una bruschetta tonno e cipolle di cui mangia solo il tonno, lasciando il pane gommoso.  Sorride e dice che si rifarà a cena.

E risponde paziente alle mie mille domande sulla Bibbia, sulle traduzioni sulla letteratura. E m’illumina di sapere. Così come spiega nel libro “Le sante dello scandalo” ci parla di come,  ad esempio, nella traduzione ufficiale della Bibbia c’è malizia: che la punizione del parto doloroso di Eva è un’invenzione- partorirai con sforzo, dice il testo originale 
Lo riaccompagniamo in albergo a riposare: in serata lo aspetta l’incontro ufficiale con i lettori.
Appena arrivata ne approfitto per farmi fare una dedica sulla versione polacca di In nome della madre. Si ricorda il mio nome senza che gli dica niente. Seduta tra la folla di lettori approfitto per osservarlo, mentre un attore legge frammenti dei suoi testi.
È bello, anche se dimostra più anni di quelli che ha. Forse è il sole e l’aria di quella montagna che ama tanto. I suoi occhi sono magnetici, azzurri e trasparenti.   Poi tocca a lui a parlare, cerco di prendere appunti ma non è tanto semplice.
Si presenta e ci dice che in realtà il suo nome è Harry o qualcosa di simile, ereditato da una nonna americana. Ci chiarisce che a diciott’anni, stufo di dover spiegare a tutti come si scrivesse, lo ha semplificato. E poi racconta della sua Napoli: città spagnola, per sbaglio localizzata in Italia. Per pigrizia chiamata Nea Polis, città nuova, come mille altre, e distinta dalle altre per la peculiarità dei suoi abitanti. Dice che da piccolo lo scambiavano per americano e si stupivano che questo straniero parlasse così bene il napoletano.
A Napoli deve la sua educazione sentimentale, i tratti fondanti della personalità:  compassione, collera e vergogna. Dice che lontano da Napoli è come un dente staccato dalla mascella, senza radici- solamente appoggiato.
Il napoletano è la lingua della fretta, adatto al commercio e al litigio; l’italiano la lingua silenziosa dei libri. Un meritato riposo dopo il chiasso della città. Una città dai muri di tufo, che non separano per nulla, e attraverso le porosità permettono di ascoltare tutto quello che accade intorno.
Scrivere è la sua compagnia, assieme alla lettura e tra i suoi autori preferiti proclama  poeti del Novecento. Quel ‘900, secolo delle rivoluzioni, di cui è stato pienamente parte.
Mentre firma gli autografi io decido di andarmene. Entro in una drogheria per “buttare” qualche soldino e uscendo lo vedo venirmi incontro. Mi abbraccia ridendo e dice “Volevi evitarci, eh?”. Mi ringrazia e io emozionata ringrazio lui. Di essere e di scrivere. Mi bacia e attraverso gli occhi lucidi vedo i suoi, così azzurri, mentre mi dice: “Ci vediamo a Roma”. 
Ci puoi contare Erri. 

Le tante storie delle nostre vite al Trentino Book Festival

Caldonazzo (TN) Dal 17 al 19 giugno si svolgerà a Caldonazzo (TN) la prima edizione del Trentino Book Festival (http://www.trentinobookfestival.it/). “Le nostre vite sono fatte di storie”: questo è il tema della rassegna, che curiosamente si avvicina molto a quello dato al Festival delle Letterature di Roma. La vita di ciascuno di noi si crea tramite un allacciarsi e un tessersi di storie diverse, che non riguardano soltanto noi direttamente, ma anche tutti coloro che ci toccano, e coi quali entriamo in tangenza. Bisogno primario e irrinunciabile responsabilità di ognuno di noi è quello di trasformarle in racconti, in narrazione: che sia da leggere, da scrivere, da ascoltare.

La grande scommessa del Trentino Book Festival è quella di porre sotto i riflettori, e all’attenzione di tutti, il libro in quanto anche oggetto materiale, e “contenitore di parole”, nella sua accezione più alta e pura. Un compito che, in tempi sciagurati di ebook e tecnologie selvagge, non si può che ammirare e plaudere.
Il Trentino Book Festival, organizzato dal centro culturale “Balene di Montagna” con l’aiuto e la partecipazione di altri “amici” e con il patrocinio del MIBAC, Regione Trentino Alto Adige, Provincia autonoma di Trento, Comune di Caldonazzo, vedrà la partecipazione di importanti esponenti del mondo della cultura e dell’editoria, tra i quali il premio Nobel 2009 Herta Müller e il suo primo editore italiano Roberto Keller, Carmine Abate, Isabella Bossi Fedrigotti, Eraldo Affinati ed è prevista una ampia parte per i più piccoli, nello spazio Junior.

"Come rondini in volo" sul passato

Agnese Cerroni
ROMA Dopo un’adolescenza vissuta in giro per il mondo, Anna avverte la necessità di stabilirsi finalmente in un posto tutto suo, dove poter mettere radici. Il dolore causato dalla prematura perdita di entrambi i genitori l’ha resa schiva e apatica nei confronti della vita e solo una rassicurante alcova può restituirle la serenità di cui ha bisogno. Il luogo prescelto è la casa gialla, vera protagonista di “Come rondini in volo”, il romanzo di Mariapia De Conto edito da Lineadaria, dimora ora in rovina dell’antica famiglia dei Braidi. Anna ne rimane colpita a prima vista e decide di rilevarla e trasferirvisi immediatamente. La casa gialla – così è descritta e il luogo non è mai specificato – immersa nel sole tra i campi gialli di grano, trascina Anna in una dimensione senza tempo, in cui le stagioni si susseguono volubili e i giorni tutti uguali le consentono di lenire le proprie sofferenze. Qui Anna si sente finalmente al sicuro e può tornare lentamente alla routine quotidiana, coltivando la propria passione: dipingere stoffe. Ad accompagnare il viaggio della giovane Anna c’è Geltrude, la vecchia operosa governante che abitava la casa gialla anni prima prestando servizio presso i Braidi. Attraverso i racconti di Geltrude le voci delle donne della famiglia Braidi tornano a sussurrare piano piano, con discrezione. Poi sempre più con decisione rivivono i ricordi di Brigida, Emma, Donna Adele e Beatrice, le donne Braidi. Sottomesse alla tirannia degli uomini che le hanno considerate delle incubatrici, incapaci di sottrarsi efficacemente al proprio destino, sono quelle stesse donne, generazione dopo generazione a sfaldare la gerarchia maschilista e fa arrivare con prepotenza il proprio urlo fino alle nostre orecchie.

"Il raggio verde", il vivido viaggio di Blaise Cendrars

Giulia Siena
ROMA – Blaise Cendrars: brace e cenere. Un uomo che ha vissuto con l’ardente curiosità di un viandante, uno scrittore che è rinato dalle proprie ceneri per portare avanti le sue storie. Blaise Cendrars (1887-1961), pseudonimo di Frédéric-Louis Sauser è l’autore de “Il raggio verde”, l’ultima pubblicazione di Via del Vento Edizioni nella collana Ocra gialla. Il volume, curato magistralmente da Antonio Castronovo, venne pubblicato per la prima volta nel giugno del 1938 sul settimanale francese “Candide” e, successivamente, inserito nella raccolta di racconti pubblicata in quello stesso periodo da Grasset, “La vita rischiosa”. Quest’ultimo titolo è emblematico per il vissuto dell’autore svizzero, la cui vita è stata segnata da una adolescenza vagabonda e dalla perdita, nel 1915 sul fronte franco-tedesco, della mano destra. Così, la quiete che aveva trovato nella scrittura durante la giovinezza ribelle ebbe una battuta d’arresto con il grave cambiamento che subì la sua esistenza. Ma, l’autore seppe gestire il proprio sconforto e rinacque dalle proprie ceneri, proprio come suggerisce il nome che si diede. Gli eventi tragici che segnarono le diverse tappe dell’esistenza di Cendrars, alimentarono e forgiarono una scrittura fatta “con gli occhi”, reale, luminosa, viva nella pagina; caratteristiche che fecero di Blaise Cendrars il “Matisse della scrittura”. 

Ne “Il raggio verde”(36 pagine) , l’autore riversa silenziosamente la sua esperienza di viaggiatore errante e di soldato sul fronte; “Il raggio verde” è la vivida cronaca di un viaggio attraverso l’Atlantico. Qui, due uomini si rincontreranno dopo aver combattuto la stessa battaglia e, nonostante le diffidenze iniziali, sapranno confrontarsi.
“Era la prima volta che lasciavo l’Europa dopo la guerra e se avevo scelto di salire su questo vecchio bastimento, la ragione era proprio di potermi fermare strada facendo, sperando addirittura di restare in panne a metà percorso, talmente la vita a bordo mi sembrava bella: trovavo davvero che fosse cosa buona riprendere contatto con l’universo, l’oceano, il cielo, il monsone, i pesci volanti, il calore dei tropici, l’acqua salata, le costellazione dell’altro emisfero, i pellicani e i gabbiani, la vera essenza delle cose, e i marinai, che sono gli uomini più comprensivi, ma anche i più misteriosi del mondo.”

"Lettere dall’Africa. 1914-1931": se l’Africa ti sceglie come suo figlio prediletto.

Giulio Gasperini
ROMA –
La sua è una delle grandi fiabe del ‘900; una delle più grandi storie di avventura e determinazione, di caparbietà e lungimiranza, resa ancor più celebre dalla trasposizione cinematografica e da una superba interpretazione, con Meryl Streep nei suoi “ingombranti” panni.

Tutti noi sappiamo che Karen Blixen scrisse della sua attività imprenditoriale in Kenya nel suo spietatamente autobiografico Out of Africa, con quel magnifico e folgorante inizio: I had a farm in Africa, at the foot of the Ngong Hills. Avevo una fattoria in Africa, ai piedi delle colline Ngong. Forse pochi altri sanno, però, che il materiale più genuinamente autobiografico e crudelmente intimo e personale si trova in abbondanza nel corpus delle “Lettere dall’Africa”, che in Danimarca, molti anni dopo la morte della scrittrice, fu riorganizzato e editato. In Italia è stata una grande casa editrice, dalla solida tradizione intellettuale, la Adelphi, a farsi carico della pubblicazione di questo materiale di non facile accesso; ma di una bellezza struggente, e di un’eccellente profondità intellettuale.

Karen arrivò in Africa nel 1914; ne ripartì, definitivamente, nel 1931, senza più tornarci: queste lettere, scritte soprattutto alla madre, Ingeborg, ma anche al fratello Thomas e alla zia Bessie, edificano un cammino di profonda indagine personale e, insieme, tessono il più intenso (e fors’anche inatteso, per una bianca del profondo nord d’Europa) canto d’amore per una terra, quella africana, non certo accogliente e premurosa coi suoi conquistatori e colonizzatori.
Le lettere che accompagnarono questo suo viaggio africano sono frementi di passione, di orgoglio del proprio vivere, anche quando trasudano il dolore e la sofferenza prodotti sia dalla gestione fallimentare dell’attività, sia dai tanti problemi fisici che straziarono la sua esistenza (prima fra tutti: la sifilide). C’è anche una motivata e solida critica al fenomeno del colonialismo: Karen accusa, senza maschere né timori reverenziali, l’uomo bianco di star estinguendo la vera Africa, appropriandosi delle terre degli “indigeni” e cancellando, con una presunzione immotivata e sregolata, le loro tradizioni nel nome di una, chissà perché, presunta superiorità culturale (come non trovare delle tangenze con le amare considerazioni della Cialente sul fenomeno del levantinismo, nell’Africa mediterranea?).
Karen Blixen s’è salvata, con la scrittura: si è riscattata da un destino contrario e incattivito. Il peso della disfatta non l’ha gravata: perché non di disfatta si trattò. Ma di una lunga pagina di vita, approdata alla consapevolezza d’esser stata, per l’Africa, uno dei suoi figli prediletti. Tanto che (ancora oggi) un intero quartiere di Nairobi è stato battezzato Karen, col suo indimenticato nome.

"1080 ricette", un classico per reinventarsi in cucina!

ROMA – “1080 Ricette” di Simone Ortega  è il più autorevole libro dedicato all’autentica cucina tradizionale spagnola. Divenuto un bestseller fin dalla sua pubblicazione quasi quarant’anni fa, in Spagna se ne sono vendute milioni di copie e in questi giorni torna in libreria per Phaidon.
La cucina spagnola sta attraversando un periodo di grande successo e in tutto il mondo si registra un boom di aperture di ristoranti tipici e tapas bar.
Il volume contiene 1080 ricette provenienti da tutte le regioni della Spagna e dedicate a piatti di tutti i tipi, dagli spuntini agli stufati e dalle verdure ai dolci. Tutte le ricette sono state completamente aggiornate e adattate alla cultura culinaria italianIl progetto disegnato dal noto grafico e illustratore spagnolo Javier Mariscal include oltre 450 disegni creati esclusivamente per questa edizione e 104 fotografie appositamente realizzate
L’autrice, Simone Ortega ha scritto opere di culinaria per oltre 50 anni ed è considerata la piú grande esperta di cucina tradizionale della Spagna mai esistita, tanto che intere generazioni di spagnoli hanno imparato a cucinare grazie ai suoi libri. Sua figlia Ines Ortega ha iniziato a collaborare con lei fin dalla piú tenera eta e porta ora avanti la tradizione materna. Javier Mariscal è uno dei piú acclamati illustratori e grafici contemporanei spagnoli. I suoi lavori spaziano in diversi campi di attivita, dal design grafico e industriale alla creazione di tessuti, arredi, architettura d’interni, nonche progetti di animazione e multimediali. In questo volume, che è il suo primo libro di cucina, celebra l’esuberanza mediterranea con un’esplosione di colori e vitalita.

Around the "London boulevard". Discesa nell’inferno metropolitano

Agnese Cerroni
ROMA Quarantacinque anni, un metro e ottanta, muscoli definiti sollevando pesi sulla panca della prigione. Mitchell, protagonista del romanzo di Ken Bruen London Boulevard pubblicato da Casini Editore, è davvero un tipo poco raccomandabile. Dopo aver trascorso gli ultimi tre anni dietro le sbarre per rissa aggravata, ha pagato il suo debito con la giustizia ed ora è di nuovo libero. Lui è un tipo eclettico con uno spiccato fiuto per i guai : durante la detenzione ha maturato la passione della lettura, hobby insolito per un avanzo di galera come lui, ma non ha dismesso il vizio di menare pesantemente le mani. Nonostante abbia deciso di chiudere con il proprio tenebroso passato, fatto di abuso di droghe, alcool e violenze, è il suo passato a non aver finito con lui. Nello stesso istante in cui egli mette il naso fuori, è già chiaro che non potrà far altro che tornare a delinquere. D’altro canto chi offrirebbe una seconda chance ad uno come lui? Sullo sfondo di una Londra cupa e spaventosa, nelle periferie desolate e disumane oltre la Northen Line, Mitchell torna a fare i conti con il suo lato oscuro, popolato da assassini, usurai e spacciatori. Assoldato da una ricca e ambigua signora del cinema come tutto fare, ossessionato dall’isteria della sorella Briony, sorvegliato a vista da Jordan il maggiordomo, Mitch trascorre le proprie giornate tentando di far salva la pelle, dribblando il pericolo e divincolandosi tra loschi figuri che lo vogliono dalla loro parte al servizio del cartello della droga. Cosa potrebbe salvarlo, l’amore, la rabbia, la vendetta? Possono buttati in prigione e spararti alle ginocchia, ma fino a quando non ti innamori non sei fottuto davvero. Profondo, eh?

"La versione di Barney", dove l’affermazione della propria verità diviene biografia

Stefano Billi

Roma E’ difficile trascorrere buona parte della vita sentendosi definire un omicida, o per lo meno, trascinandosi dietro il sospetto altrui circa un’ignobile azione che non si è mai commesso. Emerge così quel bisogno, del tutto naturale, di raccontare la propria versione dei fatti, di dimostrare che, in fin dei conti, quei pregiudizi accumulatisi negli anni altro non erano che meschine illazioni. Magari, un siffatto tentativo di discolparsi può condurre al racconto della propria vita, per far conoscere che si è profondamente brave persone, e che pur con tutti i difetti immaginabili, mai si arriverebbe a privare un altro uomo della vita, per di più se quest’ultimo è un amico. Questa prolusione è l’essenza del libro “La versione di Barney”, creato dallo scrittore Mordecai Richler e pubblicato in Italia dall’editore Adelphi.
La storia di questo testo è tutta imperniata sulla biografia di Barney Panofsky, produttore televisivo ebreo che vive in Canada, il quale sente il bisogno di narrare la verità sulle vicende che lo hanno portato ad essere incriminato per l’omicidio del suo amico Boogey (accusa che poi sarà ritenuta infondata) poiché pur nonostante l’esito giudiziale del caso, c’è ancora chi lo ritiene colpevole.
L’autore ha costruito il testo come un racconto in prima persona da parte di Barney Panofsky, dove appunto il protagonista, pur intento a discolparsi per ciò che non ha mai commesso, si ritrova poi a mettere per iscritto tutti gli episodi più importanti della propria vita.
Mordecai Richler, nell’elaborare questo libro, utilizza una tecnica assolutamente straordinaria: tutta la narrazione avviene attraverso la tecnica del flashback, che però non è adoperata in maniera continua, ma piuttosto si struttura come un continuo salto tra il passato e il presente.
Per di più, l’intero romanzo è diviso in base ad una categorizzazione a dir poco geniale, quella cioè di scandire i periodi dell’esistenza del Panofsky a seconda delle sue frequentazioni sentimentali.
E così l’elemento femminile diventa la lancetta cronologica della storia; sono le donne che plasmano la vita di Barney e che la rendono curiosa e inaspettata.
Il tono utilizzato per animare la storia si contraddistingue per la sua costante leggerezza, e ciò è testimoniato dal fatto che ogni episodio raccontato dal protagonista viene esposto in maniera divertente e spensierata, senza mai lasciare che la tristezza o l’angoscia prendano il sopravvento. Come un sopraffino droghiere, il Richler mescola abilmente romanticismo e ilarità, spesso accompagnando le pagine con espressioni colorite e veraci, le quali d’altronde, se in prima battuta potrebbero urtare le coscienze più raffinate, in realtà si rivelano, con il trascorrere della lettura, quali semplici cadenze verbali di un personaggio, il Panofsky, certamente “politically uncorrect”.
Ma è proprio questa schiettezza di Barney a renderlo immediatamente vicino al lettore: infatti non si può non sorridere sui bizzarri dialoghi tra il protagonista e Clara Chernofsky (la prima moglie del produttore televisivo), così come non si può non lasciarsi andare alla commozione quando si scopre, riga dopo riga, l’epilogo della vicenda e la drammaticità della fine di un uomo dalla vita realmente imprevedibile.
“La versione di Barney” è un libro da leggere tutto d’un fiato, calandosi senza riserve in una storia che saprà sconvolgere ed emozionare: pagine preziose, quelle di Mordecai Richler, che strappano risate e lacrime anche nei lettori dalla “corteccia” dura.

Da oggi fino a domenica "ANTEPRIME – Ti racconto il mio prossimo libro"

Pietrasanta (LU) – La seconda edizione di “ANTEPRIME – Ti racconto il mio prossimo libro, iniziativa nata dalla collaborazione tra il comune di Pietrasanta, terra di scultori e artisti, e le case editrici Einaudi, Electa, Frassinelli, Mondadori, Piemme e Sperling & Kupfer, si svolgerà a Pietrasanta dal 10 al 12 giugno 2011. Il fittissimo programma vedrà alternarsi nei luoghi più significativi del centro, dalle 18.30 fino a tarda sera, autori italiani e stranieri, dalle grandi firme agli esordienti.
L’anno scorso ANTEPRIME aveva registrato 15.000 presenze ai 36 incontri organizzati con gli autori.
Quest’anno si propone in un’edizione arricchita: gli incontri sono oltre 60, e la serata conclusiva vedrà salire sul palco Ken Follett, che per l’occasione sveste i panni dello scrittore di bestseller e indossa quelli del musicista. Cantando e suonando con la sua band “Damn Right I Got the Blues”, intratterrà il pubblico con uno sorprendente concerto rock-blues.
ANTEPRIME porta in pubblico gli incontri che periodicamente le case editrici organizzano con gli operatori professionali, per annunciare ed illustrare i libri di prossima pubblicazione. Incontri ormai sempre più spesso condotti dagli autori stessi, che possono così trasmettere la fatica e la passione di creare un libro. Sui diversi palchi di Pietrasanta gli autori saranno accompagnati dalle loro figure editoriali di riferimento, e potranno proseguire in pubblico quel dialogo costante che è al cuore del rapporto tra l’autore e il suo editore. Alcuni leggeranno dei brani in anteprima, altri racconteranno come è nato o sta nascendo il loro prossimo libro; tutti potranno andare incontro al desiderio del pubblico di conoscere da vicino gli scrittori, rispondere alle domande, sollecitare curiosità.

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"Montalcino e il suo Brunello" all’insegna della tradizione e della qualità

Silvia Notarangelo
Roma – E’ la storia di un indiscusso successo quella ripercorsa da Ilio Raffaelli in “Montalicino e il suo Brunello”. Il volume, pubblicato da Vanzi Editrice, rivela, ancora una volta, il vivo interesse dell’autore per il territorio di Montalcino e si colloca in quel costante lavoro di ricerca che lo ha da sempre appassionato, tanto da renderlo un attento e fedele testimone delle vicende vinicole della zona. L’ascesa del Brunello viene riproposta nelle tappe più importanti. Dal suo “pioniere”, Riccardo Paccagnini, autore di un Trattato teorico pratico di enologia pubblicato nel lontano 1906, alla prima onorificenza del signor Santi, fino alle medaglie ricevute alle mostre mercato del 1933 e del 1935, quando il Brunello viene ritenuto “degno di stare a confronto coi migliori tipi di Chianti classico”.

Neppure un periodo di stagnazione, come quello attraversato da Montalcino negli anni Cinquanta e Sessanta, riesce ad arrestare il suo crescente prestigio. Nel 1966 gli viene conferita la denominazione di origine controllata, un riconoscimento cui segue, solo pochi anni dopo, la richiesta di promuovere il Brunello dalla DOC alla DOCG, in virtù della sua tradizione, della considerazione di cui gode sul mercato, della notorietà raggiunta in ambito “locale, nazionale e storico”. La domanda sarà accolta nel 1978. Da quel momento l’affermazione del Brunello può dirsi compiuta e, con lui, cresce anche l’attrattiva esercitata dal territorio di Montalcino, che diventa meta di ingenti capitali italiani e stranieri.
Determinanti, per le sorti di questo vino apprezzato ormai in tutto il mondo, sono state, nel tempo, la progressiva consapevolezza nei montalcinesi delle potenzialità della propria terra e un’adeguata disciplina della sua produzione che, forse, si è fatta fin troppo attendere. Ora, però, è necessario compiere un passo ulteriore. Occorre salvaguardare la terra da un uso/abuso di fertilizzanti chimici, dal ricorso, sempre più frequente, a materiali di plastica, perché, come ricorda Raffaelli, “il Brunello si fa innanzitutto nelle vigne”.