"Virginia Woolf e il giardino bianco": perché non si dovrebbe scherzare sui santi.

Giulio Gasperini
ROMA –
Stephanie Barron ha la febbre dei gialli letterari: dalla sua pena è nata, da qualche anno, la nuova declinazione di Jane Austen che, senza denaro e non ancora pubblicato The Pride and the Prejudice, si diverte a indagare e risolvere i piccoli misteri delle campagne inglesi. In questo nuovo romanzo, invece, la Barron tiene a riposo l’autrice di Mansfield Park ed Emma, e decide di riesumare alla modernità un’altra autrice cardine di tutta la letteratura del ‘900: niente meno che la Woolf, Virginia Woolf. In “Virginia Woolf e il giardino bianco”, pubblicato da TEA nella Narrativa, si diverte, la Barron, a inventare gli ultimi giorni di vita della grande scrittrice inglese.

Tutti conosciamo la sua morte: il 28 marzo 1941 uscì dalla sua casa nel Sussex, dove viveva con il marito Leonard, raggiunse le rive dell’Ouse, si riempì le tasche del soprabito di pietre e si abbandonò alla corrente. Nella mia fine è il mio principio, scrisse Agatha Christie: e proprio da qui, dalla fine, la Barron principia la sua indagine poliziesca, una sorta di thriller da architettura di giardini.

Il corpo della Woolf fu trovato soltanto molti giorni dopo la sua scomparsa: è possibile che la scrittrice avesse soltanto simulato il suo suicidio per sparire e poi uccidersi molti giorni dopo la data ritenuta ufficiale? Dove aveva passato questo arco di tempo? Da chi si era rifugiata?
La detective improvvisata è, appunto, un architetto del paesaggio, Jo Bellamy, che approda a Sissinghurst Castle per studiare (e ricostruirlo, negli States, per un suo cliente/amante) il famoso White Garden che la scrittrice Vita Sackville-West (raffinata scrittrice, coraggiosa viaggiatrice e appassionata amante anche omosessuale) aveva creato per la sua amata Virginia: un giardino completamente bianco, in ogni dettaglio. Qui, in un casale dimesso della proprietà, la Bellamy rinvenirà un diario, scritto pare da Virginia stessa, che principia con la data successiva a quella, conosciuta e ufficiale, della sua morte.
La saggezza popolare ci ammoniva (e il sagrestano della Tosca lo cantava con sguardo torvo) che coi fanti si può anche scherzare, ma che i santi devono esser lasciati in pace. E se la storia è incalzante e il romanzo scorrevole, alla fine della lettura rimane un po’ l’agrodolce retrogusto (e l’assurdità imbarazzante) di essersi, effettivamente, troppo baloccati coi (e sui) santi. Mentre, al contrario, i santi andrebbero lasciati in pace, soprattutto quando possono (e devono) godere meritatamente della loro letteraria giusta gloria.

"L’acino della notte": del ciclo stagionale, ovvero della nostra sopravvivenza.

Giulio Gasperini
ROMA –
L’uomo non può vivere senza la natura. La natura, viceversa, può esistere (e indubbiamente lo fa meglio) senza l’uomo. E non è un discorso soltanto ecologista, questo, ma, come appunto si scopre dalle poesie di Giuliana Rigamonti, è anche un discorso poetico. Sì, perché l’uomo è sempre vissuto suddito del ciclo stagionale: sono stati i freddi e i caldi, i dì brevi e i dì lunghi, il ritorno di Zefiro e la sua partenza, a condizionare le scelte, quelle più quotidiane ma più fondamentali, del genere umano tutto, in ogni sua latitudine e longitudine. “L’acino della notte” (eccellente volumetto pubblicato dalla grande casa editrice Scheiwiller, nel non remoto 2006) è un cammino iniziatico, fors’anche un po’ misterico (e in questo senso si spiega l’abbondante ricorso della poetessa ai geroglifici egizi, al loro potere significante e alla loro vastità di significato), in un’educazione stagionale che ci permetta di ritornare all’origine del nostro cammino.

Così ci convinciamo, di nuovo, dell’indispensabilità che la natura sia rispettata (e, soprattutto, obbedita).
L’uomo vive se (e solo se) segue docile il ritmo delle stagioni, il loro lente e persistente convertirsi dall’una all’altra, dall’inverno alla primavera, dalla primavera all’estate, dall’estate all’autunno, dall’autunno all’inverno, rincorrendosi sempre in un ciclo continuo e costante; ma mai monotono – ed è questa la più straordinaria portata della poesia della Rigamonti. Ogni evento stagionale, pur nella sua prevedibile ciclicità temporale, lascia sempre l’uomo senza fiato, perché è pur sempre una prima volta: nulla è mai uguale, identico, se non l’idea che supporta il tutto. “Il grido di caccia / delle stelle”, le ombre che “cantano sempre da sole”, la “luce matura fra le persiane” sono tutti legami che (co)stringono l’uomo in un perenne debito di riconoscenza. La natura è feconda, generosa (“il geco scoppia di luna”); la natura è la referente di ogni declinazione d’umano (“Io comincio dove il tramonto brucia / nel tuo sguardo”); la natura vince e libera dalle avversità (“I limoni raschiano la nebbia”).
Ed è la natura la risposta al tutto. Anche in poesie di straziante contemporaneità, come quella intitolata “Clandestino”, nel quale Lampedusa si trasforma in pietosa spettatrice del dramma più sordo del nostro tempo: “Niente resterà di questo viaggio. / Per un giorno galleggerà il mio nome / nelle brevi di un giornale / tre righe che nessuno legge / nere / silenziosamente nere”.
Perché non rimane altro che perdersi nella natura, riconsegnarsi a lei, ingenuamente (nel senso pure del termine) e “spingersi oltre il limite delle dune / che non hanno limite e frugare le sabbie / che cadono fra le dita come giorni / nel granaio, per valutare il grano / rimasto e quello da versare”.

"Italia Buon Paese", Clara e Gigi Padovani fanno un regalo all’Italia: ne raccontano la storia culinaria

Giulia Siena 

ROMA “Non solo una storia sociale della gastronomia nell’Italia unita, ma anche uno sguardo curioso e documentato sulla nostra memoria culinaria.” È questo lo scopo di Clara e Gigi Padovani in “Italia Buon Paese. Gusti, cibi e bevande in 150 anni di storia”. Il libro, pubblicato da Blu Edizioni, è un vero e proprio prontuario che percorre la storia d’Italia attraverso le tradizioni agroalimentari, le innovazioni culinarie e le ricette simbolo di ogni decenni trascorso. Mentre si cercava di dare unitarietà a una Nazione spossata dalle forti diversità linguistiche, culturali e sociali, l’Italia si è costruita a tavola. Sicuramente sono state e sono tante le differenze alimentari di ogni regione, ma la pasta, le conserve, i ristoranti e i grandi marchi sono quelli che poco a poco hanno creato la grande cucina degli ultimi tempi. Infatti, “negli anni Duemila, il crescente successo della cucina ha affiancato il primato della moda e del design di fine Novecento.” Ed è in quest’ultimo periodo – dalla fine degli anni Novanta –  che l’Italia, da Paese della buona cucina, è diventata la Nazione delle certificazioni alimentari di qualità: DOC, DOCG, IGP, DOP sono oggi sinonimo di innovazione, cultura e qualità. Ma il lavoro di “unificazione” alimentare è stato costruito sinergicamente sia negli anni di stenti che in quelli di crescita economica. Sicuramente, i primi anni della neonata Nazione furono i più difficili, ma con il tempo e con la diffusione dei mezzi di comunicazione, l’unificazione a tavola è stata quella più efficace. Infatti, con il boom economico negli anni Sessanta del Novecento arrivarono le pubblicità e i grandi marchi alimentari poterono puntare su una larga diffusione dei propri prodotti: Cinzano, Barilla, Cirio, Lavazza, San Pellegrino e molti altri divennero la prova della piccola “globalizzazione” all’italiana. Inoltre, i professionisti dell’arte culinaria furono  importanti per la diffusione e la crescita della cucina come “arte”; tra questi gli autori fanno un excursus ricordando Amedeo Pettini (capocuoco del Re e definito dagli autori chefstar ante litteram), Giovanni Vialardi (pasticciere della casa reale), Pellegrino Artusi, Nino Bergese, Peppino Cantarelli, Guido Alciati, Angelo Paracucchi, Gianluigi Morini, Gualtiero Marchesi, Ezio Santin, Alfonso Iaccarino e Mauro Uliassi. 
Così l'”Italia Buon Paese” festeggia i 150 di Unità nazionale partendo dalle tavole grazie alle quali la storia si è costruita e tramandata.

"Maionese impazzita", la ricetta dell’amore nel XXI secolo

Giulia Siena
ROMA“Cara sorellina, l’amore è come la maionese – dichiara Federico mescolando svelto gli ingredienti – affinché funzioni davvero non bastano l’attrazione, il rispetto e la fiducia, ma il composto deve essere ben amalgamato in ogni momento. Altrimenti, come vedi, impazzisce.”
Tre storie, tre città diverse, una manciata di uomini e donne dei tempi moderni, una buona dose di sentimenti confusi, un po’ di peperoncino e una spolverata di ironia: questa la ricetta di “Maionese impazzita”. Il libro di Giorgia Colli pubblicato da Fermento nella collana Donne per le donne, unisce il quotidiano in tre diversi racconti. Federico non poteva scegliere lavoro migliore: nel XXI secolo lui è “Mr. Divorzio”, un avvocato divorzista che non guarda in faccia a nessuno, tanto meno all’amore. Questo “folle sentimento” lui non lo ha mai provato, ma le scommesse cambiano la vita e così, nei giorni del protagonista del primo racconto, la sperimentazione culinaria investe e cambia il suo modo di vivere. Oltre, Federico, due donne completano i protagonisti nati della penna di Giorgia Colli. Sono donne che sanno quello che vogliono, sono stanche delle decisioni prese per loro, contrarie al “maschio dominante” perché loro sanno e vogliono scegliere. L’amore, ora ha nuove regole. E Giorgia Colli lo sa perché sa osservare. Entra nella società di tutti i giorni con una lente d’ingrandimento particolare, una di quelle che segnala i cambiamenti storici e, quindi, sociali. 

Certe notti irripetibili, ritratte dall’obiettivo di Jarno Iotti

Stefano Billi

Roma – I libri fotografici sono straordinari, perché sanno unire, al loro interno, due forme d’arte indispensabili per l’uomo, ovvero la scrittura e la fotografia. Perciò quando questi due elementi entrano in contatto, ecco che si forma un’alchimia bellissima, che lascia senza stupore.
Tutto questo capita, ad esempio, sfogliando il libro di Jarno Iotti, fotografo ufficiale di Ligabue, intitolato “7 notti all’Arena, tra orchestra e rock’n’roll”.
Quest’opera è davvero imperdibile, soprattutto per gli amanti del rocker emiliano,
proprio perché contiene numerosi scatti che ritraggono il cantautore alle prese con una serie di concerti all’Arena di Verona, che hanno scritto la storia della musica italiana.
Shows irripetibili, quelli che si sono tenuti all’anfiteatro veronese, perché hanno saputo coniugare la magia del rock con l’eleganza e la tradizione di un’orchestra classica (l’orchestra dell’Arena di Verona diretta dal M° Marco Sabiu).
Attraverso il suo obiettivo, Jarno Iotti ha catturato tutte le più belle sfumature della performance del Liga e della sua band.
Sfogliando pagina per pagina le fotografie, sembra di rivivere da vicino le emozioni e le sensazioni di una serie di eventi straordinari, cioè quei sette concerti all’Arena, che hanno lasciato impresso a fuoco nell’anima il marchio musicale di un artista, Ligabue, ormai da anni divenuto l’idolo di milioni di italiani, perché riesce in maniera assolutamente spontanea a farsi interprete dei sentimenti collettivi.
“7 notti all’Arena, tra orchestra e rock’n’roll” è impreziosito non solo da immagini superlative, ma anche da toccanti didascalie redatte da Corrado Minervini che accompagnano il lettore vicino al palcoscenico, per godere appieno di una commistione tra rock e musica classica che lascia a bocca aperta.
“Gli arrangiamenti orchestrali rivestono le canzoni di magnificenza” scrive Minervini, e come dargli torto, vista la perfetta riuscita di questo esperimento chimico che ha strabiliato tutti i fan di Ligabue.
Un’opera di pregio elevato, quella di Jarno Iotti, che riveste di magia un’esperienza musicale di per sé già leggendaria.
Questo libro è imperdibile, e va ricercato e letto perché svela un’anima intima di Luciano, in perfetta simbiosi con i duemila anni di storia dell’anfiteatro più bello del mondo.

"Cafone sarà lei"

Silvia Notarangelo
Roma L’estate è alle porte, le spiagge si affollano e il rischio di ritrovarsi immersi in un “universo parallelo” si fa incombente. Meglio allora correre ai ripari e dotarsi, sotto l’ombrellone, di “Cafone sarà lei” il divertente vademecum redatto, per Edizioni Cento Autori, dal giornalista Salvatore Manna. Protagonista assoluto, di questa guida dissacrante, il cosiddetto Pianeta Cafone, con tutte le sue fattispecie e un ampio repertorio di esemplari. La capitale può sfoggiare il suo coatto/coatta, il cui ruolo è stato recentemente ricoperto da Debora e Romina, due ragazze intercettate sul litorale, rese memorabili dal loro ‘na bira e un calippo. A Napoli imperversano i tamarri, categoria in continua evoluzione, piena di sfaccettature, che, complice l’innegabile creatività partenopea, si arricchisce ogni giorno di nuovi sinonimi.

Non è certo da meno il nord Italia, dove proprio la diffusione del vocabolo tamarro, in alternativa al piemontese truzzo, sembra confermare come il “genere” non conosca distinzioni di latitudine.

Attenzione, però, a non fare confusione: inutile additare come cafone chi parcheggia in doppia fila, chi svuota il portacenere dal finestrino o si esalta per sorpassi da immediato ritiro della patente. E’ vero, i confini possono essere molto labili, ma tra cafonaggine e semplice maleducazione persiste una sostanziale differenza.
Ogni settore, poi, come sottolinea Manna, può vantare una serie di illustri esemplari. Tra i vip il numero 1 è Flavio Briatore, seguito dai partecipanti, sempre più imbarazzanti, ai reality show. Nello sport primeggia, su tutti, il presidente del Napoli e produttore cinematografico, Aurelio De Laurentis, il cui repertorio linguistico sembra non poter fare a meno del termine “cafone”, adeguatamente corredato da gesti e atteggiamenti capaci di esplicitarne, in modo inequivocabile, il significato. Anche la classe politica non è certo priva di simili “modelli di comportamento”, tutti prontamente ripresi da Dagospia nelle sue apposite e seguitissime rubriche, “Cafonal” e “Cafonalino”.
Per fortuna, però, il cafone trascende i confini nazionali, ed ecco, allora, che Oltre Manica fa la sua apparizione l’anglo-cafone: per lui, partenza dalla periferia londinese, giri spericolati per le vie più chic e tappa nel solito pub. In questa speciale classifica, della serie “tutto il mondo è paese”, impossibile non annoverare i nuovi magnati russi, sogno di intere tifoserie calcistiche, il cui conto in banca sembra inversamente proporzionale ai discutibili, quanto ostentati, modi di fare.
L’ascesa del cafone o il simil-cafone appare, insomma, inarrestabile. Non a caso, per quanti desiderano approfondire ulteriormente l’argomento, si segnala il debutto televisivo di “Tamarreide”, una docu-soap che promette di far luce sul Pianeta Cafone, nella speranza di suggerire (anche) adeguate strategie di difesa.

“Viaggi di miele. Mete romantiche e alternative per amanti, fidanzati, sposi.” Un pratico manuale per la prima fuga romantica, edito da Polaris

Alessia Sità
ROMA
– Il viaggio di nozze, comunemente definito anche come Luna di Miele, ha origini antichissime. Infatti, era tradizione che, dopo il rito nuziale, le coppie appena sposate bevessero uno sciroppo chiamato idromele, considerato da molti un rimedio per favorire la fertilità.
Oggi, la Luna di miele è la fase tanto attesa da tutte le coppie che hanno deciso di coronare il proprio amore con la gioia del matrimonio. Questo ‘dolce’ epilogo merita di essere celebrato nel miglior modo possibile, affinché resti un ricordo indelebile per i coniugi. Scegliere la destinazione giusta per la propria honeymoon è fondamentale per gli sposi che, dopo la fatica di giornate pregne di impegni e preparativi prematrimoniali, necessitano di relax e riposo. Dove andare dunque in viaggio di nozze? Le mete sono tantissime e tutti sognano di fare qualcosa di originale e unico. Se avete in programma di sposarvi e state pensando alla vostra vacanza ideale, leggete “Viaggi di miele. Mete romantiche e alternative per amanti, fidanzati, sposi” di Burattino Rossella, edito da Polaris nella collana Viaggi da manuale.
Una guida pratica da portare sempre con sé per imparare e scoprire nuove realtà. Tanti consigli utili per organizzare la vostra prima fuga romantica in modo facile e senza troppo stress.
Prima fuga romantica insieme, viaggio di nozze o anniversario di matrimonio. La scelta delle destinazioni per una luna di miele è immensa: questo manuale ci conduce a mete classiche, proposte da un punto di vista originale e alternativo, ma anche in luoghi insoliti e magici. Una guida pratica, completa di informazioni utili e prezzi, per innamorati di ogni tipo: per chi apprezza l’avventura e lo spirito selvaggio, per quelli che cercano privacy e relax in strutture lussuose o di design, o per coppie che amano spostarsi alla scoperta dell’arte e della spiritualità.
Manuale sì, pratico e tecnico da portare in borsa durante il viaggio, ma anche un racconto, una narrazione diretta e avvincente per il gusto di leggere e sognare. Un libro che descrive i percorsi in modo colloquiale, intimo, così diverso dalle consuete guide turistiche, con consigli diretti, divertenti e calorosi.
La prima parte di questo mappamondo romantico è dedicata ai viaggi nei luoghi tradizionali e a quelli da scoprire anche se un po’ scomodi, oltre a una preziosa raccolta di piccole fughe last minute in Italia per gli amanti, i fidanzati e gli sposi che vivono con il calendario in mano in attesa del week end libero.
Nella seconda parte, il viaggio romantico diventa protagonista assoluto. Si parte per Marrakech, in Marocco, la città dell’amore folle, e poi per il deserto del Sahara: misterioso e silenzioso. Si raggiungono i paesini abbarbicati sulla Costiera sorrentina e amalfitana visitati in vespa e in gozzo, la creatività architettonica della sorprendente capitale dell’Argentina, Buenos Aires.
Nemmeno il tempo di tirare il fiato ed eccoci proiettati per magia in un tour tra gli stupefacenti scenari del Sudafrica, prima di essere improvvisamente catapultati in un viaggio vertiginoso a bordo del Glacier Express, il trenino rosso svizzero. Si passa alla dolcezza dei paesaggi del Québec canadese, si trascorre un’esperienza benessere sull’isola di Kho Lanta, in una Thailandia “diversa”. E ancora, tra storia ed enogastronomia, si passeggia tra le stradine e i castelli di Saint-Émilion, in Francia e poi via in auto tra le isole divertenti e sportive dell’arcipelago americano delle Hawaii: Maui e Kauai.

"Sapore Italiano", il ricordo degli emigranti rivive nelle pagine di Valérie Losa

Giulia Siena
ROMA “Al nostro paese sembrava sempre una festa per la sposa! Si mettevano tutti i tavoli insieme… ma quell’Italia lì, oggi non c’è più.” Sono i ricordi che parlano in “Sapore Italiano”, il libro creato e illustrato da Valérie Losa e pubblicato da Zoolibri. Le storie che si mescolano in quest’opera rivolta ai giovani lettori, sono voci degli emigranti italiani; tantissima gente che negli anni ha lasciato la propria terra natìa per trovare fortuna altrove. Gli usi e i sapori delle nuove terre non hanno intaccato il ricordo che gli emigranti hanno dei sapori delle tavole di un tempo. Loro, attraverso le ricette di sempre, hanno saputo ricreare il clima di festa che segnava le domeniche dei piccoli paesi italiani. Il tempo e la distanza non hanno fatto altro che alimentare il legame con i prodotti “cresciuti al sole”, con le conserve che si preparavano d’estate, con la pasta fresca alla chitarra, con il pranzo della domenica. Ed è a questa tavola, quella della tradizione, che si siedono le tante voci che “suggeriscono” a Valèrie Losa il modo di raccontare, ai bambini di tutte le età, la bontà che la tradizione conserva.

"Mare di libri", il festival dei ragazzi che leggono a Rimini dal 17 al 19 giugno

Rimini – Dal 17 al 19 giugno si terrà nel centro storico di Rimini la quarta edizione di “Mare di libri”, il festival dei ragazzi che leggono. “Mare di Libri è una grande festa per tutti i ragazzi che amano leggere che si svolge quando le scuole sono ormai finite, quasi una festa di fine anno, dove ritrovare i libri che durante i mesi precedenti abbiamo scoperto, letto, amato, magari proprio tra i banchi di scuola, un’occasione per conoscere gli autori che quei libri li hanno scritti e altri giovani lettori che li anno amati.

Come ogni buona festa di fine anno vuole essere l’occasione per celebrare e far conoscere tutte le cose belle che ci sono state in quell’anno di scuola. I progetti sulla lettura dedicati ai ragazzi dagli 11 ai 18 anni, in Italia, sono ancora pochi, almeno rispetto a quelli per i bambini. Mare di Libri vuole farvi conoscere i migliori nella speranza che i ragazzi che vi hanno partecipato vengano a trovarci a giugno per comunicare di persona agli altri lettori il loro entusiasmo! Incontri con celebri autori per ragazzi, dibattiti, giochi letterari e reading saranno i protagonisti di circa 40 eventi “disseminati” nel week-end.


Festival degli scrittori – Premio Gregor von Rezzori: a Firenze dal 15 al 17 giugno

Firenze – Il Premio Gregor von Rezzori, intitolato al grande scrittore mitteleuropeo Gregor von Rezzori (1914-1998) che ha vissuto e lavorato per più di trent’anni a Santa Maddalena sulle colline del Valdarno, il Festival degli scrittori – Premio Gregor von Rezzori – Città di Firenze intende approfondire la conoscenza, nel nostro Paese,  della migliore letteratura internazionale. Inoltre, da quest’anno diventa un Festival letterario, il Festival degli scrittori, il primo festival letterario internazionale della città. E sarà dedicato agli scrittori di tutto il mondo, nel solco di una tradizione che ha sempre visto la città come luogo amato e ambito dagli intellettuali stranieri.  Il Festival, che intende promuovere  i talenti più originali della letteratura internazionale, si terrà a Firenze dal 15 al 17 giugno 2011. Nasce dall’esperienza, maturata negli anni, della Fondazione Santa Maddalena e del Premio von Rezzori-Città di Firenze, entrambi presieduti da Beatrice Monti della Corte, moglie del grande scrittore mitteleuropeo Gregor von Rezzori che proprio a Santa Maddalena, sulle colline del Valdarno, ha vissuto e lavorato per più di trent’anni.
I finalisti selezionati per la migliore opera di narrativa straniera tradotta in Italia sono: Aleksandar HemonIl progetto Lazarus, Einaudi; David Mitchell, I mille autunni di Jacob de Zoet, Frassinelli; Marie NDiayeTre donne forti, Giunti; Miguel SyjucoIlustrado, Fazi; Wells Tower, Tutto bruciato, tutto devastato, Mondadori. Per la miglior traduzione in italiano di un’opera di narrativa straniera la giuria ha invece deciso di attribuire un ex-equo per la traduzione del Grande Gatsby di Francis Scott Fitzgerald a Franca Cavagnoli (Feltrinelli) Tommaso Pincio (minimum fax) e Roberto Serrai(Marsilio). La cerimonia di premiazione, dove sarà annunciato anche il vincitore della narrativa, avrà luogo venerdì 17 giugno alle ore 18,30, nel Salone dei Cinquecento in Palazzo Vecchio a Firenze.
Nei giorni del Festival si terranno reading, incontri, lectures di attori e scrittori in vari luoghi della città. Due sono gli eventi maggiori: la lectio magistralis di Zadie Smith, e ancora, un recital “Sull’Amore” tenuto da Isabella Rossellini e da Colm Tóibín. Inoltre i cinque finalisti – Aleksandar Hemon, David Mitchell, Marie Ndiaye, Miguel Syjuco e Wells Tower – saranno presentati e dialogheranno con scrittori italiani della stessa generazione, comeGianluigi RicuperatiChiara ValerioGiorgio Vasta, Elena Stancanelli e Lorenzo Pavolini.
In questo nuovo panorama i cinque scrittori selezionati dalPremio Gregor von Rezzori – Città di Firenze, insieme ad altri ospiti, scrittori e traduttori internazionali, animeranno la vita culturale della città facendo incontri col pubblico, oltre che in luoghi istituzionali come Palazzo Medici Riccardi e Palazzo Vecchio, anche nelle librerie, nei teatri e nei luoghi nuovi della città, dal Cinema Teatro Odeon all’ ex-carcere delle Murate.
Il Festival degli scrittori è sostenuto dal Comune di Firenze, dalla Provincia di Firenze, dall’Ente Cassa di Risparmio e dalla Banca CR Firenze e si avvale della collaborazione della Regione Toscana, di FST – Mediateca, di Repubblica Firenze come media partner.