"L’omosessualità non è ancora metabolizzata dal nostro panorama letterario (e culturale)": ChrL intervista Giorgio Ghibaudo.

Giulio Gasperini
ROMA –
Ghibaudo, torinese d.o.c., ha una scrittura scevra di finzioni inutili, di orpelli grevi. Ha una scrittura pratica e maneggevole, semplice e non artificiosa. Esattamente come è lui; e lo capirete dalle risposte alle mie domande. Con Giorgio abbiamo provato ad armonizzare l’intervista. Lui si è scherzosamente lamentato che le mie domande eran complesse, e che sarebbero servite ore di telefono per rispondere. Io credo che abbia risposto in maniera molto intelligente, non trovate?!?

Scontata e prevedibile, la prima domanda riguarda il materiale autobiografico presente in questo romanzo. Quanto ce n’è? Quanto ce ne sarebbe stato di più?
Se la domanda era (per tua stessa ammissione) prevedibile, mi auguro di sconvolgerti ammettendo che, pur essendo un’opera prima, nella quale ci si aspetterebbero aneddoti raccattati qua e là dal mio passato, in Kiss Face l’unico elemento vagamente autobiografico è la festa di mezza estate alla quale i due protagonisti partecipano.
Poi, se vogliamo andare a fare una ricerca proprio approfondita, potrei aggiungere che poche settimane prima che io mi accingessi a scrivere questo romanzo fui brutalmente mollato da un certo Paolo. Ora, il fatto che il protagonista di Kiss Face si chiami proprio così e che nel corso della narrazione subisca una serie di abbandoni da parte dei suoi compagni… come potrebbe essere interpretato tutto ciò? Come una sorta di catarsi per interposta persona? Come un delirio di onnipotenza? Battute e strizzate d’occhio a parte, ritengo la mia esistenza non così ricca di eventi tali da meritare di essere inseriti in un romanzo. Preferisco lavorare di fantasia, su idee che mi sono venute e che approfondisco in fase di scrittura. La festa di mezza estate che cito più sopra è stata presa da una mia esperienza personale e cambiata al punto tale da non essere più riconoscibile. Avevo bisogno di un contesto che fosse un po’ “magico” per introdurre il personaggio di Flora.


La seconda domanda, anche questa poco emozionante perché inflazionata, riguarda l’importanza dell’omosessualità sulla scrittura. A lungo si è discusso e tutt’ora se ne discetta in maniera quasi ossessiva, oserei direi (ma tutta italiana è la mania delle etichette, esclusivamente per far lavorare tanti critici e professori universitari), sull’esistenza o meno della letteratura di genere e, in questo caso specifico, della letteratura “omosessuale”. Esiste? Non esiste? Sarebbe meglio non esistesse? Oppure è inutile persino porsele, queste domande?
A mio modestissimo parere una “letteratura LGBT” esiste, eccome! Esiste come esistono decine di altre letterature e generi, tutti degni di un proprio spazio. Il problema (soprattutto qui in Italia) è forse l’enfasi con la quale il discorso-omosessualità viene sempre trattato (vedi “stigmatizzato”). È spesso fonte e tema di dibattiti, di scontri in ogni ambito della vita sociale e politica. Tutto ciò, ovviamente, fa sì che un genere letterario (o cinematografico o teatrale che sia) o qualsiasi forma artistica (a tematica LGBT) diventi a sua volta oggetto/bersaglio degli stessi dibattiti. E mi pare che certe domande vengano poste solo ed esclusivamente in riferimento a quel tipo di letteratura. Ritengo comunque utile e doveroso porsi queste domande. È una spia di come l’omosessualità non sia ancora una cosa metabolizzata nel nostro panorama. Quando non sentiremo più la necessità di porci questa domanda (così come quando non ci chiederemo più se un gay possa sposarsi o una lesbica adottare un bambino), significherà che le cose saranno nettamente migliorate, per tutti, anche per gli eterosessuali.


Sicché deduco che per te la letteratura omosessuale, pur esistendo come genere, non possa esser confinata soltanto a lettori omosessuali. Ma perché, probabilmente vincendo un inevitabile e inestirpabile (almeno per adesso) machismo, un etero dovrebbe interessarsi di acquistare libri che parlano di tematiche omosessuali? (Il discorso è solo maschile perché, pur con le dovute eccezioni, le donne paiono più disposte ad accogliere, da lettrici, lo sconfinamento di genere).
Torniamo un attimo al discorso “generi”. Se equipariamo (cosa che mi sembra sana) il “genere LGBT” a tutti gli altri, allora ci troviamo a poter constatare che non a tutte le persone piacciono tutti i generi (cosa a mio parere altrettanto sana). Per esempio a me non piace il genere bellico, come altri potranno dire di non gradire la fantascienza perché si definiscono persone con i piedi piantati a terra o c’è chi non apprezza il fantasy e lo che liquida come “semplice” letteratura per ragazzi. Però nel caso della letteratura LGBT, ci troviamo di fronte a volte a un atteggiamento dai tratti vagamenti omofobi e dunque un eterosessuale maschio troverà un certo fastidio ad approcciarsi a un romanzo con gay come protagonisti (cosa che effettivamente, come suggerivi tu, non infastidisce minimamente le lettrici eterosessuali). È anche interessante constatare come noi della comunità LGBT, invece, non disdegniamo la lettura di romanzi in cui i protagonisti siano eterosessuali e non cerchiamo a tutti i costi la love story gay ogni volta che sfogliamo un libro.


Sarei curioso di sapere, però, proprio in concreto, quali sono i motivi per i quali, a tuo parere, un lettore eterosessuale dovrebbe interessarsi a leggere un libro dalle tematiche omo?
Se parlassimo di “generi in generale” si potrebbe dire che più si allarga il raggio delle proprie letture (e i temi trattati in esse) più aumentano le prospettive mentali personali, le proprie conoscenze e i propri interessi. Purtroppo questo tipo di letteratura di cui stiamo parlando è osteggiato da un muro culturale molto forte. Per un eterosessuale è imbarazzante la lettura di un libro a tematica LGBT perché gli verrebbe da porsi la seguente domanda: “Ma se io sono veramente etero, per quale motivo sto provando questa strana curiosità su argomenti così lontani da me? Cosa mi sta succedendo? Non è che anche io, forse…?” Sarebbe per lui una bella prova di coraggio, più che una semplice lettura! Nella realtà, invece, un eterosessuale che si interessasse a un romanzo a tematica LGBT darebbe intanto un esempio di come si possa spaziare con la letteratura in più universi narrativi e sarebbe un modo, per lui, per capire quanti di quegli stereotipi da barzelletta da caserma che circolano su di noi, non trovino fortunatamente alcun riscontro nella vita di tutti i giorni. Sarebbe un modo per capire e conoscere un mondo diverso dal proprio ma che ha la stessa dignità e diritto di esistere.


All’estero, per ampliare la discussione, la letteratura omosessuale è considerata uno dei capisaldi della crescita culturale. Basti pensare a Edmund White e David Leavitt negli States, o a Forster e Wilde in Inghilterra. In Italia i nomi di Tondelli, di Patroni Griffi, persino di Penna e Pasolini ancora si sussurrano, senza contare la freddezza con cui si glissa sull’omosessualità di tanti altri (Palazzeschi tra tutti); figurarsi poi se se ne discute nelle aule scolastiche! Quali sono, a tuo avviso, i ritardi che comporterà questo nostro blocco culturale?
Mi permetto di aggiungere, per quanto riguarda la letteratura statunitense, il nome di Armistead Maupin che è uno dei miei scrittori preferiti. Invece, per rispondere alla tua domanda, posso dire che i ritardi causati da questo “clima” sono quelli che possono esserci quando esiste una forma di censura più o meno voluta/velata. Ovvero apertura mentale alle differenze pari a zero, arretratezza culturale, altra omofobia (interiorizzata e non). Come se ne sentissimo poi il bisogno…


Il tuo romanzo è un coloratissimo mondo in cui si agitano personaggi diversi, tutti apportatori, a loro modo, di un brivido, una spinta emotiva, abitanti di un microcosmo che par diventare la migliore declinazione d’esistenza. Un po’, bisogna dirlo, come avviene in ogni film di Ferzan Ozpetek (come, ad esempio, nelle scene dei pranzi domenicali in terrazza al Testaccio, in Le fate ignoranti). Ecco, quanto i suoi film, da Saturno contro a Mine vaganti, hanno condizionato l’immagine che il pubblico (principalmente negli ultimi anni) ha degli omosessuali e quanto, invece, hanno condizionato la tua narrazione?
Ozpetek è un regista che mi piace moltissimo e di cui ho apprezzato quasi tutti i film (Un giorno perfetto, proprio no!) sia “a tema” che non “a tema” (Cuore sacro sublime!). Ama, e si vede, il cinema italiano del passato. È un autore coraggioso che “osa” sia da un punto di vista degli argomenti trattati che della messa in scena (in Italia ce ne sono pochi, ma va?!). È in grado di offrire una panoramica precisa su ciò che può essere la comunità LGBT nel nostro paese. Descrive le dinamiche e le tipologie senza finire negli stereotipi più triti. È sicuramente una benedizione nel nostro cinema in quanto ci ha finalmente liberati da tante idee preconcette che gli eterosessuali potevano avere di noi. Per quanto riguarda il mio libro posso dire che anche qui, come nei film che hai citato, c’è un’idea di appartenenza a un gruppo (nel caso di Kiss Face quello composto dal transgender Flora e dai suoi amici) che ti accoglie, ti tutela, ti coccola, ti protegge e ti prepara a “tutto quello che c’è fuori”. Ma non trascurerei l’influenza del già da me citato Armistead Maupin che, da quasi quarant’anni, nei suoi celebri Tales of the City descrive la vita dei suoi personaggi che popolano la comunità LGBT di San Francisco. Se già in questo mio primo libro l’idea della comunità è presente, nel prossimo, una sorta di “spin off” di Kiss Face, sarà ancora più forte e riunirà intorno a sé tantissimi personaggi.



Un piccolo vezzo di noi di ChrL, una domanda che rivolgiamo a tutti gli scrittori (proprio perché scrittori siete!): quali sono le tue tre parole preferite, e perché?
Ukulele, lo strumento musicale suonato dalla Monroe in A qualcuno piace caldo, una delle mie commedie preferite. Nota: non sono in grado di suonarlo.
Rabastè, verbo in dialetto piemontese che significa trascinare, strisciare… e che ha un che di onomatopeico che mi attira;
Entourage che riesce a darmi l’idea di gruppo, di comunità, di movimento, di varietà, di scambio.
Ora che ci penso, non ho mai usato queste parole nei miei scritti. Corro subito a provvedere…

Son sinceramente curioso di sapere quale frase comporrai che contenga tutt’e tre codeste parole…

Da Fandango "Due amici", il nuovo romanzo di Carlo Mazzoni

Silvia Notarangelo
Roma – Due trentenni, Matteo e Giò, più che amici, più che fratelli. Un rapporto viscerale, indissolubile, capace di rendere le loro vite intimamente legate. Carlo Mazzoni racconta, per Fandango“Due amici” ovvero la storia di un’amicizia, di un sentimento che va oltre le divergenze, oltre il tempo e le distanze che potrebbero scalfirlo. Metà settembre, Matteo si accascia improvvisamente. Nella sua testa una vena va in frantumi. In un attimo, si ritrova disteso in un letto di ospedale, la situazione è disperata, il primario decide di intervenire. Nella sala di attesa Giò è sconvolto, incapace di reagire, di credere che lì, a pochi metri da lui, a lottare per la vita, c’è proprio Matteo, il suo migliore amico, quell’amico con il quale ha condiviso tutto. Inevitabile che la mente inizi a vagare alla ricerca di qualcosa a cui aggrapparsi, ripensando a quei tanti, troppi momenti trascorsi insieme, momenti lontani, ma così prepotentemente vivi nella memoria di Giò. I ricordi prendono il sopravvento. Le interrogazioni a scuola, le feste, i viaggi privi di una meta, il lavoro, le donne. Sempre insieme, lui e Matteo, con la loro spensieratezza, la voglia di vivere, il desiderio di “cercare, camminare per le vie del mondo, per le arterie degli uomini, senza trovare riposo”.
Sono simili, anzi, quasi uguali: parlano, si muovono, ragionano e rispondono allo stesso modo. Eppure si fanno del male, discutono, litigano, si rendono la vita difficile, ma nulla sembra poter intaccare la loro amicizia. Anche quando Giò prova a dire basta, a spezzare questa catena che, talvolta, appare soffocante, eccolo toccare il fondo, perdere il controllo, lasciarsi andare. Lo intuisce ma non riesce ad ammetterlo, è l’assenza di Matteo a rendere la sua vita priva di significato. Per questo, di ritorno da New York, in una camera di ospedale, il mondo sembra crollargli addosso. “Non puoi morire”, continua a ripetere.
Perché qualunque cosa succeda, qualunque persona, qualunque situazione dovranno affrontare, Matteo e Giò saranno lì, l’uno per l’altro, ad aspettarsi.

Alessandro Savorelli e i simboli del Palio di Siena

Stefano Billi

Roma – Ci sono tradizioni che si perpetuano anno dopo anno, attraverso i secoli. Una di queste è il celeberrimo Palio di Siena, manifestazione equestre che coinvolge la piccola perla toscana che dà il nome all’evento, rendendola – per due occasioni ogni trecentosessantacinque giorni – l’epicentro dell’anima medievale italiana. Questa corsa di cavalli, in una delle piazze più belle del mondo, non è una semplice manifestazione turistica, ma piuttosto deve essere considerata come la vita del popolo senese, che dal 1644 ha un cuore che batte al ritmo degli zoccoli che risuonano, nei tre giri di palio, sulla terra battuta in Piazza del Campo. A testimoniare quanto questi due spettacoli annuali, assolutamente imperdibili, siano qualcosa di più di un semplice agone ippico, c’è un libro che vale davvero la pena leggere, intitolato “Il Palio di Siena e i suoi simboli” di cui è autore Alessandro Savorelli (per le edizioni La Mandragora). Questo testo infatti spiega la simbologia che si annida dietro agli stemmi e agli stendardi di ogni singola contrada (è così denominata quella entità territoriale comunale che partecipa, con un proprio cavallo, alla corsa), disvelando i profondi legami storici e di costume di ognuna di esse.
Alessandro Savorelli, pagina dopo pagina, conduce chi legge all’interno dell’atmosfera e della magia del Palio di Siena, quasi come se fosse un narratore di una fiaba intramontabile, che non smetterà mai di far sognare senesi e “stranieri”.
Di assoluto pregio, inoltre, sono le immagini che, insieme alle didascalie e alle descrizioni, compongono l’opera: e ciò che ancor di più colpisce l’attenzione del lettore è che non sono le foto ad illustrare il palio, ma tele e arazzi dall’alto rilievo artistico.
Questo libello è capace di infondere tutta quella consapevolezza di come ci si trovi davanti, quando si fa riferimento al Palio, ad un rito, una celebrazione, connotata da veri e propri momenti “liturgici”, che poi lasciano però libero ogni cittadino di gridare tutta la sua gioia immensa, non appena la propria contrada ha vinto la competizione.
In occasione del prossimo Palio di Siena, in questo magico duemilaundici che ci ricorda la bellezza di una patria da amare, leggere l’opera di Alessandro Savorelli è un’opportunità da non perdere, che permetterà di assaporare uno di quei momenti imperdibili della nostra tradizione popolare, così affascinante ed unico che lascia a bocca aperta tutto il mondo.

Il destino di ogni donna di nome Tess

Agnese Cerroni

ROMA Ogni epoca si è confrontata con la questione femminile e da sempre le persone più sensibili hanno dato il loro contributo per liberare la donna dalle ingiustizie del dominio maschile. Sul finire dell’Ottocento, lo scrittore inglese Thomas Hardy (1840-1928), nel suo romanzo Tess of the D’Urbervilles (pubblicato dapprima a puntate sulla rivista “Graphic” nel 1891), tratta del problema della doppia morale in campo sessuale che vigeva nell’età vittoriana. Un uomo poteva avere relazioni sessuali extraconiugali prima e durante il matrimonio senza perdere la sua rispettabilità sociale, mentre per la donna era diverso: qualsiasi relazione sessuale fuori dal matrimonio , anche in caso di stupro, portava la società a considerarla una prostituta e ad emarginarla. Valle di Blackmoor, Wessex: John Durbeyfield, nullafacente con a carico una moglie e sei figli, scopre di avere il sangue nobile dell’aristocratica dinastia dei D’Urberville. Inaspettatamente una famiglia D’Urberville abita nei pressi della loro cittadina, e John decide di mandare la sua bella e fresca primogenita, Tess, a rivendicare il proprio titolo nobiliare. La giovane ed innocente Tess inizia così una formidabile avventura, guidata dalla mano di un tragico e crudele destino. Un racconto molto interessante che evidenzia la figura della donna nella società e, attraverso la storia di una di esse, narra i tranelli e le tentazioni che gli uomini possono provocare e che inducono a commettere sbagli che segnano la vita.

"120 ricette salva cena" e l’imprevisto non è più un problema!

ROMA – E’ in libreria da pochi giorni ma già si candida a libro cult per i pasti dell’estate. Stiamo parlando di “120 ricette salva cena”, il libro di Manuela Vanni pubblicato da Magazzini Salani. L’emergenza è la chiava di scrittura e lettura di “120 ricette salva cena”. Infatti, in questo “magico” volume potrete trovare più di cento ricette per risolvere  occasioni conviviali che non avevate previsto: ospiti improvvisi o feste organizzate all’ultimo minuto. Per sfruttare quello che abbiamo in casa, l’indice delle ricette è ordinato per ingrediente (vari tipi di carni, pesci, formaggi, verdure e frutta). Geniale  la sezione dedicata ai cosiddetti Trucchi salva tempo e ai principali alleati di chi deve cucinare in tempi rapidi: dal forno a microonde, al frullatore a immersione e al wok.

"Cose dell’altro mondo", Baglioni ci parla del web

Marianna Abbate
Roma Un libro su Baglioni? Un libro di Baglioni? Ci siamo abituati alla poliedricità di questo ormai mitico cantautore: negli ultimi anni ha addirittura tentato la via del cinema, con risultati dignitosi.
In “Cose dell’altro mondo” edito da Rai-Eri e Infinito Edizioni l’artista romano conversa con Gianfranco Valenti, toccando temi di attualità come il web e i social network. Si esprime con grande semplicità e riflessività che da sempre caratterizza le sue canzoni. 

Baglioni paventa i suoi dubbi di fronte al fenomeno web, che ci allarga gli orizzonti in mondi molto più ampi di quanto non lo sia già il mondo reale.
Perchè il mondo reale è già astronomicamente vasto e sconvolgente e offre miliardi di possibilità. Ma scoprirlo costa fatica, ci vuole voglia e impegno. 
Il web, invece, è a portata di mano. Offre paradisi a portata di click, emozioni e risate a 20 mega al secondo. Permette di conoscere tutto subito, senza nessuno sforzo. Eppure tutto questo è solo un’illusione, una chimera effimera che scompare come è apparsa. E allora quali sono i rischi?
Quello che spaventa il nostro beneamato cantante è l’appiattimento delle emozioni, l’abitudine e la noia che sicuramente prima o poi colpisce chi del web fa un punto di riferimento imprescindibile. L’atteggiamento blasè che i sociologi paventano da tempo, è giunto al suo culmine. La desensibilizzazione colpisce tutti e potrebbe uccidere le emozioni.
E Claudio Baglioni è un inguaribile romantico, non potrebbe mai permetterlo.



Dalle nevi del Fuji ai disastri nucleari: i 10 libri sul Giappone.

ROMA – Che sia quello del Fuji e delle sue nevi imponenti o che sia quello delle tragedie nucleari, che sia quello ipertecnologico delle metro e dei treni ultraveloci o quello del tempo rilassato e all’apparenza immutabile, il Giappone ha sempre un suo fascino innegabile. Quattro isole principali, una miriade di altre isole che affiorano in mari dai nomi tutti diversi, un mondo emergente in uno degli angoli più travagliati della crosta terrestre. Il Giappone è tutto questo: un nodo inscindibilmente stretto tra antiche tradizioni, di immutabile e granitica memoria, e una proiezione verso un futuro che, in pochi attimi, è già passato.
La redazione di ChronicaLibri vi suggerisce questi dieci libri: ovviamente, non esaustivi, ma sicuramente un buon punto di partenza per incominciare l’esplorazione del paese del sol levante.

1) Fosco Maraini, Ore giapponesi, Corbaccio
2) W.H. Auden – Christopher Isherwood, Viaggio in una guerra, Adelphi
3) Haruki Murakami, Underground, Einaudi
4) Yasunari Kawabata, La casa delle belle addormentate, Mondadori
5) Luisa Adorno – Daniele Pecorini Manzoni, Foglia d’acero, Sellerio
6) Aa. Vv., Cento haiku, Guanda
7) Yukio Mishima, La voce delle onde, Feltrinelli
8) Banana Yoshimoto, Tsugumi, Feltrinelli
9) Angela Staude Terzani, Giorni giapponesi, TEA
10) Karl Bruckner, Il gran sole di Hiroscima, Giunti

La vita altrove

Silvia Notarangelo
ROMA – Insegnante in pensione, autore teatrale ma, soprattutto, apprezzato scrittore, Nino Nonnis ha appena pubblicato, con Arkadia Editore, un nuovo romanzo dal titolo “La vita altrove”.
In un paese dove piccolezze, fatti quotidiani, invidie e lacerazioni possono assumere connotazioni da tragedia greca, i protagonisti del libro si muovono come tanti personaggi, sballottati dagli eventi, spesso ignari della grande storia che gli scorre a fianco, quasi parallela. E così un amore può trasformarsi in vendetta, un semplice sgarbo in faida. Michele, nonostante le grandi difficoltà di norme sociali che deve affrontare, non può rinunciare al suo amore per Caterina, sebbene sia costretto a vivere il suo sentimento in modo discreto, preservandolo dagli sguardi del mondo.I Vidili, la famiglia di cui fa parte Michele, gente onesta ed operosa, non possono ambire ad unire i propri destini a quelli dei Cossu, i ricchi del paese. E il giovane se ne rende conto, quando ormai è troppo tardi.Le vicende di uomini e donne di un ipotetico paese immerso nelle sue tradizioni diventano lo specchio di una società, in un racconto che dal primo dopo guerra arriva fino ai giorni nostri. Nel mutare delle epoche si coglie anche l’evoluzione di una società che attraversa un cambiamento epocale, tra giovani che fuggono via e nuovi interessi che arrivano, dove l’antico tende a scomparire per lasciare spazio al progresso.

Ma la forza dei luoghi, dei ricordi, di eventi e persone rimane sospesa e pronta per essere trascritta, come segno di rispetto verso un passato che è stato patrimonio di intere generazioni. Un romanzo corale, un affresco avvincente in cui uomini, donne, paesaggi, storie si fondono in una narrazione a più voci, capace di far sorridere ma anche ricca di emozioni.




Novità per ragazzi: da Sinnos "Hanna e Fou. Il mistero delle saline"

ROMA – Arriva fresco di stampa “Hanna e Fou. Il mistero delle saline” il libro di Maria Beatrice Masella con le illustrazioni di Luisa Montalto pubblicato nella collana Fabilandia, i narratori della Sinnos Editrice. Hanna, figlia di un pescatore siciliano e di una giornalista svedese, ha undici anni e da quando è nata è sempre vissuta su un barcone attraccato nel porto canale di Cervia. Insieme a lei vive Fou, il suo cane nonché assistente-segugio. Hanna, infatti, ha un dono speciale: un formidabile olfatto che metterà al servizio di Saverio, ornitologo del Parco della Salina, per scoprire cosa ha ucciso due delle sue preziose anatre. Ma questo caso si intreccerà con un’indagine poliziesca ben più complicata, che Hanna e il suo gruppo di amici cercheranno di risolvere…(scheda libro Sinnos Editrice).

Simone Di Matteo: il volto giovane dell’Editoria italiana parla della Diamond Editrice

Alessia Sità
Roma
– Simone Di Matteo, uno dei volti più giovani dell’Editoria italiana, racconta a ChronicaLibri la sua passione per la scrittura e la realizzazione di un sogno: la Diamond Editrice.
Cosa spinge un ventisettenne a diventare editore?

Ognuno ha un sogno. Il mio è fare l’editore oltre a coltivare la mia passione per la scrittura. Ho sempre saputo cosa volevo fare, e l’ho fatto. Determinazione, coraggio e passione per ciò di cui vivo. Sommariamente questo e la lotta contro l’editoria a pagamento mi hanno spinto a divenire un editore.

Nella storia dell’editoria italiana la figura dell’editore è sempre stata legata a un’immagine di uomini con esperienza e dalle scelte importanti, non è troppo “rischioso” avventurarsi in questo mestiere senza la dovuta “gavetta”?

Tutto è rischioso, anche alzarsi dal letto al mattino. Io non penso che solo la “gavetta” sia necessaria per un buon editore, anche se auspicabile. I grandi editori del passato sono molto differenti da quelli odierni. Io non voglio assomigliare a nessuno né agli uni, né agli altri. Le doti che un editore deve avere sono varie e numerose: a partire dall’inventiva e dall’originalità delle proprie iniziative, la conoscenza della lingua italiana, e la capacita di trasmettere ai propri autori e collaboratori il senso e i principi con cui scrivere e comunicare ai lettori. Ma soprattutto serve gusto e intuito, in fondo è di letteratura che stiamo parlando e non di editoria scientifica o giornalistica. Non dico che siano doti innate in tutti gli editori, ma sono peculiarità da raffinare con il tempo e con l’esperienza. Soprattutto e sempre con la lettura e con la passione per la ricerca letteraria.

Qual è la proposta editoriale offerta da Diamond?

La Diamond Editrice pubblica narrativa. Abbiamo ben nove collane che racchiudono gli svariati generi letterari e una nuova collana “Dittici” da poco inaugurata dedicata a nostre antologie, o scritti brevi in forma dittologica, ovvero in cui si ravvisi una duplice necessità del pensiero. Pensare per schemi binari è una delle caratteristiche della civiltà occidentale, ed oggi tutto si muove su logiche binarie. Appena pubblicata, ad esempio, nella collana Dittici, un’antologia: l’opera collettiva “Del Vizio e della Virtù – Antologia di racconti del XXI secolo” che vede al centro del volume come ideale cesura e al contempo come transizione intellettuale e letteraria un racconto donato da Dacia Maraini.

Come mai la scelta di investire sugli autori emergenti?

La Diamond Editrice offre agli scrittori emergenti tutto l’appoggio necessario e gli strumenti atti a valorizzare ciò che di più prezioso possiamo trasmettere alle generazioni presenti e future. La nostra attività è rivolta alla qualità del prodotto letterario, selezionando per il tramite del comitato scientifico di lettura, eventuali manoscritti da pubblicare, siano essi di autori emergenti che già noti nel panorama letterario italiano. Oltre la qualità contenutistica, la Diamond si pone come obbiettivo anche la piacevolezza estetica del prodotto libro, infatti, i nostri illustratori sono stati scelti dopo un’attenta analisi dei propri lavori. Giampaolo Carosi e Daniele Pacchiarotti sono per la Diamond Editrice un’importante risorsa come lo sono i membri dello staff Diamond, ognuno per le proprie competenze. Per noi, un buon libro è come un diamante, è per sempre.

Sempre meno libri venduti, sempre più case editrici: come vive la Diamond questa continua “lotta”?

La Diamond è approdata nel mondo perché non sopporto l’idea che chiunque, così per caso, ogni mattina, possa pubblicare un testo improvvisandosi scrittore pagando. Sto combattendo dai miei esordi il business dell’editoria a pagamento, che per me, è la causa dell’allontanamento dalla lettura. E l’Italia, si sa, è il paese in cui si scrive di più, ma si legge di meno.

C’è un autore in particolare che ha segnato il tuo percorso professionale e personale?

Non attingo mai da altre fonti. Dietro di me o i miei scritti ci sono solo e soltanto io. Per quanto riguarda i grandi della letteratura che stimo e leggo e rileggo sempre con grande piacere sono Cotroneo, Galasso, Piccolo, De Luca, Moravia, Pasolini, Lucarelli, o anche Alda Merini. Poi sono un grande appassionato di mitologia e autori classici.

Come nasce l’accordo fra la Diamond Editrice e la Croce Rossa Italiana?

Tutto è partito da un’idea che mi circola in mente da quando ricordo ho cominciato a pensare, ovvero che non è possibile cambiare il mondo da un giorno all’altro, ma pensare di poterlo fare è un bel gran passo in avanti. Ho conosciuto la Croce Rossa Italiana grazie a due cari amici e collaboratori che sono volontari della C.R.I. e durante una riunione abbiamo pensato ad un motivo per il quale Solidarietà e Cultura ancora non si fossero coese per il futuro. Da qui…

Che consigli di lettura ti senti di dare?

Intanto leggere è il primo consiglio. Poi imparare a scegliere cosa leggere, perché non tutto va bene. La vita è troppo breve per sprecare del tempo a leggere qualcosa di brutto o di inutile. Direi che si deve iniziare dall’inizio: per esempio leggere Omero e Virgilio prima di tutto e di tutti, adesso poi sono anche tradotti in prosa. Poi si può proseguire con i grandi romanzi dell’ottocento, che almeno una volta bisogna leggere. Balzac e Dickens … Il capolavoro assoluto è Madame Bovary di Flaubert, ma nella traduzione di Maria Luisa Spaziani. E poi la letteratura italiana del Novecento da Svevo a Pirandello fino a Moravia e Sciascia, Calvino e Elsa Morante.