AOSTA – Anche se si frequentan poco, o per nulla, bisognerebbe sempre conoscere quel che dicono le vagine. In definitiva, perché tutti veniamo da costì, da quell’antro da sibilla. E perché, inoltre, le vagine son una cosa seria, che ha a che vedere con la femminilità, l’integrità della donna: un mondo, in definitiva, potente e saturo di significato; sia per le donna ma anche per gli uomini. E perché, ancora, la violazione della vagina è uno dei crimini più atroci e terrificanti, in una sopraffazione dove non c’è amore, ma solo violenza: e una violenza non è mai giustificabile. Né, a mio parere, perdonabile. Eve Ensler cominciò a raccontare questi “Monologhi della vagina” sul palcoscenico di un minuscolo teatro di New York: era il 1996 e a quei tempi parlare di vagine e di donne alle prese con il loro sesso non era certamente usuale, né facile. La Ensler aveva scritto questa pièce teatrale basandosi su alcune interviste rilasciate da donne di ogni età, di ogni etnia, di vissuti estremamente diversi e distanti. Sono donne che si scoprono, per la prima volta, magari in tarda età; sono donne che parlano della loro esperienza di violazione, delle loro pretese mai soddisfatte, del loro desiderio di essere felici senza rinunciare alla loro femminilità più pura, più istintiva. Sono donne che osano pronunciare la parola, “vagina”: perché è la parola che dà carne, che crea materialità, “è la parola che ci spinge avanti e ci rende libere”.
Eve Ensler ha dimostrato l’importanza e la potenza dell’arte: dai primi “Monologhi della vagina” si è sviluppato un movimento mondiale, il V-Day, che ogni anno viene celebrato in ogni angolo di mondo, anche in quei lembi di terra che son considerati più arretrati: proprio lì dove, in effetti, ci sarebbe più bisogno di ascoltarle, le vagine, e di seguire il loro volere. “L’arte ha reso l’attivismo più creativo e audace, l’attivismo ha reso l’arte più mirata, più concreta, più pericolosa” ha scritto Eve Ensler. L’arte si è dimostrata in grado di poter svolgere un ruolo da protagonista in campo sociale; ha il potere di cambiare la cultura, perché è la cultura che deve cambiare, “le credenze, la storia e il comportamento che stanno alla base della cultura” devono cambiare, perché “non abbiamo ancora svelato o decostruito i fondamenti cultuali e le cause della violenza”; l’arte ha il potere di far conoscere e, facendo conoscere, ha il potere di far maturare le coscienze. Ecco, allora, gli strazianti monologhi delle donne di Bosnia, rinchiuse nei “campi di stupro” durante la guerra in Jugoslavia, e quelle di Ciudad Juarez, in Messico, dove ogni anno decine di donne spariscono e vengono ritrovate nel deserto, stuprate, coi seni tagliati, violate in ogni aspetto della loro femminilità: perché “ovunque succedono cose terribili alle vagine”.
Sicché ben vengano codeste vagine parlanti, che ci fanno riflettere su quali sono le vere proporzioni e le vere prospettive alle quali dovremmo attenerci per non correre il rischio di mancare una definizione di umanità indispensabile per la nostra stessa sopravvivenza, per la nostra stessa dignità. Brave le vagine che parlano! E che tante altre cose fanno…
Ascoltate quel che le vagine dicono!
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