Giulia Siena
PARMA – Sembra che il tempo stia rallentando la sua corsa. Siamo in affanno, siamo impotenti, siamo osservatori inermi. E la vita (e le vite degli altri) ci sta attraversando mentre siamo occupati tra dati statistici e bollettini delle ore 18.00, quelli prima della sera, quelli che raccontano la giornata che è stata. Le evoluzioni, le percezioni, chi c’è ancora, chi non è riuscito a farcela. Intanto ci intimano di rimanere a casa, a fare il nostro. E rimaniamo fermi in questa quarantena che ci modifica e ci plasma, ci ridimensiona e, a momenti alterni, ci toglie l’ottimismo.
A guardare insieme a noi, accanto a noi, dall’altra parte dello schermo, del pianerottolo, della città, delle case e dell’Italia ci sono i bambini. A loro viene chiesto lo sforzo maggiore: modificare la propria quotidianità, fermare la curiosità e costringerla nelle quattro mura di casa, arrestare il proprio bisogno di muoversi, osservarsi, mettersi in gioco, sperimentare, sporcarsi le mani, prendere a calci un pallone o il proprio malumore. Devono fare a meno degli strattoni degli amici, delle carezze dei nonni, degli sguardi degli insegnanti e dei sorrisi dei primi amori. Per i bambini tutto questo tempo – che all’inizio veniva visto come un semplice gioco – sta diventando un peso, una piccola condanna che toglie l’autonomia, che lega la propria natura; cresce una sorta di rabbia, di frustrazione, di delusione nei confronti degli altri, dei grandi che si vedono fallire, di un sistema che non li tutela abbastanza, un mondo che non è riuscito a prevenire questo grave disastro. Poi c’è la paura, la voglia di fuggire o di sfidare il rischio, la necessità di essere ascoltati, l’impossibilità di esprimersi, la spossatezza, la speranza, la voglia di conquistare il mondo. Per alcuni momenti, sempre come su un’altalena: pessimismo e ottimismo. E la tecnologia dà l’illusione di essere ovunque e invincibili, di arrivare altrove, di essere veloci, ma toglie le forze e ricorda – inesorabilmente – che sono ancora lì, soli, sfiniti e un po’ apatici. Intanto la primavera bussa alle porte e, allo stesso tempo, il sorriso si ritrae e spesso non ne vuole sapere di uscire allo scoperto. Non è questo il tempo. Gli avevamo promesso altro.
Il mio è un Alfabeto di quarantena
B – Bambini
Affinché il ritorno alla normalità abbia il sapore della speranza mai sopita, delle risate improvvise e immotivate, delle corse in bici e dei racconti di avventure fantastiche. Affinché in questo tempo sospeso saremo ancora capaci di proteggere i più deboli, i più piccoli, di spronarli, di farli sorridere. Affinché in questo tempo balordo i bambini, i ragazzi, possano trovare un senso dimenticato, una nuova dimensione per vedersi con occhi differenti, coltivare rapporti importanti e sostenersi a vicenda.
Questa è solo una esercitazione per saper percorrere sempre nuove strade senza aver timore degli imprevisti.
Lettura
“Ma che me ne faccio io della speranza?”
(“Il treno dei bambini” di Viola Ardone)
Canzone
E se avevo paura
facevo la faccia dura
per le strade della mia città
ma la forza dell’amore
la sentivo già.
(“La forza dell’amore” di Eugenio Finardi)
Vignetta di Michela Candi – riproduzione riservata
sono pienamente d’accordo con lei,mi fa piacere che lei abbia scritto queste parole cercando di interpretare il nostro stato d’animo 🙂
Grazie, Fatima 🙂
gs