Jorge Luis Borges, Adolfo Bioy Casares per un racconto essenziale
Daniela Distefano
CATANIA – “Questo libro intende proporre al lettore alcuni esempi relativi ad avvenimenti sia immaginari che storici. Abbiamo quindi interrogato testi di nazioni e di epoche diverse, senza trascurare le antiche e generose fonti orientali. L’aneddoto, la parabola e il racconto trovano qui ospitalità, a condizione che siano brevi. In questi brani sta, osiamo ritenere, l’essenziale di ciò che è narrazione; il resto è episodio illustrativo, analisi psicologica, felice o inopportuno ornamento verbale. Ci auguriamo, lettore, che queste pagine divertano te come hanno divertito noi. J.L.B. e A.B.C. Buenos Aires, 29 luglio 1953”.
Un augurio che compare nella raccolta Racconti brevi e straordinari, da poco edita da Adelphi (che cura le pubblicazioni di Borges dal 1997). Dopo la prima apparizione nel 1955, il testo è stato incrementato da nuovi brani nel 1968 e nel 1973. Jorge Francisco Isidoro Luis Borges Acevedo ( 1899-1986) – scrittore argentino dallo stile severo, ricco d’ispirazioni ricercate e fantastiche, il primo a manifestare quella mescolanza di magia e realtà, il cosiddetto realismo magico – e Adolfo Bioy Casares (1914-1999) anch’egli argentino, tra i più attivi di sempre nella prosa surreale e fantascientifica in questa antologica selezione di storie allegoriche, ventriloque, naturalmente argute, propendono per la stranezza immediata la concisione ricollegandosi ad un filone che dal “Novellino” alle “Facezie” di Piovano Arlotto da sempre rapiscono e rendono gli aneddoti, i fatterelli, le massime, le citazioni, le “riflessioni mosse”, qualcosa che travalica la memoria, il Tempo, la distanza geografica; il tutto incorniciato da un carattere antico, religioso, esemplare, le generose fonti orientali. Borges e Bioy, tra i più alti esponenti della letteratura sudamericana, iniziatori impareggiabili ai piaceri della letteratura, sono il canto delle sirene per coloro che non resistono proprio al suo richiamo. La raccolta, che comprende anche questi tre racconti miniati di Fergus Nicholson, di Max Jacob e di Saavedra Fajardo è curata da Tommaso Scarano.
Nosce te ispum
Il Mahdi accerchiava con le sue orde Khartoum, difesa dal generale Gordon. Vi furono nemici che passarono dalla parte della città assediata. Gordon li riceveva uno per uno e indicava loro uno specchio perché vi si guardassero. Gli sembrava giusto che prima di morire un uomo conoscesse il proprio volto.
Fergus Nicholson, Antologia di specchi (Edimburgo, 1917).
La mendicante di Napoli
Quando vivevo a Napoli, alla porta del mio palazzo c’era una mendicante alla quale gettavo qualche moneta prima di salire in carrozza. Sorpreso che non mi ringraziasse mai, un giorno osservai la mendicante; allora vidi che ciò che avevo scambiato per una mendicante era invece una cassa di legno, dipinta di verde, che conteneva terra rossa e qualche banana mezza marcia. Max Jacob (1917).
Un vincitore
Diversa compassione si vide in Imilcone, il quale, pur avendo ottenuto in Sicilia grandi vittorie, poiché in esse aveva perduto molti uomini per malattie che avevano colpito l’esercito, entrò a Cartagine, non trionfante, ma vestito a lutto e con la mantellina slacciata, abbigliamento da schiavo, e giunto a casa, senza rivolgere parola ad alcuno, si dette la morte.
Saavedra Fajardo.