Giulio Gasperini
AOSTA – In realtà, di arcani, a Montecitorio, non ce ne sono molti. Tutti i meccanismi che accadono, puntuali, a chi ha la sfortuna di entrare in quelle stanze li aveva già chirurgicamente sviscerati Ettore Socci nel romanzo I misteri di Montecitorio, edito la prima volta a puntata tra il 1886 e il 1887 sulle pagine de “La Democrazia” e che è tornato alle fresche stampe grazie a Studio Garamond.
Ettore Socci è stata una delle figure più sorprendentemente interessanti del Risorgimento italiano, uomo di azione e di cultura, fondatore e direttore di una serie inarrestabile di giornali e organi di stampa, da “Satana” a “Il grido del popolo”, da “Il fascino della democrazia” a “La Tribuna illustrata”. Fu anche eletto deputato, nel 1892, per il collegio di Grosseto, al tempo in cui soltanto il 2% della popolazione aveva diritto di voto; l’esperienza della politica, diretta e indiretta, fu capitale per affinare il suo senso ironico (e ben più pratico) per la “pratica del governo” e i suoi meccanismi perversi.
L’avvocato Guidi si trova, suo malgrado, eletto come deputato dal suo collegio; arrivando da una placida campagna provinciale, si trova smarrito nelle sale del potere di Montecitorio, e comincia una pericolosa accelerazione verso una rinuncia ai suoi ideali di legalità e irreprensibilità morale. Una pletora di antagonisti e di altri personaggi affolla le pagine di questo romanzo che meraviglia per la quantità di affermazioni e di sentenze, spesso trancianti e senza possibilità di appello, che affiorano ben peggio che giudizi morali nello scorrere dell’avventura narrativa, e che diventano verità irreprensibili.
Nonostante alcuni topoi letterari di una certa letteratura di genere, Ettore Socci sa impastare la materia narrativa – anche utilizzando un linguaggio elaborato e vissuto, con una pletora di superlativi e parole alterate – creando una storia che lascia interdetto il lettore per l’inesorabilità dell’epilogo. In alcuni passaggi, assume più la forma di un trattato sociologico estremamente divertente e divertito, in cui le figure che ruotano attorno al potere, e che lo compongono, sono standardizzate secondo criteri che permangono, immutabili e costanti, persino granitici, al di là di qualsivoglia altra alterazione, dall’allargamento al suffragio universale alla nascita-morte-resurrezione di partiti e correnti. Come a dire che, se analizzassimo la flora e la fauna che popola oggi Montecitorio, sarebbe possibile pescarsi, senza fare nessuna fatica, tutte queste maschere e questi commedianti. La prima legge della politica, quella che così raffinatamente, per altri aspetti, aveva teorizzato anche Tomasi di Lampedusa ne “Il Gattopardo”: tutto cambia ma tutto rimane uguale.
È un romanzo sorprendente, “I misteri di Montecitorio”, sbalorditivo persino, per la lungimiranza della visione, per l’esattezza dell’analisi, per la grottesca spietatezza ritrattistica, per la ferocia e la disillusione nel far comprendere, a tutti, che così è; e non si prospetta nessuna possibilità di redenzione.
Il dramma di un uomo che approda a Montecitorio
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