Giulia Isaia
ROMA – Il 14 ottobre è una data che la popolazione del mondo non può più dimenticare. Difficile afferrare cosa sia realmente accaduto, più semplice – e unica via perseguibile – cercare di ricostruire i pezzi attraverso le vite dei Sopravvissuti. Questa la premessa di Svaniti nel nulla, dello scrittore statunitense Tom Perrotta (Edizioni e/o), conosciuto da chi ha avuto il piacere di scoprirlo con il titolo originale “The Leftovers”, dalla serie tv in onda lo scorso luglio sui canali Sky.
Migliaia di persone svaniscono nel nulla in un istante: colossali tamponamenti a catena, disastri ferroviari, elicotteri e aeroplani precipitati. Un cataclisma a cui nessuno riesce a dare una spiegazione, che viene narrato dalla cronaca dei media senza neanche un’immagine visiva che riassuma il Rapimento. Non ci sono cattivi con cui prendersela: un dramma che si amplifica e muove la disperazione. “Svaniti nel nulla” racconta una comunità, quella di Mapleton, che combatte contro il vuoto lasciato dall’improvvisa dipartita dei propri cari; ci sono madri senza figli, mariti senza mogli, uomini di fede che si sforzano di spiegare l’avvenimento con i dogmi di una religione in cui nessuno vuole più credere. Poi c’è Kevin Garvey, sindaco di Mapleton e padre di Tom e Jill.
Sua moglie Laurie, donna assennata e dedita alla famiglia, lascia il tetto coniugale per entrare nella setta dei Colpevoli Sopravvissuti: un voto di silenzio e di lenta uccisione del proprio «io». La storia si svolge nel disperato tentativo di tornare alla normalità attraverso un processo di rimozione quotidiana, di questo Garvey si fa paladino cercando di animare la cittadina di cui è guida e di relegare al passato un evento che per alcuni – molti – aveva segnato la storia umana annunciando una fine, ormai vicina.
Partendo da un’idea senza dubbio geniale, Tom Perrotta delinea i destini dei suoi personaggi con uno stile essenziale. L’ambientazione irreale porta il lettore non tanto a chiedersi il come o il perché, quanto piuttosto a percepire l’angoscia causata dall’interruzione improvvisa dei ritmi quotidiani e la necessità di tirare avanti, nonostante tutto sembri inutile, persino amare.