Silvia Notarangelo
Roma – Due trentenni, Matteo e Giò, più che amici, più che fratelli. Un rapporto viscerale, indissolubile, capace di rendere le loro vite intimamente legate. Carlo Mazzoni racconta, per Fandango, “Due amici” ovvero la storia di un’amicizia, di un sentimento che va oltre le divergenze, oltre il tempo e le distanze che potrebbero scalfirlo. Metà settembre, Matteo si accascia improvvisamente. Nella sua testa una vena va in frantumi. In un attimo, si ritrova disteso in un letto di ospedale, la situazione è disperata, il primario decide di intervenire. Nella sala di attesa Giò è sconvolto, incapace di reagire, di credere che lì, a pochi metri da lui, a lottare per la vita, c’è proprio Matteo, il suo migliore amico, quell’amico con il quale ha condiviso tutto. Inevitabile che la mente inizi a vagare alla ricerca di qualcosa a cui aggrapparsi, ripensando a quei tanti, troppi momenti trascorsi insieme, momenti lontani, ma così prepotentemente vivi nella memoria di Giò. I ricordi prendono il sopravvento. Le interrogazioni a scuola, le feste, i viaggi privi di una meta, il lavoro, le donne. Sempre insieme, lui e Matteo, con la loro spensieratezza, la voglia di vivere, il desiderio di “cercare, camminare per le vie del mondo, per le arterie degli uomini, senza trovare riposo”.
Sono simili, anzi, quasi uguali: parlano, si muovono, ragionano e rispondono allo stesso modo. Eppure si fanno del male, discutono, litigano, si rendono la vita difficile, ma nulla sembra poter intaccare la loro amicizia. Anche quando Giò prova a dire basta, a spezzare questa catena che, talvolta, appare soffocante, eccolo toccare il fondo, perdere il controllo, lasciarsi andare. Lo intuisce ma non riesce ad ammetterlo, è l’assenza di Matteo a rendere la sua vita priva di significato. Per questo, di ritorno da New York, in una camera di ospedale, il mondo sembra crollargli addosso. “Non puoi morire”, continua a ripetere.
Perché qualunque cosa succeda, qualunque persona, qualunque situazione dovranno affrontare, Matteo e Giò saranno lì, l’uno per l’altro, ad aspettarsi.