Roma – Un’anziana donna affida alla nipote le sue memorie, le memorie di una vita segnata dalla deportazione. Nasce da questa sofferta confessione il romanzo di Ondine Khayat “Le stanze di lavanda”, pubblicato da Piemme.
Attraverso gli occhi di una quattordicenne, rivive, nelle pagine del libro, il genocidio degli armeni, una tragedia colpevolmente sottovalutata.
E’ il 1915 quando Louise, una giovanissima poetessa dall’infanzia felice, perde, improvvisamente, tutto: la famiglia, la propria casa, la propria dignità. Non solo. Assiste, in prima persona, alla dissoluzione di tutto, al macabro spettacolo della testa del nonno esposta lungo le strade, alle fiamme che spezzano la vita dei suoi cari.
E’ possibile ricominciare? Si può ancora credere in un “dio che ha permesso tutto questo” o l’unica, possibile reazione è quella di lasciarsi andare fino a desiderare la morte, in un mondo che sembra restare così terribilmente indifferente?
A giudicare dalla storia di Louise, sì. Rimasta orfana, con una sorella più piccola di cui prendersi cura, è proprio nell’estrema difficoltà che inizia a risalire la china, ad attingere “dal fondo del suo odio la forza per sopravvivere”.
Con la tenacia e l’aiuto di affetti inattesi, riesce a raccogliere i pezzi della propria esistenza, perché se è vero che non ha potuto “ritrovarli tutti, ed è per questo che esistono delle falle”, è altrettanto vero che si può tornare a “stare in piedi e camminare”.
La vita le riserverà, purtroppo, nuove, durissime prove da superare e la gara con la memoria resterà per sempre aperta, ma Louise imparerà, con il tempo, a credere che “tutto sia di nuovo possibile”, a “ripiantare in un angolo di terra ciò che resta del suo cuore”.
un modo per ricordare un genocidio spesso dimenticato nelle varie "giornate della memoria"
Hai perfettamente ragione: il genocidio degli armeni è stata una delle pagine più tristi e sconvolgentemente agghiaccianti della storia dell'umanità.