ObarraO: Antichi demoni, nuove divinità
Giulio Gasperini
AOSTA – La raccolta di racconti Antichi demoni, nuove divinità, edito da ObarraO Edizioni permette di gettare un lungo e inedito sguardo nella letteratura tibetana contemporanea ed è un regalo prezioso per confrontarsi con voci narrative fino a ora poco note o del tutto sconosciute. Il lavoro condotto da Tenzin Dickie, poetessa, scrittrice e traduttrice e responsabile del volume è magistrale e raffinato, coronato da un’introduzione mozzafiato, strumento necessario e imprescindibile per capire quale significato abbia questo volume.
Complesso è il rapporto della cultura tibetana con la narrazione: l’ideale buddista è sempre stato quello di eliminare il desiderio, ovvero ciò che sta alla base di un’intuizione narrativa, della necessità del racconto; desiderio di far sapere, di comunicare, di portare alla luce delle complessità intime e nascoste. È per questo che per lungo tempo la letteratura tibetana, che non fosse quella religiosa o rituale, è stata inibita. Con la complicità, come evidenza bene Tenzin Dickie nell’introduzione, anche della tecnologia della stampa: “La stampa tibetana era realizzata tramite le tradizionali matrici di legno” perché “la lavorazione dei metalli era considerata una contaminazione, e i lavoratori di metallo erano contaminatori”.
Ecco, allora, che questa raccolta di racconti diventa un potente coming out, come lo definisce la stessa Dickie: un coming out potente e tellurico. Sono racconti che si muovono nello spazio compreso tra la carnalità più viva ed estrema e la leggenda e la tradizione più pure e cristalline, plasmando tanti luoghi che snaturano il loro centro deittico e lo squadernano. Sono racconti struggenti di emozioni, concreti come strade e sassi, poetici nella immaterialità del senso che scontornano. Sono racconti, come scrive la Dickie, che “esaminano e spiegano il nostro strazio – lo strazio per l’occupazione, l’esilio e la diaspora – e facendolo, ci donano conforto, chiarezza, e senso di appartenenza”.
Con una passione conturbante, sono un atto politico forte e fiero: attraverso questi racconti, di tanti autori e autrici diverse, che scrivono in varie lingue, che abitano in diversi angoli di mondo, il Tibet rivive nelle sue molteplici sfaccettature, nei suoi drammi profondi, nella sua resistenza sempre indomita e mai finita, nella violenza che ne ha sempre caratterizzato la storia. La ricchezza culturale di un paese invaso e occupato brilla limpida e chiara, senza però cedere alla condiscendenza. Dalla politica all’amore, ogni singolo aspetto dell’umano e del quotidiano trova posto in questi componimenti, che tutti assieme creano un vero e proprio romanzo epico: la voce non solo del singolo autore ma di un popolo intero, di una collettività che cerca la strada di una nuova consapevolezza attraverso la parola scritta.
È un Tibet contemporaneo interessante e magnetico; perché non comprende solo la parte mistica e religiosa – forse la più nota e conosciuta, la più inflazionata – ma anche quella di una società che suo malgrado si trova di fronte alle sfide della modernità, del capitalismo sfrenato, della morsa politica; e ne esce ammaccato e stropicciato, ferito e persino un po’ misconosciuto, ma sempre fieramente indomito.