La classe avversa di Alberto Albertini
Giulia Siena
PARMA – “Un passero si posa sul davanzale della finestra del mio ufficio, rimbalza contro il vetro, lo tasta col becco. Immobile mi guarda negli occhi, reclina la testa su un lato. Lui vorrebbe entrare, io che sto dentro vorrei uscire”. Un leggero e crescente disagio: quel luogo così familiare – fondato, voluto e profondamente amato da suo padre – diventa una trappola. Si sente pressato, si sente estraneo; e a casa non va meglio. Tutto, nell’ultimo periodo, è in un vorticoso equilibrio che sta per disfarsi. Lorenzo è un uomo che sta attraversando una crisi professionale e umana. La pace, in questa sofferenza che è disfacimento, è da cercare nelle pagine dei tanti libri che consulta e studia – tra un volo e l’altro – per gli esami all’Università e nei colori sgargianti dei vestiti a fiori di Laura.
Dopo trent’anni di stasi e di obbedienza alle tacite regole dell’azienda di famiglia, ora le cose prendono un nuovo ordine. Arrivato al suo giro di boa, il protagonista della penna di Alberto Albertini deve attendere che “tutto cambi affinché nulla cambi”. Ma da questo lungo e forte processo di autodeterminazione ne uscirà rinnovato. Il cambiamento è doloroso, ma sempre necessario. La classe avversa, pubblicato da Hacca, è il primo romanzo di Albertini (bresciano classe 1966), una storia densa in cui si intrecciano i sentimenti più puri e veri alle tante e sfaccettate dinamiche relazionali. Sullo sfondo la provincia italiana, quella della piccola e media impresa che oggi vive la dualità tra un sistema industriale “arcaico”, dalla mentalità contadina votata al sacrificio e alla comunità, e la nuova visione manageriale impoverita di valori e di risorse alla continua rincorsa del mero budget.
Negli anni Lorenzo ha dovuto mettere da parte le aspirazioni, i progetti, le scelte: tutto, nella sua vita, doveva essere votato – così come lo fu per il padre – a migliorare e rafforzare l’azienda. E ora che gli interessi sono cambiati, ora che un nuovo amministratore delegato muove i tasselli e “taglia teste”, i sacrifici, gli sforzi e la “poesia” del nostro protagonista sembrano inutili. Intanto diventa più sfuggente, distratto, cerca i luoghi dell’infanzia, la pace, la leggerezza, l’evanescenza di Laura e rifugge dagli sguardi di sfida lanciati nei corridoi dello stabile industriale o a cena, nel silenzio della casa. Vorrebbe chiudere con la fabbrica, vorrebbe chiudere con la famiglia. Mettere la parola fine ai pensieri, alle preoccupazioni, al fiato corto. Intanto la dolcezza, la saggezza e la pragmaticità di Valeria sapranno sorprenderlo e aiutarlo in un momento di forti contrasti. La realizzazione di un nuovo mondo, di un altro equilibrio, sarà possibile “insieme” e sempre quando lo si vuole profondamente.
La classe avversa è un “romanzo industriale contemporaneo” che parla di evoluzioni e rivoluzioni, umane e sociali, contestualizzandole a un settore economico in continuo rinnovamento. Albertini, attraverso questo scritto, dimostra una profonda conoscenza di questo settore, testimone dell’avvicendarsi generazionale e del disfacimento del sogno italiano del boom economico. Un romanzo interessante e ricco, un punto di vista privilegiato sull’azienda che cambia – se stessa e i propri dipendenti-, anche quando non si vede.
Il mondo delle fabbriche è un mondo chiuso. Non si entra – e non si esce – facilmente. Chi può descriverlo? Quelli che ci stanno dentro possono darci dei documenti, ma non la loro elaborazione: a meno che non nascano degli operai o impiegati artisti, il che sembra piuttosto raro. Gli artisti che vivono fuori, come possono penetrare l una industria? I pochi che ci lavorano diventano muti, per ragioni di tempo, di opportunità, ecc. Gli altri non ne capiscono niente: possono farvi brevi ricognizioni, inchieste, ma l’arte non nasce dall’inchiesta bensì dalla assimilazione. Anche per questo l’industria è inespressiva; è la sua caratteristica”. Ottiero Ottieri, La linea gotica