Adelphi: “La morte di Belle”

Daniela Distefano
CATANIA – La morte di Belle (Adelphi) è un romanzo di Georges Simenon, finito di scrivere nel 1951 mentre soggiornava nel Connecticut e venne dedicato all’amico Sven Nielsen, proprietario della casa editrice parigina presso cui il libro uscì l’anno successivo. Nel 1961 ne è stato tratto il film “Chi ha ucciso Bella Shermann?”. L’edizione italiana è stata curata da Mondadori nel 1958 nella traduzione dal francese di Bruno Just Lazzari e poi nel 1994 da Adelphi nella traduzione di Laura Frausin Guarino.
Prima di una valutazione – pur sommaria – di come lo scrittore di origine belga riesca sempre a non tradire le aspettative dei suoi seguaci, avvolgendoli in un vortice di magnetismo ed ipnosi, il plot indica già che siamo in presenza di un racconto morboso, psicologico (insomma, e per fortuna!, niente di nuovo sotto il cielo di Simenon) con un protagonista che si sdoppia per scoperchiare il lato incenerito della propria personalità. Spencer Ashby è professore di Storia alla Crestwiew School, sua moglie Christine è un membro stimato nella piccola comunità di puritani del Connecticut, si occupa della vita sociale, gioca a bridge, fa tutto quello che ci si aspetta da una donna della buona società. Al contrario, Spencer è solo una comparsa sulla scena della sua recita familiare e sociale: rispettoso, ossequioso, un tantino borioso, e di certo ignaro del capitombolo che la sua vita ordinaria avrebbe fatto nel breve cerchio di qualche ora. Un tragico mattino, la giovane Belle Sherman, figlia di Lorraine, amica d’infanzia di Christine, viene trovata morta in camera sua. Ultimo a vederla viva è stato proprio Spencer, impegnato a lavorare al tornio. Davvero non ha udito nulla quella sera? Non ha indizi, non ha mai provato l’impeto della conquista nei confronti di una preda di facile cattura? Ovviamente è lui il principale indiziato del delitto e a poco a poco la scuola in cui insegna, la comunità in generale, “i giusti”, cominciano a guardarlo con sospetto, a trovarlo “diverso”, ad isolarlo. E’ quanto basta per far risorgere in lui antichi turbamenti, fantasie sessuali, un disordine interiore che, dopo anni di un’esistenza ripetitiva, credeva sopito, represso. Il coroner incalza con i suoi interrogatori e il fragile equilibrio del professore si sgretola.
Georges Simenon è un maestro nel rosicchiare come un tarlo le sicurezze dei suoi personaggi. La morte di Belle si rivela un’immersione allucinante nella tranquilla realtà di un uomo incolore che precipita dalle scale del bene apparente per sprofondare nella personale banalità del Male.
“Il delitto era stato commesso sotto il suo tetto, in casa sua, a pochi metri da lui: era un fatto innegabile, di un’evidenza brutale. Se era avvenuto mentre lui dormiva, solo due sottili pareti lo separavano dalla camera di Belle”.