Giulia Siena
PARMA – Siamo cambiati? Cambieremo? Guarderemo al mondo con occhi diversi? Non lo so. Le domande sono tante e allo stesso tempo c’è una grande silenzio che smuove la città in questa ultima domenica di marzo. Avevamo tanti progetti, le solite corse, una infinità di scadenze; eravamo stressati, annoiati e polemici: eravamo i soliti italiani in un qualsiasi febbraio del decennio, il primo di questi anni Venti che si erano prospettati subito come punto di rottura rispetto al passato.
La rottura è arrivata, davvero, mentre eravamo inconsapevoli che un virus sarebbe entrato prepotente nelle nostre vite fino a sconvolgerle, fino a sovvertire le priorità, rimodulare i giorni, scombinare i piani. All’inizio tutti – tutti, sul serio – pensavamo fosse qualcosa da nulla, una banale influenza, qualche starnuto di troppo. Poi le macchie rosse, le zone rosse, si sono allargate fino a comprendere tutta Italia, la stessa nazione ancora inconsapevole e stupita. Eppure, nonostante lo stupore, siamo in quarantena ormai da giorni, settimane, vulnerabili, angosciati e segretamente speranzosi. Ci siamo mostrati senza buon senso, spesso con pazienza a intermittenza, abbiamo preso d’assalto treni, supermercati, social network, ci siamo mostrati senza filtri, nudi nella nostra banalità di umani qualche volta mediocri; e ora che ci troviamo nelle nostre case – quando non lavoriamo – quello che ci rimane è il silenzio. E noi non eravamo più abituati al silenzio; il rischio è che ci metta allo specchio, che ci faccia pensare. Quello (spero) che questa quarantena ci lascerà – oltre la solitudine nelle nostre case, il ticchettio del computer, l’odore delle pietanze in forno, le urla disperate delle sirene delle ambulanze, la nostra impotenza di fronte all’ossigeno che manca, ai respiratori stanchi – è qualcosa ancora in divenire, frutto della pazienza dei giorni. Abbiamo avuto modo, forse non sempre il tempo, di ri-pensarci, osservarci, mancarci e in questo diario di quarantena io voglio cominciare a mettere in ordine le parole a cui ho ridato nuovo senso.
Il mio è un Alfabeto di quarantena.
A – ascoltare
Ascoltare il silenzio, la musica, la poesia; ascoltare gli altri e le loro fragilità. Ascoltare il nostro corpo: i capelli che crescono senza chiedere il permesso, le rughe che sorgono senza neanche esporsi al sole. Ascoltare è una parola bellissima, da rispolverare perché non c’è più tempo solo per sentire. Dobbiamo metterci in ascolto.
Lettura
“Il tempo libero è una brutta bestia per le persone instabili”.
(“Colibrì” di Sandro Veronesi)
Canzone
Nella voce di un cantante
Si rispecchia il sole
Ogni amata ogni amante.
Strani giorni viviamo strani giorni.
(“Strani giorni” di Franco Battiato)
Vignetta di Michela Candi – riproduzione riservata