Giulia Siena
PARMA – Viviamo in un tempo fermo. Tutto si è fermato sulla soglia dell’apparenza, dell’egoismo e della noia. Non tutto, certo, ma molto di ciò che eravamo è andato perso, confuso tra i bagliori di un progresso che, con il tempo, ci ha costretti a guardare avanti senza aver bisogno di nessuno. Abbiamo percorso la strada, ci siamo voltati verso l’altro sempre meno; chi rimaneva indietro non doveva essere un nostro problema. Il percorso ha cancellato i valori. Ora, arrivati a una meta quasi invidiabile di progresso e sviluppo, siamo sempre più soli, costretti nelle nostre vite che non hanno più bisogno di nulla. Di nessuno. Eppure un libro come Tre in tutto arriva a destabilizzare le coscienze sopite, scuote e ricorda che un tempo eravamo altro, sapevamo essere diversi, sapevamo essere ospitali. Tolleranti. Aperti. Migliori.Con Tre in tutto (Orecchio Acerbo), il volume accompagnato dalle fantastiche illustrazioni di Isabella Labate, Davide Calì ci porta nell’Italia del Dopoguerra, segnata dalla voglia di rinascita e, allo stesso tempo, dalla fame e dalla povertà. E’ un’Italia a due marce, è una storia vera: nei primi anni Cinquanta oltre settantamila bambini partirono dal Lazio, dalla Campania e dalla Puglia per raggiungere le regioni del Nord Italia dove migliaia di famiglie erano pronte ad accogliere, sfamare e allevare quei bambini. Era un’Italia in cui si covava la speranza e la disperazione, la voglia di aiutare e l’esigenza di ricostruire. Agli occhi dei bambini del Sud, che la guerra l’avevano sentita e le conseguenze sofferte, questa povertà non era poi nulla di nuovo; si accontentavano delle loro poche cose, anche quando non c’era nulla da mangiare. Ma l’Italia andava ricostruita e le famiglie del Nord, anch’esse segnate dalla guerra, erano comunque pronte. Partirono treni, cambiarono le cose. Da quella esperienza la vita di tantissimi bambini venne segnata: dalla paura delle città sconosciute, di quel Nord tanto chiacchierato e mai visto, alla genuinità e all’affetto delle persone ospitanti. Nuovi sapori, nuovi dialetti e nuove abitudini in un’Italia che stava rimettendo in piedi i propri figli più piccoli: non importava che fossero madri di bambini emiliani o lombardi, erano madri anche per bambini campani o pugliesi. I legami di sangue si intrecciavano a legami fatti di affetti sinceri. Così i due fratelli descritti dalla penna di Davide Calì e dalla matita di Isabella Labate prendono vita sulla pagina e salgono sul treno, attraversano l’Italia e moltiplicano l’affetto.
Davide Calì ha sempre – in tutti i suoi libri – il grande merito di usare la parola in maniera magistrale perché i termini, la punteggiatura e i suoni danno vita a storie leggiadre nella loro complessità; la scrittura si fa artefice, madre e mediatrice. Il racconto si fa memoria.
Dai 7 anni