Daniela Distefano
CATANIA – “Quando dalla vetta di un alto monte osservo la strada giù nella valle, dove un omino affretta il passo ma sembra cento volte più lento di una formica, percepisco l’infinita piccolezza dell’uomo e tremo per l’umiliazione. Dallo stesso posto però, alzando lo sguardo verso l’orizzonte posso ammirare le giganti increspature della terra che tutt’intorno formano, imponenti e sileziose, una catena indistruttibile fino al cielo, al di sopra dell’uomo. Allora penso di essere al centro del Tutto, cielo e terra non mi incutono più paura”.
Giovanni Segantini – in origine “Segatini”, fu lui a cambiare il cognome quando frequentava Brera, spinto dal soprannome “Segante”, affibbiatogli dagli amici – ebbe una vita aspra e sempre in salita, ma pienamente goduta. Con la sua pittura, sull’onda di un’eccitazione panteistica, parve voler carpire i misteri del creato per raggiungerne l’essenza. Le figure umane – alle prese con la fatica del vivere: la nascita, il lavoro, la miseria, la stanchezza, il riposo, il dolore, la morte – le utilizzò soprattutto per porre l’accento sulle consonanze che le legano al mondo naturale. Il volume Giovanni Segantini. Magia della luce (Marsilio) a cura di Elisa Pajer e Elia Romanelli comprende anche un documentario di Christian Labhart. Cinema, scrittura, racconto per focalizzare l’attenzione su un genio che ebbe per faro pochi ma eccelsi maestri come Jean- Francois Millet – il suo principale punto di riferimento – e molto sperimentò guadagnando fama e nuove frontiere artistiche.
“Pur senza tralasciare le scene di genere, le nature morte e i ritratti, si dedicò soprattutto al paesaggismo, in virtù di un legame sempre più intimo e viscerale con una natura che lo emozionava enormemente e di cui, grazie alla particolare sensibilità luministica, seppe cogliere i fremiti e i sussulti, in particolare nelle scene crepuscolari”.
Segantini fu un pittore divisionista: c’è nel pittore l’interesse per la luce come fattore disgregante della forma e la ricerca di una maggiore luminosità attraverso la scomposizione dei colori, la pennellata striata, dalle fibre strette e lunghe, materica; e un simbolista: il suo simbolismo appare originale, esente com’è da quelle implicazioni intellettuali che caratterizzano altri artisti. Alcuni suoi dipinti sono visionari o erotico-mistici e contrassegnati da curve e ondulazioni care all’Art Nouveau – che risentono maggiormente del simbolismo nordico e della pittura preraffaellita.
Così scrisse: “Scopo finale del mio continuo studiare: impossessarmi assolutamente, francamente di tutta la Natura, in tutte le gradazioni, dall’alba al tramonto, dal tramonto all’alba [..] onde creare poi energicamente, divinamente l’opera che sarà tutta ideale”.
Missione pienamente compiuta per questo prodigio umano che unì vita, sacralità, arte, e fantasia miscelandole con un destino che lo rubò al mondo per farlo diventare nel tempo una leggenda. Un opuscolo che consente un approccio non retorico con il pensiero, i luoghi, i canali sensoriali di un pittore che dipingeva con gli occhi contemplativi di un santo.
Marsilio: “Giovanni Segantini. Magia della luce”, il volume curato da Elisa Pajer e Elia Romanelli
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