Daniela Distefano
CATANIA – Anna Kerrigan – protagonista dell’ultimo romanzo di Jennifer Egan, Manhattan beach (Mondadori) – è una ventenne che durante l’ultima fase della Seconda guerra mondiale si trova impiegata nel cantiere navale di Brooklyn. Privata dell’affetto del padre, scomparso lasciandosi dietro una moglie ex ballerina e una seconda figlia disabile, Anna è insofferente alle regole di un mondo dominato dal potere dell’uomo, anche se è attratta da un’attività prettamente maschile, quella del palombaro. E sul fondo del mare la giovane cerca il cadavere del padre. Anna emerge dalle acque di New York mentre il mondo emerge dalle macerie della guerra. “Straordinaria, sorprendente, imprevedibile”: così è stata definita la scrittura di Jennifer Egan, vincitrice del Premio Pulitzer 2011 per la narrativa con “Il tempo è bastardo”, romanzo accolto come un capolavoro tanto dalla critica quanto dai lettori.
Nata a Chicago nel 1962, Jennifer Egan è riconosciuta come una delle voci più originali e più vivaci della sua generazione: giornalista, scrittrice, è stata inserita dal Time nella classifica delle 100 persone più influenti del mondo attuale. Nel corso della sua carriera ha pubblicato numerosi romanzi e una raccolta di racconti. “Manhattan beach” è un libro che ha richiesto all’autrice quasi dieci anni di ricerche, e la ricostruzione storica è accuratissima: dalla vita del lavoratori portuali alle faide tra irlandesi e italiani, dall’epoca d’oro della malavita alla condizione femminile. Su tutto aleggia l’inganno dell’esistenza. Il personaggio principale, Anna, prima dodicenne, poi adulta, frequenta con passione la Scuola di immersione. Si imbatterà in una figura crepuscolare cioè Dexter Styles, l’uomo che potrebbe sapere perché suo padre, Eddie Kerrigan, sia scomparso da cinque anni.
“Se Anna avesse provato qualche emozione nel rivelare quella notizia, avrebbe cercato di dissimularla. Ma non provò niente. Suo padre era uscito di casa come tutti i giorni, lei nemmeno se ne ricordava. La verità era arrivata per gradi, come scende la sera: la consapevolezza, quando si sorprendeva ad aspettare il ritorno del padre, che lo aspettava da giorni, poi da settimane, poi da mesi… e lui non era ancora tornato. Anna aveva quattordici anni, poi quindici. La speranza era diventata il ricordo della speranza: una chiazza insensibile, morta. Non ricordava neanche più bene com’era fatto”.
Manhattan beach, un romanzo che alimenta la curiosità, che affastella dettagli tempistici e moduli di tecnica letteraria avanzatissimi. Forse pecca troppo di minuzie, laddove il respiro della storia a tratti si fa corto. Una prova riuscita ma non del tutto pacifica con la leggerezza che solo i capolavori riescono ad assicurare. La particolarità di una scrittura sapientemente plasmata cozza con la frammentata globalità del plot. Ma l’autrice si salva se non altro per quelle pagine luminose nelle quali descrive un amore della protagonista per le immersioni, i salvataggi, la profondità marina che cela quella mentale. Non un’occasione sprecata per parlare di mondi femminili e maschili, paralleli e collaterali.