Giorgia Sbuelz
ROMA – Johyeon, Corea del Sud. Qui ci si sente troppo vicini a Pyongyang, capitale della Corea del Nord, e troppo lontani dall’occidentalizzata Seul.
Una cittadina di campagna, Johyeon, che pare non abbia nulla di attraente, ma per Maria, che ha conseguito il dottorato di ricerca in teoria della letteratura, è una valida alternativa al precariato e sicuramente un’ottima occasione da scrivere. La giovane studiosa vuole infatti “farsi succhiare un po’ di metafore e ridersi addosso”, vuole superare la fase solipsista della narrativa tanto cara ai viaggiatori, poiché non è una viaggiatrice, ma è una testimone del suo tempo. Si affida pertanto alla posta elettronica, anzi vuole inondare di email il suo vecchio mondo, per rimanerci saldamente ancorata. Nasce in questo modo l’opera Dalla Corea del Sud. Tra neon e bandiere sciamaniche, di Maria Anna Mariani, in libreria per Exòrma Edizioni dal 28 settembre.
L’Oriente della Mariani è ancora quello stridente di contraddizioni, tanto caro ai visitatori occidentali e a tutti coloro che amano smarrirsi negli alambicchi della più futuristica tecnologia senza perdere di vista il folclore locale, come per sincerarsi che lo spostamento verso est sia avvenuto sul serio. Lo scenario è dunque questo, qui vive e scrive la protagonista/autrice. Un’esperienza comune, per certi versi, a tutti gli sradicati dal proprio Paese che portano avanti la loro storia in un altro, ma le caratteristiche sono atipiche: non si ha tempo per l’integrazione e c’è molto da lavorare. Non ha tempo – e forse non ha voglia Maria – d’imparare il coreano: le lezioni da preparare per i ragazzi dell’Università non le danno tregua; i momenti liberi vengono dedicati per comprendere la logica del luogo e sopravvivere al quotidiano… tutto è una questione di tempo, anche abituarsi ai monsoni e alla politica degli inchini. Il tempo è caro agli italiani, così come ai coreani è caro lo spazio. Secondo l’autrice il linguaggio adottato dai due popoli ne è la diretta conseguenza:
“La lingua italiana è una lingua del tempo. La lingua coreana è una lingua dello spazio. Noi italiani siamo rugosi, grondanti di passato, abbiamo tantissimi tempi passati che sfumano e scolpiscono i nostri ieri in gradazioni più o meno remote.
Gli studenti coreani non riescono a capire. Dicono: Il passato è passato.”
Va da sé che Maria si senta un’aliena, mai completamente inserita nell’ambiente che la ospita, mai troppo padrona della lingua, ma essenzialmente grata per ciò che vive. Quattro lunghi anni d’insegnamento, di amicizie provenienti da ogni parte del mondo, di incontri e di separazioni. E su tutto l’aroma speziato del kimchi, piatto nazionale a base di cavolo fermentato in aglio e peperoncino, bandiera della tradizione coreana e onnipresente nel resoconto di questa Corea ricca di sfumature, sapori e odori “altri” da quelli italiani.
Un racconto che si allarga sincero come un sorriso, su un popolo gentile e una terra di cui si sente parlare raramente. Più nota alle cronache la nazione sorella a nord, la Repubblica Popolare Democratica di Corea, la cui ombra minacciosa scurisce anche i pensieri di chi transita sul suolo della pacifica tigre dell’economia asiatica, patria delle “tre stelle” della Samsung e patria degli sciamani.
Maria Anna Mariani mescola delicatamente la sua storia con quella di questa nazione, equilibrando le dosi come per preparare un gustoso piatto di naengmyeon, dove la sapidità è tutt’uno con la sostanza. Una scrittura generosa, che va a segno grazie all’incisività dei capitoli, brevi ed esaustivi; pagine venate di una fugace malinconia su cui scivolare per tuffarsi in una composta poetica dello stupore: la scelta narrativa più consona se l’argomento trattato è la Corea del Sud.