Giulio Gasperini
AOSTA – Non a caso le hanno assegnato il titolo di “Divina”; Maria Callas è stata più di una cantante d’opera. È stata uno sconvolgimento, un terremoto che – seppur per pochi anni – ha rivoluzionato la maniera di cantare e di stare sulle scene, impersonando con corpo e anima i più diversi personaggi, dalla Tosca di Puccini alla Norma di Bellini, dalla Rosetta di Rossini all’Anna Bolena di Donizetti, dalla Gioconda di Ponchielli alla Medea di Cherubini. Ma di Callas ne sono esistite molte, come succede a tutti i personaggi che diventano icone, in molti ambiti: il volume edito da Quodlibet e curato da Luca Aversano e Jacopo Pellegrini mi presenta le Mille e una Callas che tutto il mondo ha più o meno conosciuto e amato.
La raccolta di saggi, su “Voci e studio”, squaderna al lettore la figura della cantante greca, declinandola in ogni sua varia dimensione, in un’analisi che è corposa, estremamente densa di fonti e dati, ma anche accurata e trasversale, curando anche delle dimensioni tematiche fondamentali per capirla interamente: la Medea, ad esempio, che dal recupero dell’opera di Cherubini (e solo la Gencer seppe starle vicino come interpretazione, ma non pari) al film di Pasolini, ha segnato la vita artistica della cantante. La Callas viene studiata, in questo volume, attraverso l’analisi dei personaggi interpretati, delle inarrivabili interpretazioni sceniche di Lucia di Lammermoor e di Violetta (probabilmente la miglior Traviata di sempre è la sua esibizione al Teatro Nacional De São Carlos di Lisbona, nell’annus horribilis 1958, a fianco di un giovanissimo Alfredo Kraus al debutto) alle esecuzioni del melodramma verdiano, con i ruoli gravi e drammatici delle sue eroine. Ma si parla anche del rapporto, a volte conflittuale (come con Toscanini), con le grandi bacchette del suo tempo, fino a narrare ricordi e confessioni di chi le è stato vicino, di chi l’ha conosciuta, di chi ha avuto modo di sperimentare non soltanto la Callas “divina” ma anche quella più umana, la donna Maria, che forse in quel ruolo stava un po’ soffocata e sofferente. Non si trascura, inoltre, il “mito” Callas: un mito che si crea sulla sua vita mondana, sul suo stile, la sua eleganza, le sue intense pene amorose, la sua vita che si racconta solitaria e abbandonata, e quella sua vita che si costruisce, mano a mano, più come una fiction che come una narrazione, scontornando nel dramma persino cinematografico e condannandola, suo malgrado, a una vita continua anche dopo la sua morte.
Maria Callas rimane stampata sulla carta, grazie a questo volume, corposo ma imprescindibile per chi voglia tentare di capirla. È un peccato, infatti, che della Callas non ci si sia mai occupati molto nella sua dimensione teatrale: è stata tanto registrata, ma pochissimo ripresa, forse illudendosi che sarebbe durata molti e molti anni. Di lei rimane la voce, splendida, che suona in tantissime registrazioni, rimane il piacere di vederla, icona di stile ed eleganza, nelle tante foto che popolano il web, e rimane lo strisciante sospetto che sia stata tradita solo da sé stessa.
La divinità (e umanità) di Maria Callas
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