Daniela Distefano
CATANIA – “Se è cosa difficile essere italiano, difficilissima cosa è l’essere toscano: molto più che abruzzese, lombardo, romano, piemontese, napoletano, o francese, tedesco, spagnolo, inglese. E non già perché noi toscani siamo migliori o peggiori degli altri, italiani o stranieri, ma perché, grazie a Dio, siamo diversi da ogni altra nazione: per qualcosa che è in noi, nella nostra profonda natura, qualcosa di diverso da quel che gli altri hanno dentro…”
Curzio Malaparte è stato un pratese d.o.c., autore di capolavori letterari mondiali (Kaputt e La pelle, per citare quelli più noti), sempre diviso tra il trascinarsi come detrito nella corrente esistenziale e l’attracco al porto del valori imperituri. Amato fino all’odio da tutti, esuberante, scisso tra l’arte e il carattere meno rigoroso. In questo opuscolo dal titolo eloquente – Maledetti toscani, pubblicato da Adelphi – immerge il lettore nel mondo tutto suo dei toscani: “Gran popolo, il toscano, saggia e meravigliosa età, quella che va dal Sacchetti a San Bernardino, da Dante a Lorenzo. Ed era proprio l’età in cui la nebbia dei tempi feroci s’andava diradando, e già spuntava la luce, violenta e falsa, del Rinascimento”.
Tra l’aneddoto e la facezia, il motto e la freddura, Malaparte osserva:
“Non v’è nulla di feroce, né di sanguigno, nell’aria di Prato. Fra tutte le città della Toscana, Prato è chiara: chiara come Pisa. E i pratesi, contro la loro fama, son lisci come i ciottoli del Bisenzio. […] Pratese vuol dire uomo libero, e il mestiere dell’uomo libero, come tutti sanno, non è certo tra i più facili, specie in Italia”.
Come interpretare allora questa genia miracolata, preservata, da indagare, da ammirare, da temere?
“I toscani sono la cattiva coscienza dell’Italia. Non hanno paura della morte perché sanno che, in Italia muoiono soltanto i grulli. Imparate dai toscani che non c’è nulla di sacro a questo mondo, fuorché l’umano, e che l’anima di un uomo è uguale a quella di un altro”.
Maledetti toscani è un libretto che conferma l’amore di Malaparte per una scrittura in stato di grazia, percorsa da un brivido, dal desiderio di parlare di un popolo per parlare poi di sé, del suo humus, del suo essere un toscano fino al midollo, senza celarne orrori e follie che poi sono quelli dell’intera nostra specie.