Daniela Distefano
CATANIA – Virginia Woolf è stata molto più che una lungimirante scrittrice: ha rappresentato il varco tra il mondo visto dagli uomini e per gli uomini e la nuova entità femminile in cerca di una comprensione di sé meno evanescente e succube. In che rapporto stanno, i racconti di Virginia Woolf, con i suoi romanzi più celebri? Con Mrs Dalloway, con Gita al faro, con Le onde?
L’impressione è che, lungi dall’essere “little things”, molti di questi racconti – confluiti nella raccolta Lunedì o martedì edita da Bompiani – raffigurino altrettanti punti nevralgici della migliore produzione della scrittrice inglese. Sono snodi, intuizioni, idee concentrate, ipnotiche che non hanno a volte neanche una trama in senso classico (si legga per esempio il racconto La macchia sul muro). Si avverte un nuovo approccio alla narrazione.
Cos’è la conoscenza? Cosa sono i nostri uomini di cultura, se non i discendenti di streghe ed eremiti che, accovacciati nelle grotte e nei boschi, distillavano erbe, interrogavano i topiragno e trascrivevano il linguaggio delle stelle?
Li onoriamo sempre meno, via via che le nostre superstizioni diminuiscono e cresce in noi il rispetto per la bellezza e la forza della mente….
Con precisione chirurgica la Woolf scava dentro le nostre aspirazioni, facendo zampillare note di Femminismo ante litteram. Ecco cosa si legge nel racconto L’associazione:
“Mentre noi davamo alla luce i bambini, pensavamo che i maschi dessero alla luce i loro libri e i loro quadri. Noi abbiamo popolato il mondo. Loro lo hanno civilizzato.
Ma adesso che sappiamo leggere, che cosa ci impedisce di giudicare i risultati?
Prima di mettere al mondo un altro bambino, dobbiamo giurarci di andare a vedere come è fatto, il mondo”.
Lo stile è modellato su una materia creativa che fissa paletti di visionario acume.
“E a me sembrò, mentre sedevo nel cortile di una locanda francese, che il segreto dell’esistenza non fosse che lo scheletro di un pipistrello nell’armadio; e il mistero nient’altro che la trama di una ragnatela (“Ritratto 3”).
Come non innamorarsi di Gipsy , la bastardina?
Una storia lieve trattata con un tocco narrativo favolistico.
Se pensiamo che l’esistenza di Virginia Woolf non fu che un camminare sui carboni ardenti per tutto il percorso vivente, si rimane sbalorditi dalla sua leggerezza concettuale, dal suo continuo limare scritture che sembrano tastare i nostri organi vitali, far affluire il pensiero dentro le nostre inclinazioni sensoriali.
E’ tutto un suono, una melodia, un affastellarsi di giochi ammiccanti che vengono indirizzati al lettore più accorto e svagato.
Virginia Woolf era un genio, pietra d’angolo della modernità femminile.
L’antenata di noi tutte, tutte desiderose di essere un giorno un pezzetto della sua fortuna immaginifica.
Invece il 28 marzo 1941 Virginia Woolf scrive un biglietto al marito, poi si getta sul fiume Ouse, nei pressi di Rodmell, East Sussex.
Un gesto che la ricaccia nella gabbia delle avversioni.
Nel racconto Una semplice melodia c’è forse un cenno profetico della fine di questo bozzolo umano che non diventò farfalla imitata, ma rimase nei secoli come tentativo insuperato dell’intelligenza femminile pienamente dispiegata:
“Mr Carslake fu sollevato di scoprirsi a pensare alla morte come a un tuffo in un laghetto;
perché lo allarmava l’istinto della sua mente, quando non era sotto controllo, a innalzarsi verso le nuvole e il Paradiso…”