Daniela Distefano
CATANIA – Per i cento anni dallo scoppio della Prima guerra mondiale (1914-2014) si sono versati fiumi d’inchiostro riguardanti quell’evento calamitoso generato dall’uomo
eternamente in lotta con i propri simili.
La casa editrice Rubbettino, coraggiosamente, quest’anno, ha dato alle stampe
Giornale di guerra. 1915-1917, un diario (con l’introduzione di Alessandro Campi) che ripercorre un’epoca di trincee e combattimenti alienanti. Ma a sorprendere non sono tanto lo stile, il contenuto, la forma, che accompagnano le pagine fitte di notazioni, osservazioni, aneddoti di quei giorni.
La meraviglia scaturisce dal nome di chi li ha vergati con un occhio agli spari, e uno a scansarli.
Autore del volume Giornale di guerra. 1915-1917 è nientemeno che Benito Mussolini, soldato che sarebbe diventato il Duce, “l’uomo della Provvidenza”, di fatto l’artefice dello sfacelo dell’Italia nel corso del Secondo conflitto mondiale.
La Storia lo ha consegnato mani e piedi al Diavolo: un essere mostruoso, un demone
che ha abbagliato per poi rivelarsi uno specchio deformante. Ma cosa pensava mentre era al fronte, come si proiettava in un domani che lo avrebbe reso protagonista assoluto, dio poi caduto dal piedistallo?
A proposito di Dio, ecco cosa scriveva in un appunto:
“Non credete in Dio, voi?” Non ho risposto.
Mussolini non nasconde il proprio agnosticismo, la sua mancanza di fede e di senso religioso. Tutte materialistiche concezioni imbarazzanti negli anni successivi e soppresse per amor del Potere. Altrove manifesta un orgoglio per quei compagni che costituiranno il nerbo delle sue future forze:
“Qui nessuno dice: torno al mio paese! Si dice: tornare in Italia. L’Italia appare così, forse per la prima volta, nella coscienza di tanti suoi figli, come una realtà una e vivente, come la patria comune, insomma”.
Benito Mussolini era combattente fino al midollo, forse fu proprio questa la sua più intima fragilità. Non si può per sempre ragionare in termini di uomo contro uomo.
“E’ il “nemico”, la presenza del “nemico” che spia e spara a cinquanta, cento metri, ciò che tiene elevato il “morale” dei soldati; non i giornali che nessuno legge; non i discorsi che nessuno tiene… (..)
La nostra guerra è una guerra di posizione, di logoramento. Guerra grigia. Guerra di rassegnazione, di pazienza, di tenacia(..)
C’è un po’ d’impazienza in tutti, anche nei più negativi! Avanzare! La lotta, col suo apparato avventuroso, emozionante, e malgrado i suoi rischi, affascina il soldato. La stasi debilita. L’azione rinfranca. Stanotte bisogna dormire con un occhio aperto”.
Non è mio compito disquisire sull’ ateismo di un individuo che da solo ha incarnato la disfatta dell’uomo senza Dio, però si lasciano porte aperte alla comprensione grazie a queste pagine che non vogliono essere uno stimolo alle nostalgie né alle accuse.
Era così Mussolini, un ardimentoso milite al fronte che scriveva:
“Oggi è Natale. Proprio Natale. 25 dicembre. Terzo Natale in guerra. La data non mi dice niente. Ho ricevuto delle cartoline illustrate(..)Perché io riprovi un’eco della poesia di questo ritorno, debbo rievocare la mia fanciullezza lontana. Oggi il cuore s’è inaridito come queste doline rocciose. La civiltà moderna ci ha “meccanizzati”. La guerra ha portato sino alla esasperazione il processo di meccanizzazione” della società europea”.
Parole che qualunque altra penna in prima linea avrebbe redatto, anche se non chiamata dal destino a compiere azioni fatali per un popolo.