Alessia Sità
ROMA – «Nel Paese arriva la guerra, arrivano a valanga le bugie» diceva un vecchio proverbio tedesco, citato nel libro “Riflessioni di uno storico sulle false notizie sulla guerra” di March Bloch. Potremmo fare verosimilmente la stessa affermazione alla ciclica notizia dell’arrivo di profughi e migranti?
Questa è solo l’inizio della lunga riflessione del giornalista Giulio Di Luzio in “Brutti, sporchi e cattivi. L’inganno mediatico sull’immigrazione”, pubblicato dalla casa editrice Ediesse nella collana Saggi. Con grande rigore scientifico, l’Autore indaga sul ruolo rivestito dai media nella diffusione dell’immagine stereotipata e negativa dell’immigrato, ormai chiamato esclusivamente clandestino.
“Nel villaggio globale l’informazione – è superfluo ribadirlo – assume un ruolo centrale e invasivo delle coscienze”. Lo scrittore definisce un vero “killeraggio mediatico” quello fatto contro l’immigrato; ogni giorno siamo bombardati da sondaggi, diagrammi e percentuali che non perdono l’occasione di mettere in evidenza il crescente numero di dati allarmanti che sottintendono una vera e propria ideologia xenofoba.
Con grande passione civile, Giulio Di Luzi analizza le diverse forme di intolleranza, soffermandosi anche sul linguaggio e sulle “mille forme dispregiative di connotazione”: extracomunitario, clandestino, immigrato, irregolare, profugo, disperato, rifugiato.
Il clima di sospetto nei confronti dei nuovi arrivati, riporta alla memoria l’analogo trattamento riservato in passato ai migranti meridionali, sbattuti in prima pagina dalla stampa italiana come “calabresi, siciliani o pugliesi”.
Con “Brutti, sporchi e cattivi”, l’Autore tenta di ripristinare la “verità storica”, distaccandosi totalmente dall’immagine mediatica, arricchita dai soliti cliché narrativi, che col tempo ha contribuito ad alimentare la visione dell’extracomunitario – clandestino – criminale. In conclusione, Di Luzi si sofferma anche sul panorama fotogiornalistico italiano, definito come riduttivo e superficiale, dal momento che “l’immagine viene meno al compito di rappresentare i mutamenti in corso, presentandosi a simbolizzare vecchi copioni”.