“Petit Bodiel” e l’importanza di raccontare.

Petit BodielGiulio Gasperini
AOSTA – La letteratura africana non è fatta di semplici favole. Anche se per decenni il patrimonio letterario del continente più antico si è basato sull’oralità, l’importanza della Parola e della trasmissione ereditaria è sempre stata un faro di civiltà: la cultura viene trasmessa, come regalata, in un impegno morale tra generazioni, senza per questo patire un’inferiorità di cultura e di sviluppo umano – “Il non aver avuto scrittura non ha mai privato l’Africa del suo passato, della sua storia e della sua cultura” (Hampâté Bâ). E fondamentale, in tal senso, è la figura del griot, il depositario dell’oralità e unico in grado di dare vigore e vita alle storie. In nessun’altra cultura, come in quella africana, questo legame tra racconto cultura e persone è ancora così vivo e potente. Amadou Hampâté Bâ si è sempre impegnato nella conservazione e nella trasmissione di questo immenso patrimonio culturale, facendo fiorire sulla carta le favole e le storie dell’arte subsahariana e in particolar modo del Mali, dove già nel XIV secolo esisteva un’intensa attività scrittoria, legate alla magnifica biblioteca di Timbuctu, incendiata alcune settimane fa da militanti islamici.
La Sinnos Editrice, nella sua collana ‘Zefiro. Racconti portati dal vento’, ha edito nel 1998 in formato bilingue e con i disegni di Claudia Melotti, una favola di Hampâté Bâ: “Petit Bodiel”, la storia di un giovane leprotto, pigro e vagabondo, che spronato dalla madre decide di raggiungere il Dio Padre Allawalam per chiedergli l’attitudine alla furbizia. Attraverso una serie di aiuti e di peripezie riesce nel suo intento e tornato sulla Terra si lascia sopraffare dall’avidità e dalla perfidia, ingannando e truffando gli altri animali e cercando di farsi nominare loro re.
La storia, come tutte le fiabe, ha un obiettivo educativo e didascalico: insegnare qualcosa era la finalità suprema per un cantore di fiabe il quale doveva tramandare i valori supremi del proprio bagaglio culturale. Infatti, “in Africa quando muore un anziano è una biblioteca che brucia” (Hampâté Bâ), secondo un concetto rilanciato anni fa dall’UNESCO, del quale Hampâté Bâ era stato, per lungo tempo, membro del Consiglio esecutivo. I personaggi della fiaba sono tutti animali, secondo i canoni letterari, ma ognuno si scontorna e viene antropomorfizzato, trascendendo il momento storico e la cornice africana ma diventando portatore di un messaggio universale. Tutto questo perché, come anche Hampâté Bâ ha scritto: “Il racconto è uno specchio. Ognuno deve specchiarsi e ritrovarsi. Bisogna guardare in sé stessi”.

Il Maggio dei Libri: fino al 31 maggio Leggere fa crescere

il maggio_ROMA  Da fine aprile al 31 maggio, 1785 appuntamenti in tutta Italia dedicati al libro e alla lettura. Questo è Il Maggio dei Libri, la campagna nazionale promossa dal Centro per il libro e la lettura del Ministero per i Beni e le Attività Culturali in collaborazione con l’Associazione Italiana Editori, sotto l’Alto Patronato del Presidente della Repubblica e con il patrocinio della Commissione Nazionale Italiana per l’UNESCO. La campagna, arrivata alla sua terza edizione, si avvale inoltre del supporto della Presidenza del Consiglio dei Ministri, della Conferenza delle Regioni e delle Province Autonome, dell’Unione delle Province d’Italia e dell’Associazione Nazionale Comuni Italiani.

 

Nata nel 2011 con l’obiettivo di sottolineare il valore sociale della lettura come elemento chiave della crescita personale, culturale e civile, la campagna inizia il 23 aprile, in coincidenza con la Giornata mondiale UNESCO del libro e del diritto d’autore, prosegue con la Festa del Libro che si amplia dal 23 al 27 maggio e, novità dell’edizione 2013, si prolunga fino al termine del mese, concludendosi il 31 maggio.

Appuntamenti, incontri, reading, conferenze, eventi e laboratori disseminati sul territorio nazionale. Confermando l’approccio delle precedenti edizioni, Il Maggio dei Libri non coinvolgerà solo spazi consolidati e vitali per il mondo dei libri (biblioteche, associazioni culturali, librerie), ma andrà alla conquista di location inedite, come uffici postali (grazie alla partnership con Poste Italiane), supermercati (in collaborazione con Unicoop- Tirreno), treni (in collaborazione con Italo). Diverse iniziative stimoleranno la fantasia di studenti di tutte le età (con i concorsi e le iniziative legate ad Amo chi legge… e gli regalo un libro, Cartoline da un libro, É-BOOK, Leggere… mi piace, La valigia dei libri).

 

Vuoi sapere quali sono gli appuntamenti nella tua regione? Scarica QUI il programma!

Al via il Premio Letterario ITALIA MIA

concorsi letterariROMA – L’Associazione Italiana del Libro bandisce il Premio Letterario ITALIA MIA. VIAGGIO SENTIMENTALE IN ITALIA. POESIE E RACCONTI, ideato dalla poetessa e scrittrice Anna Manna. La giuria del Premio è presieduta per la sezione Poesia da Corrado Calabrò e per la Sezione Narrativa da Neria De Giovanni.
I partecipanti, anche residenti all’estero, dovranno scrivere racconti o versi ambientando una storia d’amore in luoghi italiani, inviare una poesia di non più di 50 versi ambientata o ispirata a una città italiana, in epoca moderna o antica, oppure  inviare un racconto di non oltre 25.000 caratteri, spazi inclusi, ispirato o ambientato in una città italiana entro il 30 settembre 2013. Le migliori 20 opere di ciascuna sezione saranno premiate con la pubblicazione.

 

Le opere vanno inviate a: premi@associazioneitalianadellibro.it
Informazioni: premi@associazioneitalianadellibro.it
www.associazioneitalianadellibro.it

“Innamorarsi a Notting Hill” se ti impegni, puoi.

Marianna Abbate

ROMA – Quante volte al cinema, avete chiuso gli occhi proprio poco prima di quel magnifico bacio romantico, immaginando che le morbide labbra di Johnny Depp accarezzassero le vostre, invece di quelle insipide dell’insulsa attrice protagonista? Scarlett O’Brien lo ha fatto spesso.

Si è vista protagonista accanto ai più sexy divi del cinema, follemente innamorata e corteggiata dal bello che più bello non si può.

E poi ha pensato bene di trasportare i sogni nel mondo reale.

E’ questa, molto semplicemente, la trama del nuovo bestseller di Ali McNamara: “Innamorarsi a Notting Hill”. La giovane protagonista approfitta dell’inaspettata offerta di abitare per un mese a Notting Hill, scenario dell’indimenticabile film con Hugh Grant e Julia Roberts, per cercare insistentemente l’amore.

Nella vita vera, se ci fossimo trasferite a Notting Hill, avremmo avuto come vicini nell’ordine: una coppia di simpatici vecchietti, un parrucchiere molto in voga forse gay, un vecchio marpione, due giovani sposini, una coppia di lesbiche, una famiglia con sei figli urlanti, un fan sfegatato del heavy metal che non ci avrebbe fatto mai dormire. Invece Scarlett ha pure il vicino hot. Capiamoci: un romanzo di fantascienza.

Beh ora sapete benissimo cosa aspettarvi, un pomeriggio piacevole in compagnia di un po’ di fantasia femminile.

Le favole e poi l’ultimo viaggio di Antoine de Saint-Exupéry

Dalila Sansone
AREZZO – “Ma se mi va di dimenticare il suo dimenticare e di inventarmi un sogno?”. Già, se a volte volessimo dimenticare e immaginare una realtà diversa? Non per illusione, solo per smettere di non credere più e non correre il rischio di pensare che di qualcosa non sia valsa la pena? Vale sempre la pena, anche solo per inventarsi un sogno.
Non mi sono mai chiesta che fine avesse fatto il Piccolo Principe, se se ne fosse tornato dalla sua rosa o fosse invece rimasto, per sempre bambino, a stupirsi delle illogicità di presunti adulti. Faccio l’errore di molti e lascio i “personaggi” tra la lettera maiuscola della prima pagina e il punto dell’ultima, nel loro eterno presente senza trascorsi e destini con cui riempire pagine non scritte.
Antoine de Saint-Exupéry quel suo Piccolo Principe se lo portava dietro, ché in fondo era un po’ lui, era la parte invisibile di lui; così, quando prima di partire per l’ultima missione (Algeri 1943), la incontra in Algeria, su di un treno un giorno qualunque e agli schizzi di un piccolo principe biondo che lascia raccontare, parlare, chiedere, spesso non capire. Le “Lettere a una sconosciuta” (Bompiani, 2009) sono una bella raccolta degli ultimi fogli sparsi dell’autore del libro più venduto al mondo, acquerelli e righe scarabocchiate. Sulle pagine scorrono qualche frase o lettere per una donna, sposata, algerina che smette di rispondere al telefono e non avvisa se decide di non presentarsi ad un appuntamento. Non c’è nessun filo che collega il bambino che sulla carta parla per l’uomo al libro che li ha resi entrambi liberi dallo scorrere del tempo e dalla dimensione materiale dell’esistenza. Si, perché tra quei pochi pezzi di carta, invece, ci sono proprio il tempo e l’essere esistiti, lì in quel momento. Ci sono emozioni semplici che parlano delle illusioni, di quando le illusioni pretendono che si guardi alla realtà con la logica dei fatti e delle conseguenze.
“Le favole sono fatte così. Una mattina ti svegli e dici: ‘Era solo una favola…’. Sorridi di te. Ma nel profondo non sorridi affatto. Sai bene che le favole sono l’unica realtà della vita.” Sentire riesce quasi sempre a vivere la disillusione e a trovarci dentro la ragione profonda del sentimento, che è fatto di una natura diversa dalla logica; sopravvive a sé stesso come sensazione ed è quella la realtà: la sensazione che non si spiega, non si descrive, capace com’è solo di restare. A volte il piccolo principe continua a non capire, arriva persino a rinunciare, a farlo credendo che sia inutile, distraendosi di amarezza. Ma poi succede anche a lui di rendersi conto che l’essenziale non è invisibile agli occhi, l’essenziale è semplicemente parte di te. Esiste. È inutile credere che si possa restare per sempre bambini, illudersi che l’ingenuità di cui si nutre l’immediatezza delle emozioni sia duratura… però è così stupidamente adulto non custodirne gelosamente la tenerezza!

“Libera tavola”, quando la cucina usa il linguaggio della legalità

MILANO – Terre di Mezzo Editore porta in libreria “Libera tavola. Ricette d’autore dalle terre confiscate alle mafie. Con contributi di Andrea Camilleri, Rita Borsellino, Roy Paci, Allan Bay, Giulio Cavalli e tanti altri”, il volume curato da Jacopo Manni e Lorenzo Buonomini.

 

Diviso in 9 sezioni, il libro esplora attraverso la cucina i territori colpiti dalla mafia. Ottimi ingredienti coltivati sulle terre confiscate sono combinati in preparazioni originali e tradizionali insieme: dalle maglie siciliane al pesto trapanese al pancotto di cavolo nero, mozzarella di bufala e crema di patate, dal timballo di caserecce ai fagottini “primavera” ripieni di verza viola con crema di cicerchie. Sette menu tematici promuovono in modo divertente e gustoso la lotta alla criminalità organizzata direttamente nel piatto.

In più le ricette e i ricordi di chi si è speso in prima persona contro la cultura mafiosa. Scrittori, giornalisti, uomini e donne di spettacolo, politici, ma anche chef stellati, ci hanno regalato piatti speciali che hanno per protagonisti i sapori della legalità.

Il matrimonio secondo Rebecca West.

Giulio Gasperini
AOSTA – Rebecca West ha opinioni chiare e forti: “Continuo a pensare al matrimonio con grande paura e orrore. Non è che non mi piacciano gli uomini. Mi piacciono molto. […] Eppure sento che il matrimonio, l’ingresso in un sodalizio con un uomo, permanente, pubblico e favorito dallo Stato, sia l’atto più sconsiderato che esista”. La dose è rincarata: “Quando sento che una mia amica sta per sposarsi, provo per lei un dispiacere sincero. Quando un uomo mi chiede di sposarlo, mi sento ferita e imbarazzata. È come se mi avesse presentato qualcosa di simile a un’ingiunzione fiscale – un espediente ufficiale per ridurmi in miseria”. Le parole bastano a spiegare e autogiustificarsi: “Non è che non mi piacciano gli uomini”, curato da Francesca Frigerio e edito dalla Mattioli 1885, raccoglie un racconto lungo e un saggio nei quali la scrittrice britannica discetta su matrimonio e sue conseguenze. Per questa istituzione borghese la West non ha certamente parole dolci: “”Il pregiudizio che ho iniziato a nutrire da giovanissima verso il matrimonio mi impedisce di accettarli senza opporre una disperata resistenza”. Pregiudizio, ammette lei stessa; ma non si può certo dire che le ragioni, le motivazioni attraverso cui il suo attacco procede non siano né motivati né verosimili. La West sa quello che dice e, prima ancora di tutto il resto, lo sa comunicare in maniera cristallina e disarmante.
Nel racconto che apre il volume di Mattioli 1885, “Matrimonio indissolubile”, va in scena la rappresentazione grottesca di un’avventura matrimoniale: c’è un marito che odia la moglie, che odia il loro vivere borghese, che detesta il susseguirsi monotono e vuoto di giorni scanditi dalla routine del quotidiano; e inoltre pensa che lei lo tradisca, come nelle migliori favole coniugale; ma lei non lo sa, o forse preferisce ignorarlo. E l’unico modo che il marito trova per liberarsi della compagnia ingombrante della moglie è quello di ucciderla. La scena assume subito contorni onirici, una specie di visione che conserva, però, un’inquietudine e un morboso accesso voyeuristico di violenza. L’accelerazione è aggressiva; la descrizione dell’omicidio ossessiva. Ma la sorpresa è che tutto accade in sogno, in un’accelerazione all’odio e alla fissazione che scardina l’amore e il mutuo soccorso coniugale. Il risveglio è nel letto, nella culla della quotidianità matrimoniale, dove le coppie finiscono maggiormente per ignorarsi, ma dove si salva almeno il concetto di sponsale.
Nel saggio, invece, Rebecca West offre la chiave interpretativa per capire la sua vita e per comprendere l’ostilità profonda al vincolo coniugale. Nella sua avventura argomentativa si serve anche del Vangelo e prende in esame l’episodio della Samaritana: “Avevo capito che quando Gesù aveva incontrato la samaritana, si era addolorato perché aveva avuto cinque mariti, ma non mi era mai venuto in mente che il motivo del Suo dolore fosse il fatto che la donna aveva condotto una vita dissoluta […]. Pensavo che fosse arrabbiato perché la donna aveva gettato via la felicità prendendo un marito, il che ovviamente significava che era diventata povera, aveva dovuto fare dei lavori che le rovinavano le belle mani, indossare abiti brutti e distruggere se stessa, e perché poi non aveva capito quale fortuna le fosse capitata quando il marito era morto o se n’era andato, e se n’era addirittura preso un altro”. La sua conclusione è drastica, parole che non potrebbero esser più chiare con nessun commento: “Era come andare in bancarotta per cinque volte o finire in prigione per cinque volte per un crimine che si poteva tranquillamente evitare di commettere: una caparbia ricaduta nello squallore”.

Novità: “Home – Guida allo chic”

MILANO – Dopo “La Parigina” di Ines de la Fressange, ecco “Home – Guida allo chic”, il secondo dei “Carnet parisien”, collana ambiziosa di guide allo chic che la prestigiosa casa editrice Flammarion dedica alle nuove icone stilistiche della Ville Lumière pubblicate in Italia da L’Ippocampo Edizioni.
“Home – Guida allo chic”, scritto da India Mahdavi con la giornalista Soline Delos, è una guida illustrata per un arredamento di stile con alcune e indispensabili regole di base e i trucchi della Mahdavi per migliorare i nostri interni: come valorizzare la luminosità, come abbinare colori, tessuti e materiali. A completare il volume, un carnet con oltre 100 indirizzi internazionali dove trovare i migliori oggetti di design.

 

Formata dal grande Christian Liaigre, India Mahdavi sta diventando l’archistar parigina dell’arredamento (La rivista Time l’ha annoverata tra i 10 più influenti interior designer odierni). Il suo coloratissimo stile, risultato dei numerosi viaggi e delle sue origini iraniane, mescola tessuti e materiali in un linguaggio estetico quanto mai personale.

 

Concepito come un taccuino di appunti sulle nuove tendenze, quest’opera riunisce per la prima volta tutte le “ricette di arredamento” di India Mahdavi, con la complicità di Soline Delos, giornalista di Elle. Dal monolocale al grande appartamento, India ci accompagna stanza dopo stanza consigliandoci sulle scelte, svelandoci i trucchi per rinnovare l’arredamento, su come fare gli acquisti ed evitare i passi falsi, o ancora su come risolvere i peggiori rompicapo. Per la prima volta ci confida i suoi indirizzi preferiti, dove scoprire occasioni dal vintage al design contemporaneo, non solo a Parigi ma in tutte le metropoli globali: Beirut, Città del Capo, Città del Messico, Istanbul, Lisbona, Londra, Los Angeles, Milano, Mumbai, New York, Rio de Janeiro…

“Scongela l’arrosto”, Chronicalibri intervista Giovanni Battista Odone

Luigi Scarcelli
PARMA
– Passioni, famiglia, quotidiano e legami sono alcuni degli ingredienti di “Scongela l’arrosto”, il libro di Giovanni Battista Odone pubblicato da Lupo Editore. Dopo aver recensito il romanzo Chronicalibri ha intervistato l’autore per scoprire come comincia un’esperienza narrativa come “Scongela l’arrosto”.

 

“Scongela l’arrosto” è la tua prima esperienza narrativa; come è nato questo libro?

Il libro è nato da una mia proiezione nel futuro: ho immaginato come, subendo passivamente i più banali accidenti della vita, senza tener conto dei possibili accadimenti tragici, sarei potuto diventare a distanza di vent’anni. Un esercizio utile per riflettere sul proprio presente: giocare con l’ipotesi del proprio futuro.

 

Famiglia, umori, amori e cambiamenti: perché hai scelto questo tipo di storia?

Perché in un epoca in cui ci raccontano che siamo soli, individui persi alla ricerca di relazioni, dimentichiamo troppo facilmente che ciò che siamo e diventiamo discende ancora ed inevitabilmente dal nucleo famigliare in cui cresciamo: una microsocietà che ci segnerà per sempre, nei ricordi come nella personalità.

 

Ci sono momenti o persone della tua vita che hanno ispirato “Scongela l’arrosto”?

Guardando adesso al periodo in cui scrissi questo romanzo, posso dire che fu un momento di accelerazione della mia personale crescita. Devo ammettere che la vicenda narrata, misto di fantasia e realtà, è punteggiata di episodi, persone ed oggetti che restano nella mia memoria come compagni di viaggio.

Il tuo è un romanzo incentrato su alcune tematiche forti, tra queste la famiglia. Allora sorge quasi spontanea la domanda: secondo te la creazione di una famiglia è la fine della passione di una coppia o solo una fase di maturità che spesso viene gestita inconsapevolmente?

La famiglia è come tu decidi che sia. Diventa come tu vuoi che diventi. Certo, non tutti gli accadimenti della vita dipendono dalla tua volontà, ma il raccolto di domani dipenda dalla semina di oggi. Per chi decide di intraprendere un “viaggio nella famiglia” sarebbe fondamentale chiedersi se la semina che si vuole sia la fine della passione, una fase di maturità gestita inconsapevolmente, o qualcosa di più gioioso.

 

Giulio e Lara hanno due caratteri completamente diversi, i classici due opposti che si attraggono. Ma l’attrazione può durare?

L’attrazione è un crinale da percorrere godendo del panorama: di tanto in tanto si scivola giù. Ma è così avvincente risalire verso il crinale dell’attrazione per la donna che ami, che vale la fatica e lo sforzo tornare su. Per godere nuovamente, ancora una volta, del panorama.

 

Personaggio cruciale del libro è Sara, figlia di Lara e Giulio, che nel romanzo assume diversi ruoli. Come hai costruito questo personaggio e cosa rappresenta, è una semplice spettatrice, una complice o una vittima?

Sara era nata come un contorno: un’appendice della strana coppia di adulti. Solo successivamente è diventata voce narrante e punto di vista preponderante nella vicenda. Tragicamente si trova a scoprire il vero volto del padre, capendo come questo è uscito sconfitto dal rapporto con la donna della sua vita, senza nemmeno avere la forza di abbandonare la partita.

 

C’è un autore che pensi abbia influenzato il tuo modo di scrivere o a cui ti sei ispirato?

Come ho raccontato al mio Prof. Di Italiano dei tempi del Liceo, i toni del mio romanzo volevano essere ispirati da Raymond Carver, con la tragicità di gesti semplici o avvenimenti monotoni: ma la passione per il racconto della vita mi ha fatto aggiungere in diversi brani qualche colore in più.

Novità: “Piangi pure”, ama e continua a vivere

Giulia Siena
ROMA 
“Io non mi pento mai di niente. Il pentimento si porta dietro il rimpianto e il rimpianto è uno dei due sentimenti che non posso assolutamente permettermi. L’altro è l’amore”.

Ha quasi ottant’anni Iris De Santis. E ottant’anni sono troppi per amare. A quell’età bisogna guardare le vite degli altri e non essere così egocentrici da pensare alla propria vita; figuriamoci all’amore! L’amore tra anziani, poi, è una cosa così grottesca, un’ostinazione che la società non accetta. E Iris ha già dato scandalo nella sua vita, da giovane, quando negli anni Sessanta ha abbandonato il marito e una figlia che non la perdonerà mai per correre dietro a un capriccio, all’amore. Ha fatto di più: negli stessi ha lasciato che lo scandalo familiare fosse sotto gli occhi di tutti, ne ha fatto un libro di discreto successo. Ora non ha più legami e potrebbe abbandonarsi alla simpatia per C., lasciarsi trasportare da una personalità così bella che potrebbe risvegliarla dal torpore degli anni.

Iris, protagonista di “Piangi pure”, l’ultimo romanzo di Lidia Ravera in libreria per Bompiani, si era rassegnata alla vecchiaia. Aveva fatto della sua casa romana ai Parioli, quella che aveva comprato con i soldi guadagnati dal suo libro sullo scandalo, la tana dove ritirarsi. Ma qualcosa in lei è cambiato, non solo ha venduto il suo appartamento come nuda proprietà ma ha un motivo per vivere. Vedere ogni giorno C. per il caffè e, alle volte, per l’aperitivo, ha risvegliato in lei qualcosa. Chi è C.? C. come Carlo, lo psicoterapeuta del terzo piano, l’affascinante professore ultrasettantenne che le ha consigliato di tenere un diario e scrivere per non abbandonarsi, per non lasciarsi ingoiare da una morte precoce. Nasce così uno scritto che è un esercizio quotidiano in cui Iris parla in prima persona dei suoi non-progetti e del rapporto difficile con sua figlia Alice e con sua nipote Melina, del riscatto e della sorpresa nel ritrovarsi viva. Lo scritto, nella seconda parte del libro, lascia il posto alla terza persona e diventa romanzo.

 

“Piangi pure” è una liberazione, è la scoperta di una vita che continua oltre le convenzioni sociali; è una felicità che non ha limiti di età, è l’eros che va oltre le apparenze, è la voglia di vivere nonostante la malattia. In “Piangi pure”, oltre che protagonisti, Iris e Carlo sono i veri personaggi. Il resto, Alice, Melina e gli altri vengono descritti seguendo dei cliché, gli stessi cliché che usano i “più giovani” nella realtà per descrivere gli anziani.